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Globale e locale

di Mario Alcaro


Viviamo nell’epoca della biopolitica, diceva profeticamente Foucault, cioè nell’età del governo della vita, ossia nell’età della manipolazione tecnologica dei processi vitali e delle forme di espressione correnti dell’esistenza quotidiana. «Il diritto alla vita, al corpo, alla salute, alla felicità, alla soddisfazione dei bisogni, il diritto a ritrovare al di là di tutte le oppressioni e alienazioni quel che si è» (P. Barcellona), è sottoposto ad una continua censura e ad una costante imposizione di plasmazione, revisione, riadattamento.
Il potere economico non si limita più ad esercitare un controllo e un dominio sulla fabbrica, su i luoghi produttivi, su i posti di lavoro. Da tempo, ormai, è debordato ed ha invaso la società. Il controllo deve essere totale. La società viene rimodellata nelle sue strutture, nella sua organizzazione, nelle sue abitudini di vita, nelle forme dei suoi consumi e persino delle sue diete alimentari.
Il risultato è un’artificializzazione del mondo e della vita, un loro snaturamento, nel senso letterale del termine. Snaturamento dell’ambiente, dei luoghi, dei territori, i quali vengono ridotti esclusivamente a fondo, ossia ad accumulo, insieme di scorte, smisurato magazzino di materie prime e di energia a disposizione, mentre l’uomo si trasforma in colui che impiega il fondo, in signore della terra che non incontra «più altri che se stesso» (Heidegger). Snaturamento della vita umana che perde il suo centro di gravità permanente, cioè il fulcro attorno a cui si costituisce e si raccoglie: la comunità.
La comunità, anzi le comunità, questi centri che hanno prodotto una sintesi mirabile di natura e cultura, che hanno prodotto una grandiosa opera di plasmazione culturale dei dati naturali della vita, questi centri propulsivi della civilizzazione dell’umanità, sono ormai divenuti superflui. Non servono più. Non sono funzionali ai mercati. Sono anacronistiche sopravvivenze. Vanno superati, spazzati via, sostituiti. Sostituiti da che cosa? Dal processo di globalizzazione galoppante che non conosce differenze culturali, modi diversi di interpretare l’esistenza, forme differenziate di dare un senso alla nostra presenza nel mondo.
Contro questo processo di artificializzazione del mondo e di snaturamento della vita nelle forme storiche che si è data, noi dobbiamo riaffermare il dato naturale del nostro radicamento sul territorio e dei nostri rapporti con la natura; e dobbiamo rivendicare la centralità di quel depositario dei caratteri dell’umanità che è la comunità.
La difesa dell’ambiente naturale e della comunità deve essere l’asse portante della nostra azione politica. Proprio per questo il locale – che è l’altra faccia del globale – assume un rilievo tutto particolare in questa fase politica.
L’importanza della dimensione del locale è connessa : 1) all’affermazione del diritto alla vita di quelle popolazioni (i quattro quinti dell’intera umanità) che vengono progressivamente private della loro economia di sussistenza e inserite in un mercato globale che esautora ed emargina i loro prodotti poco competitivi, condannandole alla miseria, alla fame, alla morte per stenti; 2) alla salvaguardia delle identità delle comunità di tutte le latitudini del Pianeta; 3) alla tutela del loro ethos, delle tradizioni culturali, dei costumi e dei valori che faticosamente hanno elaborato nel corso di millenni; 4) alla difesa delle forme di socialità e di solidarietà, ossia della ricchezza di quella relazioni sociali e di quei rapporti interpersonali che sono costantemente sottoposti ad una sistematica opera di distruzione da parte degli incontrollati processi di globalizzazione; 5) alla protezione dei luoghi (la piazza, i quartieri, ecc.) deputati agli incontri e alla comunicazione sociale; 6) al potenziamento e all’espansione degli spazi pubblici della decisione politica per consentire alle comunità una democratica espressione del loro proprio modo d’essere e di collocarsi nel contesto del villaggio globale.
La rivendicazione dell’importanza del locale non significa chiusura localistica, né angustia campanilistica e provincialistica, né nostalgia agreste e reazionaria. Non c’è che un modo di pensare e praticare un progetto di un’unificazione dell’umanità che non sia il risultato delle forzature del profitto economico e del dominio distruttivo dei mercati: la coesistenza, democraticamente fondata, delle varie vie che l’umanità ha seguìto nella sua opera di civilizzazione, e il rispetto delle varie identità, delle esigenze e dei bisogni materiali delle comunità che popolano il Globo.



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