Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


La città di Cosenza nel magistero sociale di Mons. Giuseppe Agostino

di Ercolino Cannizzaro


"Niente sta più a cuore alla Chiesa che di servire al bene di tutti… Il Concilio, perciò, esorta i cristiani, che sono cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno, … collaborando con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano".
E' alla luce di questi principi conciliari - affermati nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (nn. 42, 43 e 57) e più volte richiamati nei suoi interventi - che si è espresso, in questi anni, il magistero sociale di Mons. Giuseppe Agostino. In un'ottica che non è e non può essere di conquista di una qualche forma di potere, di leadership sociale o politica, bensì di "svuotamento" dello stesso potere, che diventa responsabilità e servizio in vista del bene comune, secondo quella logica "rovesciata" e paradossale enunciata da Gesù nel Vangelo di Luca (cap. 22, 25-27): "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve".
In apertura del Convegno diocesano del Settembre 1999, a un anno dal suo arrivo a Cosenza, Mons. Agostino, facendo un'analisi della Chiesa e della società cosentine, affermava: "Per il millennio che si apre la Chiesa cosentina ha tra i suoi impegni di essere lievito, secondo il Vangelo, nel suo contesto umano-sociale… Relativamente al nostro vissuto è doveroso esaminare la situazione socio-economica e culturale dell'area del cosentino, con particolare attenzione alla nostra diocesi, alla nostra città capoluogo. Intendo partire da alcune affermazioni di taglio etico che ho fatto in un'intervista televisiva nei giorni scorsi… La mia analisi ha suscitato interesse, in alcuni stupore, in molti consenso e, direi, conforto. In alcuni ambienti politici, come spesso avviene, ha corso il rischio di essere strumentalizzata; ad altri il mio dire di Pastore è apparso insolito per una visione di Chiesa relegata all'intimismo, al devozionalismo, all'astrattezza e non ad una fede liberante. Si può confondere una voce che grida nel deserto con una pretesa di leadership, per avere peso politico? Assicuro che non è così. E', invece, l'ansia per l'uomo che spinge a parlare in nome della fede. Una fede che non mette le mani nelle piaghe dell'ingiustizia è evasiva, se non narcotizzante". Tuttavia, proseguiva, "non conta gridare "contro", ma seminare "per". Mio sogno e mio compito è che tutta la Chiesa cosentina, con il suo Vescovo, sia voce, segno, profezia, mentre mi pare che, in questa Chiesa, pur riscontrando lucidità di analisi, coscienze attente, manchi un sussulto comunitario. Si gira su se stessi, si è chiusi nel proprio guscio. Perché? La ragione è la stessa che si riscontra nel sociale e che interpreto con quanto segue. I problemi ci sono e tanti. Noi sappiamo che uno sviluppo, per essere integrale ed autentico, non declamatorio, enfatico, ha bisogno di un supporto etico. Senza etica, cioè senza una forte radicazione valoriale, dove ogni persona può essere se stessa, può svilupparsi nelle sue potenzialità, esercitarsi nei suoi diritti ed aprirsi alla partecipazione ed all'impegno, senza questa etica tutto è artificio.
Ora, nel cosentino, è rilevabile una triplice tentazione:
a) vi è diffuso un notevole imborghesimento che, in fondo, è disimpegno, moralismo e, in alcuni casi, fariseismo;
b) vi è, ancora, una "società inquadrata". Che cosa intendo dire? Ricevo spesso confidenze di persone che sono bloccate nella loro professionalità e, mi consta, su tanti fronti della vita civica, perché non si sono allineati in gruppi che si organizzano come chance di sicurezza gratificante. Chi non è del gruppo non passa, anzi non di rado è emarginato. Questa non è democrazia, non è civiltà, non è libertà. Vi è, poi, in Cosenza, una oligarchia di casati, di famiglie che intendono "dare il tono", ma questo blocca la crescita partecipativa della societas, in tutte le sue componenti. Altra "inquadratura" è quella delle molte differenze, specie dei poveri che sono costretti ad agganciarsi, per la loro sopravvivenza, talvolta agli usurai, non di rado alla politica o, comunque, a vari tipi di mafia o di mafiosità;
c) in questo contesto c'è rassegnazione, quasi fatalismo. A differenza, però, di altri luoghi ove le ferite sono evidenti ed evidenziate, qui si tende a coprirle, forse non intenzionalmente ma, mi pare, per donare un volto illusorio, falso, dell'ambiente, della civitas, che così è solo fittizio".
E' un'analisi che individua un vero e proprio "blocco" della società e della democrazia in questa città, il cui superamento richiede un impegno notevole da parte di tutti, cominciando da un serio "esame di coscienza": "Deve crescere la partecipazione, la società - proseguiva l'Arcivescovo -; la nostra Chiesa dev'essere animatrice di una coscienza e di un risveglio sociale. Noi non facciamo politica, ma la evangelizziamo, lavorando nelle premesse di essa, creando cultura sociale, coscienza civile, moralità e legalità. Ma, per questo, come Chiesa dobbiamo uscire dal nostro chiuso, dal nostro recinto che, talvolta, ci isola anche all'interno, ed avere il respiro del mondo e seguire i passi dell'uomo. Dentro la nostra Chiesa noto un'immaturità partecipativa che si fa assenza o irrompenza. Partecipare non è imporsi, ma ascoltarsi e costruire" (cfr. Atti Ufficiali, Anno I, n. 3, settembre-dicembre 1999, pp. 46-48).
