“Terra di conquista” per registi romani, hollywoodiani o apolidi, sterminato set oleografico o metafisico usato per colorare ossessioni o giri turistici, il Sud è stato riscattato da cineasti napoletani o siciliani, baresi o calabresi che, narrandosi, hanno portato un po' di freschezza tra i luoghi comuni del cosiddetto “cinema meridionale”.
La commedia ha, infatti, giocato un ruolo fondamentale nella nouvelle vague meridionale.
La sua specificità sta proprio nella novità produttiva, nei nuovi talenti, nelle maestranze e organizzazioni che si muovono fuori dall'ambiente romano. Tranne poi ritornarvi, come nel caso di Cappuccio, Gaudioso e Nunziata con Il Caricatore (1997), per ironizzare sul difficile meccanismo della creatività cinematografica e della messa in scena da parte di tre perfetti sconosciuti (due romani e uno calabrese, Fabio Nunziata).
Con gli anni Novanta il cinema italiano ritrova una propria geografia che gli permette di praticare un plurilinguismo e una multiculturalità che danno vita a modalità espressive diverse rispetto a quelle ormai inerziali e parassitarie dell'apparato comico nazionale. La sperimentazione, contrassegnata dalla contaminazione tra generi cinematografici, permette alla cinematografia meridionale di staccarsi dal passato (comunque non necessariamente da considerare un capro espiatorio su cui scaricare la colpa di tutto ciò che oggi non funziona) e realizzare uno sbeffeggiamento dello stato delle cose cercando, disperatamente, di non ricadere nella canonizzazione dei difetti del “meridionale medio”.
La filmaker indipendente Roberta Torre (milanese, ma siciliana per adozione) da Angelesse (1993) in poi ha raccontato la Palermo marginale e la sua cultura, scendendo fin dentro l'anima della città senza preconcetti e sensi di colpa (cfr. Appunti per un film su Tano e Verginella entrambi del 1995; La vita a volo d'angelo, 1996). La Torre con i suoi corti ha scoperto un mondo e come narrarlo, un approccio aggressivo, ironico, quasi pop, mescolando sceneggiata e reportage, musical e farsa, cinema e fumetto. Ha creato una sorta di pastiche esploso poi nei due lungometraggi Tano da Morire(1998) e Sud side stori (2000) in cui le distorsioni e le esagerazioni della visione prendono volutamente il sopravvento sulla storia narrata. Il suo tipo di approccio è forse simile a quello di Pappi Corsicato in Libera(1992) anche se più partecipe e meno raffinato. Il regista partenopeo, nel suo trascinante esordio, riesce a inventare nuove forme e nuovi ritmi nutrendosi di una Napoli nuova, coloratissima e melò. Una Napoli che ripropone tre anni dopo in Buchi neri e, nel 1997, ne La stirpe di lana, episodio dell'opera collettiva I vesuviani. In un'atmosfera paradossale e giocosa Corsicato mette in scena, nel suo solito stile assolutamente antirealistico ispirato alla prassi registica almodovariana, l'audacia delle donne meridionali simbolo della rinascita creativa degli autori del sud.
Ma la situazione del cinema meridionale potrebbe essere letta da due diverse angolazioni. Per quanto abbia assunto delle caratteristiche proprie il cinema del Sud, almeno quello “da ridere” non può ritenersi esente da certe influenze, soprattutto quelle provenienti dalla televisione che modellano il gusto e indicano le traiettorie da seguire per garantire successi di botteghino.
Gianni Canova in un saggio pubblicato nel 1996 (1) espone una sorta di codice genetico della commedia degli anni Novanta: “minimalismo sociologico, ambizioni da sketch, orgia di stereotipi tagliati su misura per un pubblico di gusto televisivo contento di ritrovarsi sullo schermo in compagnia di borghesi piccoli piccoli e di festose famiglie in vacanza […]”(2): questi, secondo Canova i punti che accomunano le opere della cinematografia italiana. Applicato, infatti, genericamente a tutta la nazione, tale “codice” può essere facilmente riconducibile a certo cinema ambientato nel Sud e realizzato da registi, sceneggiatori e attori di origini meridionali. Come la cinematografia del nord anche quella del sud, infatti, non rimane indifferente al fascino della televisione di cui ne è ispiratrice, ostetrica e allo stesso tempo gemella. Il cinema del consolidato trio siculo-milanese Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti ne è una conferma, anche se dal loro primo film firmato insieme a Massimo Venier stanno con energia cercando di staccarsi dal modello “sketch televisivo” per approdare a una sorta di riflessione autoreferenziale con rimandi più alla propria esperienza di autori teatrali che a quella di attori del piccolo schermo.
