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Genova vista da piazza XV marzo
Emozioni e frammenti di memoria dalle tre giornate contro il G8

di Claudio Dionesalvi


Macinare asfalto, in un corteo di luglio, per le strade di Cosenza. È solo allora che ti accorgi d’essere sopravvissuto ad una battaglia. L’illusione è quella di non aver mai smesso di camminare. Brignole, Lungo Crati, un pavimento unico. In piazza, in un torrido martedì di luglio, è scesa la parte più sensibile della città. Ultrà, militanti dei centri sociali e reduci della tre giorni, ma anche professori universitari, padri di famiglia e persino un giudice. Tutti sullo stesso metro quadrato di cemento, nella suggestiva piazza XV Marzo, per la liberazione degli arrestati nelle manifestazioni contro il G8, a 48 ore dal rientro a casa.
Già, a casa. Ma qual è la nostra casa? Quella in cui siamo sempre vissuti? Oppure uno stadio secondario, a qualche centinaio di metri dal mare di Genova? Un campetto chiamato Carlini.
In cammino, a braccetto con gli stessi compagni di tre giorni prima. Fianco a fianco. Con le medesime facce di sempre. Stanchezza zero. Solo, una specie di calore dentro. Difficile spegnerlo. Sono vampate. Arrivano dall’interno e ti fanno apparire scura la città, magnetica. Il corteo è emotivo. In testa, la frase assassini. Prime file: solo cori contro poliziotti e carabinieri. Insomma, di nuovo a casa, quasi come al G8. Numericamente inferiori, ma ritmicamente all’altezza. E sempre quel sapore in bocca. Una sensazione di assenza, nostalgia, distanza.
Genova e le sue infinite storie. Si voleva civilmente disobbedire. Eravamo un’armata di carne viva e cartone pressato, contro un esercito di plastica dura e metalli pesanti. Laura è calabrese d’adozione, ma proviene da un altro pezzo di mondo. A due mesi da quel 21 luglio, si trovava ancora in ospedale, con una rarissima infezione polmonare. Giura di aver attraversato in motorino, su e giù, la città della Lanterna. Ha raccattato numerose cartucce di lacrimogeni esplosi durante gli scontri. Pare che una di esse recasse la scritta al cesio. È una sostanza nociva per la salute, e forse addirittura cancerogena. Chissà cosa ne pensano i sindacati di polizia!? Anche nella chemioterapia si usano metalli pesanti. Stessa logica: Faccio fuori le cellule buone, ma almeno elimino le cattive. O forse: Con la scusa di eliminare le cattive, distruggo le buone. A Genova, con la scusa di perseguire quelli vestiti di nero, sono state brutalizzate centinaia di persone inermi.
Buono, cattivo: parole troppo povere. Categorie strette. Eravamo forse buoni noialtri, nel Carlini, quando arrivò la notizia che il G8 era stato sospeso? Esultammo. C’era poco da gioire, mi pare. Il sangue di Carlo era ancora caldo. RadioGap parlava di due giovani ammazzati negli scontri. Ma alzammo le braccia al cielo, perché il G8 era stato sospeso. Solo Giannino, 16 anni di cui 2 passati al riformatorio, rimase impietrito. A lui, dei potenti della Terra, non gliene importava nulla. Si sentiva un nodo in gola per quel ragazzo abbandonato sull’asfalto. Un guagliune di strada, come quelli con cui Giannino è cresciuto, in una piazza di Cosenza vecchia. E quando dal palco del Carlini iniziarono i comizi, e un militante napoletano infilò il tema della mafia in un’arringa contro il Potere, Giannino mormorò: Che ne sai tu della mafia? Solo io posso capirla, ché ho mio padre in galera da quando sono nato.
Ventiquattro ore dopo, altri 10 calabresi si preparavano a fare irruzione, insieme ai loro colleghi, nella scuola media Diaz, rifugio di tanti manifestanti. Dieci uomini in divisa, provenienti da Reggio, Siderno e forse anche da Cosenza. Dieci agenti che finiranno nel registro degli indagati, per le brutali violenze ai danni dei giovani fermati.
Genova è stata questo ed altro. Una fiumara umana che aveva, ed ha, la pretesa di abbattere il mito di Cròno, perennemente radicato nel nostro pensiero. Forse, da un certo punto di vista, Berlusconi ha ragione quando afferma che gli anti-G8 sono nemici della civiltà occidentale. Se essa è fondata sul concetto di tempo, un tempo che divora i corpi, allora i movimenti scesi in campo a Genova avevano effettivamente la pretesa di abbattere questa forma di società. Perché tutti noi abbiamo avuto la sensazione che il tempo, in quei giorni, si fosse fermato. Ed era quasi piacevole essere inseguiti. Vivere, cioè, senza inseguire. È ovvio che Berlusconi diventa pericoloso quando afferma che la civiltà occidentale è superiore alle altre. Un discorso, il suo, che ricorda la pubblicistica neonazista degli anni ottanta. Eppure, nella sua testolina quadrata una lucina si è accesa. Ha intuito che le trecentomila persone viste a Genova, possono rappresentare una minaccia. È un popolo che sa dire no, che riesce a far tremare la terra, ma ha imparato anche l’arte del sì. E non c’è minaccia peggiore di un terremoto capace di distruggere e costruire.



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