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Lo spaesamento nella società del lavoro totale

di Toni Alcaro


Leggendo l'ultimo libro di Marco Revelli (Oltre il Novecento, Einaudi, Torino, 2001), la fine del ventesimo non può che essere accolta dal lettore con un profondo sospiro di sollievo per tutto ciò che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle. Oltre il Novecento, seguendo una linea concettuale sviluppatasi negli ultimi anni e di cui A. Gorz e J. Rifkin possono essere considerati tra i capostipiti, esprime innanzitutto un invito ad abbandonare, una vota per tutte, l'eredità del secolo trascorso senza rimpianti e nostalgie. Revelli conduce infatti una critica profonda del Novecento mostrando i fili nascosti che legano indissolubilmente le zone oscure del secolo (le due guerre mondiali, il nazifascismo e l'olocausto, la bomba atomica, il regime stalinista) con quegli aspetti unanimamente giudicati positivi ed esaltati anche dalla sinistra (la produttività, il progresso tecnologico, il Lavoro, la Razionalità, la Politica, e, per i comunisti, la lotta di classe). Cos'è che più di tutto ha dominato nel Novecento? Cosa permette di unificare gli eventi catastrofici che lo hanno caratterizzato e per cui è stato definito come "le temps des assassins" (le guerre, il nazismo, il regime comunista, la bomba atomica, ecc.)? Qual è l'origine dell'alienazione dell'uomo novecentesco e della sua perdita di senso e dell'identità? Nel cercare di rispondere a queste domande Revelli si sofferma sul carattere fondante del Novecento e cioè essere il secolo dell'affermazione e diffusione del lavoro di massa, per mostrare come sia proprio il prevalere della dimensione totale del lavoro e delle sue logiche strumentali la causa degli orrori e della violenza. Infatti, se da un lato il progresso tecnologico ha permesso di raggiungere livelli di distruttività senza precedenti, dall'altro si è assistito ad un progressiva perdita del senso propriamente umano dell'esistenza, colpito proprio dalla diffusione del lavoro totale. L'uomo del Novecento ha conosciuto l'alienazione perché inserito in meccanismi complessi e organizzati (la fabbrica, il partito, l'esercito, ecc.) le cui ragioni e finalità complessive si pongono su di un piano superiore rispetto a quelle dell'esistenza individuale e perciò sfuggono alla comprensione umana. Revelli riprende le idee di Anders e dei francofortesi per suggerire che la perdita del senso origina da una sproporzione tra capacità produttiva e capacità immaginativa, perché ad una smisuratezza disumana dell'apparato strumentale corrisponde una limitatezza degli strumenti soggettivi di giudizio. Il Novecento, come descritto nelle storie di Kafka, segna la sconfitta del soggetto nelle sue qualità umane ed emotive, piegato alle logiche della razionalità strumentale, delle Organizzazioni, e della ragione tecnologica. Queste logiche, affermatesi all'interno del sistema produttivo della fabbrica, diventano poi egemoni in ogni campo dell'esistenza. La società del Lavoro totale, con i suoi ritmi, i suoi valori e la sua organizzazione, ha prodotto una sorta di spaesamento dell'uomo, inserito all'interno di complessi ingranaggi meccanici (la fabbrica), burocratici (la Politica e lo Stato), militari (l'esercito), mentre si smarriva la capacità di comprendere e con essa qualsiasi responsabilità, ragion per cui il Novecento viene indicato da Revelli come il secolo dell'eterogenesi dei fini. Il secolo cioè in cui l'enorme apparato organizzativo e strumentale (il mezzo), evolutosi per servire un nobile scopo (il progresso, la giustizia, l'uguaglianza, ecc.), perde nel corso della storia ogni capacità di realizzarlo, perché si autonomizza e si sottrae al giudizio e alla comprensione umana. Proprio in quest'ottica, la critica anti - utilitaristica di Bataille e dei sociologi francesi appartenenti al M.A.U.S.S. trova la sua ragion d'essere. Infatti nella società moderna la forma universalmente riconosciuta di utilità sociale, il lavoro, diventa proprio il luogo della perdita dell'identità dell'uomo, della sua alienazione e del suo asservimento a logiche estranee e pericolose (il profitto e la concentrazione del capitale, la produzione, il mantenimento dell'ordine costituito, il progresso, il potere, gli interessi delle organizzazioni, dei partiti, degli Stati, la razza, ecc.). la vita dell'uomo moderno, inserita nei grandi apparati della fabbrica, dello Stato e dei partiti, sconta l'esperienza dello sradicamento (dalle società tradizionali) e la perdita della natura più intima e immediata delle cose, di un significato intrinseco e primario delle relazioni, dei valori non mercificabili o quantificabili dell'esistenza. Lo