Questo contributo vuole solo aprire un ambito di analisi,
ricerca, confronto su una dimensione sostanziale e caratterizzante la vita
complessiva in una comunità.
La questione della salute/malattia e dell’organizzazione
della medicina come dispositivo istituzionale/culturale per il
"governo" della malattia nel contesto della nostra città, va letta
nella specificità territoriale sede di definizione della domanda sociale, di
aggregazione degli interessi, di interazione di questi ultimi con i valori, con
le espressioni dei bisogni ecc.
Siamo in una città del Sud e dunque la questione della
sanità non può non tener conto della questione meridionale connessa alla
dipendenza e alla subordinazione delle aree meridionali, con i caratteri
distorsivi propri delle economie e delle società dipendenti.
La città, negli ultimi decenni, ha subito l’inversione e l’arresto
del flusso migratorio, la fine delle crisi economiche con l’esplosione dei
consumi ed anche la crisi del welfare e il sostanziale fallimento dei momenti
riformatori.
Sostengo che in città sono operanti vincoli ed ostacoli
istituzionali ai processi riformatori nonché processi di modernizzazione che
non sempre corrispondono al miglioramento sociale e di qualità della vita. Va
ricordato che il sistema sanitario è una struttura complessa che non ubbidisce
alle finalità primarie di curare i malati, questo è il fine dichiarato che in
realtà è un mezzo per altre finalità: sviluppo industriale, regolazione della
spesa pubblica, mantenimento di sistemi parassitari, mantenimento di privilegi e
poteri corporativi ecc.
Orbene, se la fase che stiamo attraversando è di
indebolimento sostenziale dei diritti sociali ( forse non reversibile), come si
manifesta nella nostra città?
E la questione della salute che ruolo vi svolge? Quale cioè
il ruolo della sanità nel processo di modernizzazione della nostra realtà?
Quali sono i canali di esclusione/inclusione sociale?
Quale il ruolo istituzionale?
Complessi sono gli ambiti da esaminare storicamente e nei
loro influenzamenti reciproci.
Qui mi limito a porre questioni aperte e contraddizioni,
forse, non secondarie.
Come, dunque, nella nostra città, la sanità ha realizzato,
favorito, anticipato il processo riformatore ovvero lo ha snaturato, ritardato,
impedito? Questa domanda per porre le questioni tra sviluppo e sanità, nei loro
influenzamenti reciproci.
Proprio nella sanità si può cogliere il permanere di
arcaismi, di sottosviluppo, di ritardi, e l’operare di nuove contraddizioni
nell’ambito dei processi di modernizzazione:
La sanità è un interessante indicatore in questa dicotomia:
può infatti valorizzare la salute (qualità della vita, processi di democrazia
attiva, relazioni e processi di integrazione sociale, consapevolezza collettiva)
ovvero dilatare la medicalizzazione come modalità di riduzione delle dimensioni
socio-ambientali-storiche a competenza medica.
Il processo riformatore nel campo della salute è iniziato
negli anni 70 (la 833 è del 78) ed è, con varie contraddizioni, involuzioni e
slanci, tuttora in corso. (vedi scheda 1)
Orbene, nel meridione, in Calabria in particolare, a Cosenza
in specie, l’intervento dello Stato negli ultimi decenni non ha avuto il senso
dello sviluppo di un processo di emancipazione dei protagonisti, piuttosto di un
rafforzamento del ceto politico che controlla i canali della spesa pubblica.
Qui l’apparato di gestione-denaturazione delle riforme è
andato rafforzandosi (ne sono esempio la struttura del potere medico, del ceto
politico e degli stessi amministratori ……, che, insieme, spesso hanno
costituito un blocco di forze controriformatrici …. Senza che si sviluppasse
un’altrettanto forte opposizione).
Nell’ottica della riforma dunque la sanità è in ritardo,
presenta contraddizioni, non è un volano di emancipazione, non per generica
arretratezza meridionale, ma per i vincoli istituzionali cui accennavo.
