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Responsabilità e virtualità

di Fidalma Filippelli


La straordinaria diffusione di personal computers e collegamenti ad Internet che si sta verificando negli ultimi anni nel Mezzogiorno d'Italia rilancia su un piano "virtuale" la vexata questio del rapporto tra tradizione e modernità. Se in una prima fase il principale vettore di innovazione tecnologica è stato rappresentato dalle istituzioni universitarie e dal settore aziendale sia pubblico che privato, attualmente l'accesso domestico alle nuove forme di comunicazione telematica è in forte aumento.
Il meridionale, si sa, predilige da sempre i rapporti personalizzati e si sente piuttosto a disagio in quelle relazioni anonime, spersonalizzate ed intercambiabili che sono il tratto distintivo della modernità.(1) Il rapporto personalizzato si fonda su un tipo di fiducia che può scaturire solo dalla conoscenza e dalla familiarità del corpo dell'altro e dei suoi codici espressivi, inscindibilmente legati, quest'ultimi, alla gestualità ed all'emotività. Epperò il vertiginoso sviluppo della virtualità consente oggi al meridionale di vivere ed interagire in universi sociali in cui l'azione e la comunicazione prescindono tout court dalla fisicità dell'esperienza. Internet può essere forse l'occasione giusta per debellare "atavici e terribili mali" della cultura meridionale, tra cui campeggia minaccioso in primis l'approccio corporeo al mondo ed alla conoscenza? Oppure è possibile sperare in una riconciliazione tra vecchio e nuovo, tra natura e cultura e, in definitiva, tra reale e virtuale? Nell'infinito ed etereo cyberspazio individui dotati di peso volano attraverso il mondo, e questo paradosso esaspera il conflitto secolare tra l'istanza culturale di sottrarsi alla gravità e l'istinto primario di naufragare nei sensi della "prigione" corporea. Quella che si viene a generare è, dunque, una forte tensione tra la natura corporea dell'esperienza umana e il carattere dematerializzato dei flussi della comunicazione elettronica, che in taluni casi può sfociare nella patologia vera e propria - ne è prova la diffusione di malattie come il cosiddetto I.A.D., o stato confusionale da Internet dipendenza, che provoca la perdita di senso della realtà ed uno stato di incertezza riguardo a ciò che esiste in atto e ciò che esiste in potenza -. L'indagine dei modi in cui siffatta tensione viene quotidianamente vissuta ed "esperita" sulla propria pelle dai fruitori delle nuove forme di comunicazione telematica è essenziale ai fini della comprensione degli stili di vita organizzati intorno al rapporto tra reale e virtuale, tra naturale ed artificiale. In che maniera viene percepito il corpo cibernetico, frutto di una contaminazione tecnica che, come mostra il geniale cinema della mutazione di Cronenberg, lo invade fin nei suoi più reconditi recessi (basti pensare alla manipolazione genetica)? E il corpo virtuale, ovvero il corpo disseminato nelle reti telematiche e consegnato al potere della digitazione? E il clone virtuale, quell'avatar che ripropone in modo inquietante l'ossessione millenaria del doppio? Per affrontare tali questioni occorre necessariamente mutare prospettiva nell'analisi del nesso corpo-tecnologia, guardando al corpo innanzitutto come ad un dato biologico che non può essere foucaultianamente annullato dai significati che l'interazione dinamica tra potere e sapere sovrappone, cancellandola, alla dimensione carnale. La sfida lanciata dalle nuove tecnologie della comunicazione concerne appunto il ruolo centrale giocato dal corpo in merito all'elaborazione di un progetto attivo e responsabile di costruzione dell'identità individuale e collettiva, che utilizzi lo strumento tecnico con intelligenza e non con casualità, onde evitare la dispersione e recuperare la connotazione culturale e sanamente psicologica ed emotiva dell'esperienza virtuale. Se i flussi sovrabbondanti ed istantanei della comunicazione elettronica non vengono incanalati in un solido percorso progettuale, il singolo corre il rischio di subire frustrazioni molto forti dal punto di vista della corporeità e dell'identità; le nuove tecnologie tendono, infatti, ad indebolire le tradizionali identità personali e collettive, per incrementare delle identità trasversali che sono delle identità fantasmatiche, casuali, manipolabili. Dal momento che il corpo virtuale, cioè il corpo disseminato nelle reti telematiche, può essere, e di fatto lo è sovente, il prodotto di una manipolazione, molto accentuato è il pericolo di una perdita dell'identità, così come di una sorta di consumismo irresponsabile dell'identità, la quale diviene improvvisamente soggetta ai dettami di quella legge di mercato che impone che la durata fisica e culturale dei