sradicamento della società moderna si comprende anche a partire dal rapporto, evidenziato da Céline, tra Bios e Techne . Si tratta cioè di una "Inedita capacità della macchina di invadere e violare la materia vivente. Di un'empia tendenza di Techne a penetrare fin dentro le piaghe più intime ed interdette del Bios , per occuparlo, sezionarlo ed usarlo come materia prima e come utensile. La violenza della tecnica sulla materia vivente raggiunge oggi, con l'applicazione delle biotecnologie, il suo apice e tutta la sua pericolosità. La critica revelliana del Novecento, non risparmia nemmeno le categorie della Politica e del Comunismo. Ben lontani dal raggiungere gli obiettivi della liberazione umana, essi avrebbero invece costituito un ulteriore strumento di assoggettamento dell'uomo agli interessi strumentali del Mercato e dello Stato (o del Partito). Così si esprimerebbe pienamente, fra l'altro, il disagio della volontà dell'uomo novecentesco, spinto da grandi ideali di cambiamento, ma costretto a piegarsi nello scontro con la realtà storica e ad assumere quei vizi e quelle colpe proprie del secolo. Quel che si verifica cioè nella realizzazione del modello comunista e dei modelli socialdemocratici occidentali è, ancora una volta, il fenomeno dell'eterogenesi dei fini, per cui gli obiettivi iniziali che avevano animato lo spirito rivoluzionario e riformatore dell'uomo (quelli di fondare una società più giusta e più libera) non vengono realizzati, e i mezzi ideati per il loro raggiungimento, il Partito, lo Stato, diventano invece strumenti di controllo e coercizione. E' infatti lecito considerare gli Stati delle democrazie occidentali e la loro politica riformista, da un lato, come strumenti per l'istituzionalizzazione ed il controllo del conflitto (e l'elaborazione foucaultiana ne da una chiara immagine), dall'altro, come garanti degli interessi del Mercato e dell'economia capitalista, attraverso la diffusione di un modello di vita basato sul consumo e sullo spreco di massa. "La pubblicità - scrive Marcuse - ha trasformato i lussi in vere necessità per ogni individuo, uomo o donnachi non li acquisisce rischia la perdita del proprio statussul mercato competitivo, nel lavoro come nel tempo libero. E ciò, a sua volta, comporta per ciascuno il perpetuarsi di un'esistenza interamente votata a prestazioni alienanti, disumanizzanti e quindi all'obbligo di ottenere un posto di lavoro che riproduca l'asservimento e ilm sistema di asservimento". L'anali critica del Comunismo, sia per ciò che riguarda la sua realizzazione storica nell'Unione Sovietica e nei paesi Asiatici, sia per ciò che riguarda la storia dei partiti comunisti occidentali, viene condotta da Revelli in modo da individuarne le colpe non come semplici accidenti di percorso (per es. l'ascesa al potere di Stalin), ma come risultato dell'infiltrazione progressiva all'interno dell'esperienza comunista di quegli elementi disumani del secolo contro cui si era originariamente sviluppata. In questo modo il Comunismo, "nato dal progetto prometico di dare forma al lavoro liberato, ha finito per porre in essere il più potente, esteso e apparentemente irresistibile apparato politico di coercizione sulla dimensione sociale del lavoro". L'incapacità del Comunismo di trovare una realizzazione storica che possa essere considerata una vera liberazione dell'uomo dipende, secondo Revelli, dal prevalere all'interno dei militanti comunisti (sia in Occidente che in Oriente) di quella razionalità strumentale per cui il mezzo della rivoluzione (il Partito), divenuto fine in sé, impone una logica di subordinazione individuale e sociale ai suoi interessi. La forma - Partito è indicata proprio come uno dei fattori maggiormente responsabili del naufragio comunista e dell'impossibilità di costruire un'esperienza realmente rivoluzionaria e liberatoria. I partiti comunisti sono infatti intrisi dell'ideologia produttivistica e costruttivistica novecentesca, e "di quella dinamica sociale apparentemente demiurgica che a partire dal proprio epicentro - la produzione di fabbrica, il pieno dispiegarsi della logica del lavoro totale - genera appunto una regressione di ogni dimensione strumentale". L'essere incapace di realizzare un progetto realmente rivoluzionario da parte della forma - Partito, dipende cioè dalla sua stessa logica strumentale ed organizzativa, come dal suo caratterizzarsi come mezzo per la presa del potere. In sostanza, quindi, dall'avere negato alla dimensione sociale, spontanea ed antiutilitaristica dell'esistenza umana ogni importanza ed ogni valore e dall'aver trascurato la sua intrinseca potenzialità rivoluzionaria e antisistemica.



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