In una successiva occasione, tornando sui problemi già evidenziati - la mafia, la corruzione, l'usura, il clientelismo politico "familiare", l'emarginazione sociale, la crisi del lavoro -, Mons. Agostino annotava: "Questa città non avrà un futuro se non crescerà la comunità civile. Un obiettivo che non può vedere estranea la Chiesa. Oggi, più che in passato, è necessaria una presenza della Chiesa capace di entrare concretamente nel cuore dell'uomo. Non chiusa soltanto nel culto, nel sacro, ma vicina alla gente e ai suoi problemi, al suo quotidiano confronto con la realtà non facile in cui vive ed opera. Una Chiesa, però, più pura, più libera, veramente testimone di Cristo, che non giochi a nessun compromesso, ad alcun adattamento" (Intervista alla Gazzetta del Sud, 14.8.2000).
Una Chiesa "impegnata", dunque, nella testimonianza dell'Evangelo, laddove alcuni vorrebbero "o una Chiesa accodata, quindi di parte, o una Chiesa silenziosa, quindi assente" (cfr. Parola di Vita, n. 1/2000, p. 5). Una testimonianza che sia capace di discernere, alla luce della fede, il nostro vissuto sociale, il volto "bifronte" della città dell'uomo. Essa è, infatti, "la città che cresce ma che, su tanti piani, s'involve; è la città delle multimedialità, ma che si fa sempre più muta per una diffusa incomunicabilità; è la città dove nascono i bimbi che sognano, giocano, ma che sono tristemente attesi da ingranaggi schiaccianti; è la città dove i giovani programmano la loro vita di amore e il loro futuro professionale, ma dove sono frustrati dalle crisi di lavoro e come parcheggiati nell'incertezza; è la città che declama, ed in modo assordante, la libertà, ma che è subdolamente asservita ed asservente, gestita da non pochi poteri occulti. E' la città delle leggi sempre più innovative, ma anche delle mafie più pressanti. Non sono quindi due città distinte, ma la "stessa città", dove opera questa doppiezza, questa conflittualità" (Lettera Pastorale Le due città, 8 settembre 2000, p. 7).
"I gruppi lobbistici - scriveva l'Arcivescovo nello stesso documento -, di sostegno corporativo dei soci, e che sono o politici, o ideologici, o di appartenenze più o meno segrete, sono rischiosamente disgreganti" (p. 53). Ancora più devastante è la presenza, in città, della criminalità organizzata: "C'è un "rosario" sempre più lungo di morti ammazzati e di feriti ", annotava nella recente Lettera aperta a Caino. E proseguiva: "Cosenza ed il suo comprensorio, a riguardo, sono divenuti terra di frontiera. Le nostre strade sono, non di rado, covi di violenza. Ed è triste, purtroppo, che la città non abbia una forte reazione… Al di là della legge, che deve fare il suo corso e donare sicurezza al vivere sociale, la Parola di Dio ci dice che non dobbiamo limitarci a condannare Caino, ma cercare la sua redenzione. E questo devono farlo la famiglia, la scuola, la Chiesa, così come una politica più puntuale, trasparente ed efficace… Possa la nostra città non essere più insanguinata nelle sue strade, possano questi morti giudicarci per le nostre assenze, i nostri vuoti educativi". Sono realtà che si affermano con la loro durezza, laddove si riscontra, invece, una debolezza nel "culto della memoria", una mancanza di "sussulti" e "vibrazioni", un'adagiamento che diventa "copertura", coltivazione di interessi egoistici all'interno di club esclusivi, i cui membri sono in cerca di una mutua assicurazione per il futuro (cfr. Intervista a Parola di Vita, n. 7, settembre 2001, pp. 7-8).
Diventa allora urgente una presa di coscienza, come cristiani e come cittadini, della situazione reale, in vista di una trasformazione possibile, che sia capace di ancorarsi alla concretezza del quotidiano: "Nel cosentino - scriveva Mons. Agostino nella già citata Lettera Pastorale - dobbiamo uscire dalla passività ed essere soggetti attivi e corresponsabili della nostra storia. Lo specifico della Chiesa è formare coscienze, preparare i giovani, testimoniare giustizia e legalità, pregare per il bene comune, essere voce profetica, sostenere chi non ha voce e proporre a tutti uno spirito di servizio che contrapponga, nella "città dell'intrigo", modelli di impegno per l'uomo, per la vera libertà e per una autentica giustizia" (p. 48). " Lo spirito di servizio - annotava in un'altra occasione, parlando della Pasqua come evento di liberazione in rapporto alla politica (Parola di Vita, n. 3/2000, p. 5) - vuole il superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso alla slealtà ed alla menzogna, lo sperpero del denaro pubblico per il tornaconto di pochi e con intenti clientelari, l'uso di mezzi equivoci ed illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere… Non conta, anzi è negativo essere cristiani del potere. E' urgente, invece, dare forza ai valori che derivano dal Vangelo. La Pasqua sarà evento storico se crescerà l'etica sociale, se ci sarà il silenzio degli interessi, se la carità farà giustizia, se l'essere custodirà l'avere, se l'uomo sarà più uomo nella sua dignità e nei suoi rapporti. La politica cristianamente illuminata è l'impegno per liberare la storia da ogni ambiguità, violenza e per autenticare l'uomo in integralità. Cristo è, infatti, la vera e sola pienezza dell'umano".



Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


L'edizione on-line di Ora Locale e' ideata e progettata da
Walter Belmonte