L’istituzione delle Aziende Sanitarie, con la definizione degli ambiti
territoriali e dei poteri decentrati di governo e gestione, è stata un’occasione
di moltiplicazione dei centri di poteri: Il quadro si è ulteriormente
complicato con l’aziendalismo.
Dal '95 nella città sono presenti due Aziende Sanitarie,
quella ospedaliera e quella territoriale; in analogia reciproca con Catanzaro e
Reggio Calabria.
Non basta, d’altronde, modernizzare, ciò non significa
automaticamente progresso civile, ma può significare, invece, controllo sociale
e che le istituzioni della sanità hanno spesso svolto prevalentemente questo
ruolo è indubbio.
La presenza dello Stato nel settore della difesa della salute
è una delle espressioni del processo di modernizzazione, eppure la qualità e
la gestione di questo processo ha prodotto gravi patologie sociali.
Chi è stato beneficiato dallo stato sociale? Sarebbe una
bella e preliminare domanda per comprendere cos’è l’indebolimento dei
diritti sociali e di cittadinanza.
Con istituzioni che attivamente sono di impedimento dei
processi riformatori andrebbe esaminato il rapporto tra sapere e potere (ad
esempio quello medico), specie in epoca di modernizzazione.
Nella nostra città , intanto, non si può affermare che la
sanità, che la medicina, assicurino una buona coniugazione tra l’efficienza e
l’equità!
Scarsa è la negoziazione tra medico e malato, tra
amministratore e cittadino! Scarsa è la comunicazione tra infermità (punto di
vista del malato) e patologia (punto di vista del medico).
Il malato, cioè, continua ad essere "paziente", a
volte "utente", o, modernamente, "cliente", ma quasi mai
persona-cittadino.
In assenza di democrazia e sviluppo di partecipazione e di
elaborazione collettiva dei conflitti, la stessa grande questione della salute
è affidata all’ assistenzialismo, ai mille rivoli del privato parassitario e
del pubblico debole.
Le stesse istituzioni finiscono, dunque, per svolgere un
ruolo di controllo sociale perché distanti e snaturate!
L’istituzione medica in città è un ospedale, che fa
azienda a sé, e intorno una miriade di strutture private (sovvenzionate dal
pubblico) con flussi finanziari diretti dalla Regione alle Aziende Sanitarie alle cliniche
"convenzionate", e oggi, con altre "snaturazioni" non solo
linguistiche della riforma, "accreditate".
Poi, in città, opera una serie di servizi, di centri
diagnostici, di agenzie varie, di studi privati convenzionati, accreditati ecc.,
che concorre a definire una sorta di sanità diffusa, subliminale, ma
grandemente efficace nel mantenere e riprodurre forme arcaiche, dipendenti,
assistenziali, paternalistiche del legame sociale.
I servizi pubblici, quando sono presenti, sono
"poveri" e inefficaci per scelta politica, per attivo impedimento al
loro decollo. (vedi scheda 2)
Sanità e medicina non coincidono, la prima risponde a
logiche di tipo economico, la seconda, invece, a logiche di equità.
Nella nostra realtà e nel momento storico attuale tende a
prevalere la sanità, cioè l’economicismo, l’efficienza contro l’equità.
La città di Cosenza risente della accelerazione dello
sviluppo dell’ospedale, centro operativo ed ideologico del sistema sanitario,
cominciato dagli anni 70 e continuato e spesso accentuato con la forma
gestionale di tipo "aziendale", "manageriale". (vedi scheda
3)
Non è possibile qui estendere il discorso sulle analisi
delle ideologie dello e nell’ospedale (ospedale come fabbrica e come officina
di riparazione; ospedale come massima delega al potere medico; come luogo di
denaturazione della malattia rimosse dai luoghi dove essa nasce e si sviluppa;
come luogo, nodo e volano di interessi economici, politici, clientelari ecc.) ma
segnalare che la sua centralità permane e permea la sanità, tanto
riconfermando vecchi schemi caritativo-assistenziali con il permanere del senso
di ineluttabilità della malattia e conseguente sottomissione del malato all’istituzione
e ai suoi gestori; quanto caratterizzandosi e diffondendo modelli biopatologici
di stampo positivistico, oggettivo, neutrale; quanto, infine, diffondendo i
nuovi modelli a forte contenuto tecnicistico, tecnologico, imbevuti cioè di
trionfalismo progressivo tendenti ad una gestione totale, informatica, di
qualità, dei problemi.