Il cinema di Aldo, Giovanni e Giacomo non si discosta poi tanto da quello di Antonio Albanese. Stesso percorso (teatro - televisione - cinema, e ritorno) per lo “zelighiano” che ha fatto la sua fortuna impersonando, fra i tanti, un personaggio siciliano facendo della dicotomia nord/sud il punto di forza della comicità del suo La fame e la sete (2000). E' lo stesso tema affrontato da Sergio Rubini in “Tutto l'amore che c'è” (2000) dove nel confronto tra un gruppo di giovani pugliesi e tre sorelle del nord ottengono la meglio le passionalità meridionali a scapito di una società (in qualsiasi epoca) retrograda e insoddisfacente.
Sullo stesso cono di luce, ma decisamente privo di interferenze provenienti da Roma in su, sembra muoversi il napoletano Vincenzo Salemme che porta a spasso dal palcoscenico al grande schermo le sue “macchiette” da consolidato uomo di teatro, sortendo l'effetto voluto (al botteghino) grazie soprattutto alla presenza di donne di conclamato fascino.
Ma il cinema del meridione, quello delle migliori intenzioni almeno, vuole partire da situazioni o personaggi da commedia per poi svuotarli e rovesciarli nel suo contrario. Per esempio i mafiosi de Lo zio di Brooklyn (1995) di Ciprì e Maresco, che sommergono di rutti, peti e sputi quel tanto di corpo comico che ancora si portano dietro, non fanno altro che celebrare, in un paesaggio da catastrofe, il funerale della commedia all'italiana. La deformazione dell'immagine e l'esagerazione del colore che caratterizza i film di Roberta Torre si trasferiscono, nella cinematografia di Ciprì e Maresco, nell'esaltazione della fisicità. La fisiologia e la deformazione di corpi immobilizzati sullo schermo dalla cinica immaginazione dei due cineasti siciliani, divengono mezzo, almeno secondo quanto afferma Roberto de Gaetano, per l'esaltazione del sublime: la fisiologia del corpo, nonché la sua deformazione si iscrivono nell'ordine di un appaiamento tematico e iconografico fra personaggio e ambiente in una sorta di “sacralità del degrado” che tiene insieme in una conversione reciproca, il grottesco e il sublime”(3). Questi si completerebbero vicendevolmente togliendo da ogni immagine ogni grado di oscenità per restituire alla visione la sua bellezza e alla realtà i suoi contenuti. Ciò che Ciprì e Maresco vogliono mostrare nelle loro opere è una sub umanità, una girandola di figure e corpi che attraversano la pellicola come una sorta di sarabanda carnevalesca. Non più quella mutuata dai propri sogni come nei film di Fellini ad esempio, ma acquisita dallo stato delle cose. La loro idea di Sicilia e di Sud è quella mostrata catturando la verità del reale dando ad essa significazione attraverso un profilmico fatto di esagerazioni e deformazioni.
Sembra allora che i nuovi cineasti degli anni Novanta (i migliori, almeno) abbiano capito che se la televisione e i media sono il territorio della neorealtà, compito del cinema è inventare nuovi mondi e forzare il reale per renderlo significante. Lo scopo non è più quello di riprodurre la realtà, né di rispecchiarla, bensì di romperla, tagliarla, deformarla, spremerla, modificarla e, soprattutto vestirla di nuovi colori.
Filmografia essenziale
Roberta Torre, Angelesse,1993
Gabriele Salvatores, Sud, 1993
Pappi Corsicato, Libera, 1993
Roberta Torre, Appunti per un film su Tano, 1995
Pappi Corsicato, I buchi neri, 1995
Roberta Torre, La vita a volo d'angelo, 1996
Roberta Torre, Verginella, 1996
Roberta Torre, Tano da morire, 1997
Cappuccio, Gaudioso, Nunziata, Il Caricatore, 1997
Ciprì, Maresco, Lo zio di Brooklyn, 1997
Antonio Rezza, Escorisndoli, 1997
Capuano, Corsicato, Di Lillo, Incerti, Martone, I Vesuviani, 1997
Ciprì, Maresco, Totò che visse due volte, 1998
Capuano, Sorrentino, Polvere di Napoli, 1998
Aldo, Giovanni e Giacomo, Tre uomini e una gamba, 1998
Vincenzo Salemme, Amore a prima vista, 1999
Gianni Zanasi, Fuori di me, 1999
Aldo, Giovanni, Giacomo, Così è la vita, 1999
Davide Ferrario, I figli di Annibale, 1999
Cappuccio, Gaudioso, Nunziata, La vita è una sola, 2000
Cristina Comencini, Liberate i pesci, 2000
Roberta Torre, Sud side stori, 2000
Sergio Rubini, Tutto l'amore che c'è, 2000
Vincenzo Salemme, A ruota libera, 2000
(1) Gianni Canova, La commedia e il suo doppio, in Mario Sesti (a cura di), La "scuola italiana. Storia, strutture ed immaginario di un altro cinema (1988-1996), Marsilio, Venezia, 1996
(2) Ibidem
(3) Roberto De Gaetano, Il corpo e la maschera. Il grottesco nel cinema italiano, Bulzoni Editore, 1999