prodotti sia brevissima ed estemporanea. In un certo senso, la virtualità funge da vero e proprio laboratorio per la costruzione dell'identità: l'assunzione di un'identità fittizia può tradurre, per esempio, la necessità di esteriorizzare un paesaggio interiore fino a quel momento inesplorato e costituire, dunque, un'occasione di crescita, laddove la fisicità rappresenta, a volte, un limite per la libera espressione di se stessi e per la comunicazione, come avviene nel caso di persone introverse, insicure, oppure nel caso di persone il cui corpo è per educazione o per malattia rigidamente subordinato ad un ruolo. L'assenza del rapporto face to face produce ciò che gli psicologi definiscono "flaming", ovvero uno scambio interattivo disinibito, per cui gli individui che si immettono nei flussi della comunicazione virtuale rimuovono la loro situazione sociale e smettono di preoccuparsi dei giudizi morali degli altri, rinunciando in parte al senso della propria identità personale e al proprio autocontrollo nell'ambito del gruppo anonimo. E tuttavia, la possibilità di giocare ruoli mutevoli dando voce alla propria interiorità nascosta comporta anche un forte rischio, che potrebbe essere quello di alimentare sconsideratamente un sentimento di onnipotenza, attraverso la totale e irreversibile identificazione nel ruolo giocato e la conseguente perdita del confronto con la realtà e con il senso del limite. Il film "Viol@" riassume in maniera eccellente questi due aspetti della virtualità: la protagonista è una giovane donna molto fredda e controllata nella vita reale, che riscopre gradualmente la femminilità e la sensualità del proprio corpo in una relazione virtuale sessuale estremamente coinvolgente; ma, nell'agghiacciante finale del film, il partner virtuale di Marta-Viol@, Mittler, che lei aveva immaginato essere un affascinante professionista quarantenne colto e raffinato, si rivelerà un imberbe tredicenne dai capelli rossi.
Un ulteriore rischio da tenere in debita considerazione riguarda poi la questione della responsabilità, in un contesto in cui la volubile assunzione di sembianze fittizie potrebbe sganciarsi del tutto dall'assunzione di responsabilità, da parte del soggetto, nell'ambito dello scambio comunicativo. Il gioco delle identità rappresenta sicuramente una delle caratteristiche più pregnanti della comunicazione virtuale, la quale sembra proporre un incessante carnevale all'insegna della finzione e del sovvertimento della dimensione quotidiana. Il termine carnevale è il più appropriato per descrivere questo tipo di relazioni per una ragione formale, oltre che contenutistica: carnevale significa letteralmente "addio carne" e si riferisce, nella sua accezione religiosa, al divieto di consumare carne durante il periodo della Quaresima; orbene, gli incontri virtuali realizzati nella rete presuppongono una totale assenza della carne, intesa non più come semplice nutrimento bensì come corpo. La questione dell'identità diviene oltremodo significativa in relazione al fenomeno delle chat. Il chat-incontro è un incontro, il più delle volte estemporaneo, che si verifica tra due o più personaggi che decidono di incrociare temporaneamente le loro vite parallele, motivati da semplice curiosità, spirito d'avventura o, più spesso, dalla ricerca di qualcosa che possa modificare la loro realtà. Lo pseudonimo adoperato, il cosiddetto nickname - o meglio,nick - assume, al riguardo, un'importanza fondamentale, in quanto funge da vera e propria carta d'identità. La varietà e la quantità delle potenziali maschere a disposizione dell'utente sono sicuramente una delle grandi attrattive di Internet, che con la sua incontrollabile proliferazione di possibilità porta alle estreme e forse patologiche conseguenze uno dei tratti tipici della modernità: l'estensione illimitata degli orizzonti. In teoria, si può continuamente cambiare identità in Internet, così come si può contemporaneamente interagire con altri sulla base di identità multiple e slegate tra loro, dal momento che il corpo è escluso dalla comunicazione ed impossibilitato, dunque, a raccontare e testimoniare la storia ed il vissuto personale. Libero dai subdoli tranelli solitamente tesi dal corpo, l'internauta può finalmente fingere di essere ciò che ha sempre desiderato essere, o, più semplicemente, ciò che desidera essere in quel momento: gli è sufficiente collegarsi in rete, entrare in una chat con uno pseudonimo incisivo, che esprima in maniera adeguata la sua nuova identità, ed il gioco è fatto. Poco importa se nel tempo non riuscirà a mantenere in piedi il suo castello di bugie: un primo clic lo salverà dalla gogna - la fuga virtuale è semplicissima - , mentre un secondo clic gli garantirà un'altra nascita virtuale, immediata ed indolore.
