Dietro la storia d’amore di don Angelo Gruerio e Carmela
(che storia d’amore propriamente non è,se non in quanto l’amplesso dell’uomo
cerca di stabilire il proprio rapporto con la Terra-Natura) "Inverno in
palude" di R.M. De Angelis (romanzo di esordio:1936) presenta l’allegoria
della nascita (in senso esistenziale e collettivo) e il labirinto materico che
ne consegue,come attanagliamento imprescindibile del corpo nel tempo
e, pertanto, e come desiderio di risoluzione calda e sicura, nell’esser-ci, del
corpo stesso. Già all’inizio De Angelis fissa l’incontenibile energia della
vita,materia inquieta cangiante inarrestabile,che investe le sue medesime forme
per affermarsi: "Però gli arboscelli e le radici non hanno mai pace; anche
sotto la patina del gelo,le acque corrodono e si aprono vie sotterranee nel vivo
- acque cieche e crudeli" (Cap.I,pag.21). E,alla fine,il ciclo (di questa
fiction) si chiude con la speranza (attestazione storica) della conquistatasi
coscienza di nascita, che sia, per conseguenza, diritto alla vita: "Terra per
uomini ricchi e sazii che possono attendere più di una stagione che il letargo
cessi e la frutta maturi e gli uccelli ritornino al nido antico" (Cap.XI,
pag.147). Già,in tale cerchio,in cui è inscritto lo sconfinamento del tempo,
può individuarsi l’antinomia capitale del romanzo:labirinto (per esempio:
"…il paese sulla collina, come una nuvola grigia …ma la bassa si
stendeva all’infinito e anche l’occhio esperto dei pastori si ingannava …",pag.25);volo
("essere uccelli … potere andare e venire dal paese alla palude (…)
",pag.25). Su tale snodo tematico,ritengo, si può fondare, addirittura, l’intera
esegesi del libro.Perché se la "palude"è il ventre materno, l’
"inverno"è questa stessa memoria (ossia proprio l’assopimento
distante della "carne"che media tale crudele ricordo in parole), cioè
lo sbalzo straniato e confuso, sbalordito,di essere al mondo, che si
consapevolizza per costrizione. Infatti:"L’inverno doma e umilia i più
crudeli istinti; anche i cinghiali si adatterebbero… se qualcuno riuscisse a
catturarli e a farli vivere in prigionia…",pag.23. Qui,mi pare,viene
scongiurata ogni lettura critica del testo che pretenda che la Natura sia la
principale protagonista con il suo relativo immobilismo e l’ineluttabile
indifferenza nei confronti dell’uomo. Ritengo,invece, che lo sforzo principale
di De Angelis sia di recuperare l’ancestralità mitica dell’Universo e farla
poi risuonare,storicamente,in sforzo collettivo di parola. In sintesi,si può
dire che alla prima dicotomia (labirinto-volo) se ne aggiungono
altre:luce-buio;paese (case) -palude
(capanna); primavera-inverno;denaro-avventura;ritualismo domestico-caccia. Si
potrebbe continuare. Ma è importante,intanto,stabilire che il primo termine dei
raffronti indicati significa antropocentrismo,attestazione del sé, senso di
padronanza;il secondo, all’opposto, ricerca, fatica, decentramento dell’io, conflittualità
della vita in virtù-e proporzionalmente -delle personali capacità di
interrogarsi socialmente. Se don Angelo è decaduto dalla propria ricchezza e
potenza,ciò è ancora e maggiormente metaforico: vuol dire ripercorrere, il
senso di alienazione e accollarsi la irrecusabile domanda del perché del
vivere. E vuol dire sciogliere l’implicita metonimia,perché vivere è
conflittuale vendetta della "terra" (della madre,della donna) e non
riconosciuto nodo dell’esistenza ingerarchizzabile. Ecco: "Chi era
stato, chi sarebbe stato il primo? E la donna ricordava il primo? O non possiede ed
accoglie,in uno stesso tempo,tutti gli uomini affamati di terra e d’amore?"
(pag.106). D’altro canto,non è certo casuale che don Angelo possieda Carmela
("era questa la vera prima volta e la sua verginità cadeva ora,infranta
come un vetro dalla violenza dell’uragano",pagg.72/73) "come un
frutto o un liquore":proiettarsi sensitivo, giocoforza fallace delle proprie
esigenze, scarto del proprio desiderio;non gratificazione già assicurata dal
dominio esercitato sull’esterno. Insomma:vita come rimbombo problematico; non
estensione di padronanza.Vita come combinarsi e superarsi. E qui, credo, si tocca
proprio il fondo del romanzo: " Gli uomini si ricordavano dei rumori e dei
suoni come di canti remoti" (pag.73) e "Le prime parole le disse piano
un fanciullo in camicia, sulla soglia di un uscio spalancato:Ho fame!"
(pag.73). La crudezza di sangue e la connessa "colpa"di nascere,è qui
superata. Si riconosce la madre e le si ributta contro, però, l’insufficienza
del suo ruolo. Oppure:si rivendica la vita come principio immaginativo e
immaginoso e non castrato effetto di appartenenza ("Ho
fame").Puntualmente: "Chi avrebbe potuto sostituire o rinnegare quella
terra? Materna terra" (pag.132).E,in controcanto,le parole di Carmela a don
Angelo: "Vieni nella mia casa,chiudiamo la porta,uccidiamo il padre"
(pag.67).Questo primo romanzo di De Angelis,in fondo, rincorre la fiaba (è una
vera e propria fiaba alla rovescia, nel senso che inattualizza il dato
superamento iniziatico della "prova", lo sospende, rivendicandone l’attualità
e,in connessione, l’attuazione rituale di investimento e crescita comunitari. In
questo il libro anticipa "Conversazione in Sicilia"di Vittorini, che di
questo clima di ricerca delle "radici"italiane è considerato il
capolavoro.