Ne è un esempio il fatto che la modalità della classe
egemone di accesso alle prestazioni sia caratterizzata da un "savoir faire"
definibile come capacità di procurarsi informazioni privilegiate e
raccomandazioni, grinta sufficiente a far convergere su un dato classico l’attenzione
necessaria.
Tutto ciò permane anche in fase di enorme espansione delle
attività mediche e anche con la sostanziale democratizzazione dell’accesso
alle prestazioni.
Brevemente il rimando paradigmatico ad un particolare
ospedale: il manicomio.
E’ stato distrutto in Italia, ma ciò non significa che lo
sia stato per sempre e comunque.
Il manicomio è un’istituzione, appunto ospedaliera, che
funziona con logica sottile ma implacabile: è un’economia sofisticata e che,
seppure preferisca indossare il nuovo, l’ultimo grido, può anche
infischiarsene di ripresentarsi con i suoi vecchi abiti, con gli stracci vecchi.
Così in Calabria, e nell’Azienda Sanitaria di Cosenza, permangono sacche
di manicomio con gli stracci vecchi, assieme a sempre più ampie zone di
camuffamento nuovi, contestuali a vuoti, abbandoni, indifferenza, inadeguatezza
culturale e civile.
Ritorna una domanda: cosa è accaduto quando è andato in
crisi il Welfar State, e si è affermata l’aziendalizzazione della sanità
pubblica ed è avvenuta la cesura di ciò che si chiamava il socio-sanitario?
Certo si è anche aperta la strada ad una nuova
istituzionalità tramite:
Per quanto riguarda, poi, la diffusione della psichiatria di
comunità ancora siamo indietro in termini quantitativi e di mera efficienza:
non un day-hospital, non un Centro Diurno.
Prevale un’ambulatorietà diagnostico-terapeutica invece di
un intervento antropologico sociale complesso.
Prevale la pratica dell’ospedalizzazione del disagio:
Servizi Psichiatrici ospedalieri (SPDC) ampliati e duplicati.
Nessuna struttura intermedia, non solo per i dimessi dai
manicomi ma soprattutto per la nuova utenza "maggiore" regalata ai
privati o a lungo resa permanente negli SPDC o manicomializzata a domicilio.
Eppure potrebbero affermarsi anche nella città pratiche e
ricerche nell’ambito di progetti trasformativi importanti, utilizzando momenti
propulsivi di saperi contigui alla psichiatria: a Cosenza è viva la realtà
universitaria, ma ciononostante non è stato possibile avviare, finanziare,
sostenere progetti di formazione ad esempio per il disagio adolescenziale, per
la riabilitazione sociale, per l’epidemiologia dei diritti approntati dai
servizi territoriali in collaborazione con saperi disciplinari presenti in quell’Università
(psicologia, sociologia, antropologia, filosofia ecc.).
Concludo riflettendo sul fatto che in fase di marasma dello
Stato Sociale l’impianto aziendalistico della sanità pubblica in una città
meridionale forse non può che produrre il massimo dei danni possibili.
La sanità pubblica predetermina la domanda sanitaria in base
a budget e ai centri di costo, e tutto ciò che non attiene direttamente alla
"cura" e che riguarda l’integrazione sociale: casa, lavoro,
ricostruzione di reti nazionali, di identità, di validazione ecc., viene
semplicemente delegato al privato più o meno sociale.
senza programmazione regionale
Nel '95 la regione della Basilicata, ad esempio, aveva redatto
il V° piano sanitario regionale.
Tale riferimento per segnalare che Cosenza risente della
quasi assoluta mancanza di capacità/volontà/cultura programmatoria della
Regione che si coniuga con una gestione e attuazione improvvisata. Infatti sono
i piani regionali che rimandano ai piani attuativi delle singole Aziende
Sanitarie istituite il 1°/2/95).
