Nel quadro sociale destinato ad essere, assorbito tra le maglie delle logiche di impresa e mercantile si
agitano nuove forme di insubordinazione e movimenti antisistemici dai tratti
inediti che si insinuano tra le maglie delle reti di controllo e si muovono in
direzione della costruzione di una <<società civile globale>> che
bilanci il peso dell’economia e delle istituzioni sopranazionali. Una
prospettiva che, come precisa Maria Pianta, richiede una combinazione di capacità di
resistenza, di visioni radicali, di strumenti di riforma e di pratiche
alternative; e nello stesso tempo un operare in direzioni diverse. Cercando di
dotarsi di strutture, il più democratiche e rappresentative, dove sviluppare
identità, visioni e proposte politiche.
Ma soprattutto la globalizzazione dal basso non può fare a
meno del mondo del lavoro, come è stato possibile costruire reti globali di
ambientalisti, contadini poveri e consumatori non dovrebbe risultare impossibile
rivitalizzare le strutture sindacali internazionali o creare nuove reti di base
tra lavoratori delle imprese multinazionali. A quest’ultimo proposito va detto
che il lavoro oggi è obiettivo e strumento della globalizzazione. La
competizione non è solo tra prodotti, ma anche tra i costi del lavoro ed è
questo che produce nuove disegualianze e nuovi schiavismi. Risulta cruciale
quindi per il movimento della globalizzazione dal basso il superamento di ogni
sorta di divisione del lavoro tra sindacati, ambientalisti, pacifisti, donne,
difensori dei diritti umani, politica nazionale, solidarietà internazionale e
comportamenti auto-organizzati, Non si tratta di un semplice atto di volontà ma
di una necessità imposta da un sistema socioeconomico che Carla Ravaioli ha
descritto come proiettato verso la crescita indiscriminata del profitto e
portata a travolgere come semplici impacci diritti umani, ragioni del lavoro e
dell’ambiente, istanze sociali di ogni tipo ( Cfr. C. Ravaioli, Nuovi
orizzonti dopo Genova, in << il manifesto>>, 15.8.2001, p.18)
La questione diventa quella di favorire l’incontro,
confronto, contaminazione tra soggettività nuove e tradizionali. E’ il punto
di partenza per sperare in un blocco sociale portatore di una progettualità che
vada ben oltre il produttivismo con cui si intreccia tanta parte del pensiero
del movimento operaio, per ricercare le forme di un modello di sviluppo
economico e sociale non governato dal puro calcolo economico.
Sono questioni che chiamano in causa la sinistra nel suo
complesso, politica e sindacale, la cui stessa sorte dipende dalla volontà e
capacità di cogliere e interpretare i discorsi del movimento, sollecitare il
confronto e la ricerca, in primo luogo, degli strumenti per il controllo delle
decisioni, per costruire un processo di democratizzazione da dispiegare a tutti
i livelli: da quello locale sino ad arrivare ai grandi centri di decisione
politica ed economica e alla creazione, attraverso l’ ONU, di una struttura
mondiale di regolazione e controllo delle attività economiche e finanziarie.
In questo senso sembra avviarsi il discorso anche all’interno
del composito socialismo europeo ( Cfr. Sami Nair, La barbarie dal volto
mercantile, in << l’Unità>>, 2 agosto 2001, p.27), finora
poco presente nel dibattito sulla globalizzazione e che necessita di un punto di
vista critico per sottrarsi alla omologazione alle politiche economiche
neoliberiste e ai conseguenti contraccolpi politico-elettorali che non poco sono
costati ai democratici di sinistra italiani.
In questo quadro si colloca il favore espresso dai socialisti
francesi per la tassazione delle transazioni finanziarie internazionali e l’impegno
ad avanzarne la messa in atto nelle sedi internazionali. La Tobin tax sembra
essere poca cosa, espressione, secondo alcuni, di un << riformismo debole
>> ma che di fatto restituisce ai governi nazionali almeno parte del
potere di controllo sui movimenti finanziari e che soprattutto mette in
discussione uno dei dogmi della filosofia liberista: l’inviolabilità della
libera circolazione dei capitali.
E’ evidente che in questo modo il movimento contro la
globalizzazione selvaggia in Francia incontra nelle sinistre istituzionali una
sponda e un interlocutore. A quando in Italia?