L'irresponsabilità sembra essere connaturata alla comunicazione virtuale, soprattutto nella sfera dei sentimenti, perché è innegabile che la comunicazione virtuale abbia una significativa valenza emotiva ed affettiva, se è vero che molte persone si innamorano e fanno amicizia attraverso Internet. Ma, a fronte di un'effettiva appropriazione strumentale delle potenzialità tecnologiche ad opera dei corpi, per cui la relazione virtuale non è che l'ancora lanciata dal corpo affettivo che si proietta nella costruzione di un legame "reale", vi è il rischio di un consumo mediatico e "leggero" dei sentimenti. Accade spesso, infatti, che nelle chat gli amori nascano e muoiano nello spazio-tempo di una notte, succedendosi secondo ritmi uraniani inimmaginabili nella vita reale. Il gioco della seduzione si fonda, negli incontri reali tra due partner potenziali, sull'aspetto fisico, sull'abbigliamento, sul profumo, sui gesti e sullo stile, e il divenire dei sentimenti si fa naturalmente strada attraverso i corpi; nella rete, invece, l'elemento decisivo è dato dall'identità psicologica dell'altro, che può essere vera o falsa. Laddove il movimento e la tensione rappresentano la linfa vitale dell'eros, nelle passioni virtuali il movimento e la tensione si consumano rapidamente, perché l'effetto "flaming" porta a raggiungere in fretta livelli di intimità altrimenti impossibili. I colpi di fulmine virtuali, mediati non dal corpo ma da un monitor che si fa catalizzatore dei desideri, sono assolutamente dominati dalla fantasia: l'immaginario entra prepotentemente in gioco nutrendosi dell'assenza fisica e colmando il vuoto di quell'assenza di proiezioni personali che, per quanto stimolanti dal punto di vista erotico, potrebbero non corrispondere alla realtà dell'altro. Nell'eventuale passaggio dalla sfera virtuale alla sfera reale il rischio è quello di rimanere delusi dal corpo dell'altro, che nel suo spessore carnale potrebbe rivelarsi improvvisamente inadeguato a soddisfare le proprie aspettative. Per tale motivo, la tentazione di rimanere ancorati ad una visione ideale ed idealizzata del rapporto amoroso potrebbe essere forte, onde scongiurare gli inevitabili pericoli insiti nell'incontro con l'altro da sé. Un "altro di sé" montato sulle proiezioni del proprio immaginario è sicuramente più facile da gestire di un "altro da sé" che arriva imprevisto ed imprevedibile, recando con la sua diversità lo spauracchio della destabilizzazione. L'accoglienza dell'altro da sé richiede un atto di resa totale, un'ospitalità incondizionata ed assoluta che non sempre si è disposti ad accordare generosamente; in tal senso, il legame virtuale potrebbe prevalere sul legame reale in virtù di una scelta preferenziale di rapporti sublimati e in qualche maniera comodi: colei o colui che si "rivela" nel monitor non è una presenza fisica bensì immateriale, e in quanto tale non dà fastidio, non puzza, non scomoda. L'apertura nei confronti dell'altro da sé, che è sempre portatore di diversità, implica una pratica di responsabilità che ha un carattere fortemente incorporato e che, dunque, non può essere concepito al di fuori della dimensione corporea.
Francisco Varela individua nel comportamento etico un carattere pre-riflessivo della responsabilità , per cui il corpo, quello proprio e altrui, rappresenta il riferimento concreto e il punto di partenza dell'agire etico. (2) Varela distingue, infatti, tra un "Know how"- un saper fare implicito, pre-riflessivo, certo -, e un "Know what", inteso come conoscenza intenzionale o giudizio razionale. Il know how etico prende letteralmente corpo nelle pratiche quotidiane, che, messe in atto da soggetti dotati di un corpo oltre che di una mente, esprimono una sorta di "consapevolezza intelligente" assolutamente non codificata da regole o procedure formalizzate. Sulla base di questoknow how si esercita responsabilità verso gli altri in modo incorporato, cioè pre-scientifico, immediato e spontaneo, attraverso le indicazioni cognitive fornite dalle emozioni, che, ben lungi dall'essere soggette alla "ragione", sono veri e propri strumenti di conoscenza, di elaborazione dei giudizi sulla realtà. La comunicazione elettronica, escludendo a priori la dimensione corporea dell'esperienza, potrebbe rigettare una parte fondamentale della responsabilità che esercitiamo verso gli altri, e sarebbe questa una terribile perdita, dal momento che la coscienza della nostra identità nasce e si sviluppa proprio a partire dal rapporto e dal confronto con gli altri. In definitiva, la questione dell'identità rappresenta una grande sfida per la conoscenza nell'era del virtuale, ma la forte problematizzazione che l'accompagna può essere interrogata, osservata e compresa compiutamente solo se si rimuove la barriera della responsabilità astratta, barriera che le scienze sociali hanno costruito sulla traslazione della responsabilità dal piano del soggetto in carne ed ossa al piano delle regole impersonali di cui il soggetto-attore è depositario. La rimozione di tale ostacolo concettuale rappresenta lacondicio sine qua non per un'adeguata indagine intorno al rapporto corpo-tecnologia e per l'elaborazione di un progetto attivo e responsabile di costruzione dell'identità individuale e collettiva, che restituisca al corpo il ruolo centrale che gli compete nella dinamica interattiva coi flussi della comunicazione telematica.


Bibliografia
Alcaro, M. (1999), Sull'identità meridionale - Forme di una cultura mediterranea, Torino: Bollati Boringhieri
Varela, F.J. (1992),Un know how per l'etica, Roma-Bari : Laterza
(1) Alcaro (1999)
(2) Leccardi (1999)



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