Quell’unico piano sanitario regionale del 95, ad esempio,
comportava che le Aziende Sanitarie approntassero i piani attuativi in 2 o 3 mesi;
improvvisazione, inattuazione, inapplicazioni parziali, stravolgimenti,
deformazioni (in base ad interessi locali, parziali, politici, amministrativi,
professionali ) sono i termini propri del destino e dell’evoluzione negli anni
dell’incapacità, e della non volontà programmatoria.
Dal 95 ad oggi nella Regione si sono succedute
alternativamente giunte di centro-sinistra e centro-destra (4 alleanze
politiche, 5 assessori, una miriade di Direttori Generali nelle Aziende Sanitarie ).
In particolare nell’Azienda Sanitaria di Cosenza in 5 anni si sono
succeduti 6 Direttori Generali e nell’Azienda Ospedaliera 2.
L'azienda territoriale è organizzata in 5 Distretti: con
proliferazione di apparati burocratici più funzionali ai personalismi, alle
carriere, alla frantumazione dei servizi, ecc. che al governo dei processi di
salute-malattia(la norma indica un Distretto per un minimo di 60.000 abitanti).
Il Distretto di Cosenza (unico capoluogo di provincia) è
privo di un poliambulatorio specialistico.
In compenso operano una miriade di studi, laboratori, e altri
presidi (convenzionati, accreditati "provvisoriamente", cioè
sovvenzionati col denaro pubblico).
Nell'A.S. operano, inoltre, 14 cliniche private
(convenzionate, accreditate "provvisoriamente" ) (con un totale di 960
p.l.) di cui 7 per l'assistenza ospedaliera, 4 per attività
medico-riabilitativa, 2 ad indirizzo psichiatrico.
Nel 2000, sono costate 92 miliardi
Nel 2001, 98 miliardi
Nell'Azienda Sanitaria il finanziamento (a quota capitaria) FSN
determinato dalla Regione è contemporaneamente "sottostimato" e
"sperequato" rispetto ad altre Aziende Sanitarie .
L'Azienda Sanitaria governa un ospedale ad Acri.
L'Azienda Sanitaria governa inoltre il circuito assistenziale
riabilitativo e dell'esclusione: anziani, handicappati, malati mentali
(psichiatria, riabilitazione, RSA, comunità , cliniche, istituti vari) anche qui
con gravi fenomeni di arretratezza, favoritismi, assistenzialismo,
medicalizzazioni, istituzionalizzazioni, con interessi professionali,
imprenditoriali preminenti.
Il disavanzo dell'Azienda Sanitaria per il 2000 è di oltre 40 miliardi in
un bilancio complessivo di 377 miliardi, che si somma a quelli degli anni
precedenti,sì da definire, allo stato attuale, un disavanzo di oltre 80
miliardi.
Consta di oltre 1600 p.l. (posti letto) tra il presidio di
Cosenza "Annunziata", "Mariano Santo", Rogliano "Santa
Barbara".
Nell’Azienda Ospedaliera è evidente la sperequazione tra la
"modernizzazione" strutturale-tecnologica e la qualità e la
pertinenza dei servizi rapportati ai bisogni sanitari della popolazione, che
continua ad emigrare o subire scarse risposte.
Dal '96 al 2000 investiti 140 miliardi per costruzione nuovi
padiglioni, ristrutturazioni e adeguamento tecnologico.
Il finanziamento dell’Azienda Ospedaliera avviene per DRG
(sistema complesso e diverso da quello a quota capitaria dell’Azienda Sanitaria ).
Nel 2001 viene assegnata la quota spesa ospedaliera pari a 259
miliardi.
Da un’indagine sul sistema ospedaliero nazionale il
Tribunale dei Malati ha, nel 2000, relegato al quart'ultimo posto, nella speciale
graduatoria, per qualità e adeguatezza dei servizi ospedalieri, l’Azienda Ospedaliera di
Cosenza (l’ultimo posto è stato riconosciuto all’Ospedale di Lungro).