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Nessuna uscita di sicurezza

R.M. De Angelis, Inverno in palude

di Antonio Barbieri


Dietro la storia d’amore di don Angelo Gruerio e Carmela (che storia d’amore propriamente non è,se non in quanto l’amplesso dell’uomo cerca di stabilire il proprio rapporto con la Terra-Natura) "Inverno in palude" di R.M. De Angelis (romanzo di esordio:1936) presenta l’allegoria della nascita (in senso esistenziale e collettivo) e il labirinto materico che ne consegue,come attanagliamento imprescindibile del corpo nel tempo e, pertanto, e come desiderio di risoluzione calda e sicura, nell’esser-ci, del corpo stesso. Già all’inizio De Angelis fissa l’incontenibile energia della vita,materia inquieta cangiante inarrestabile,che investe le sue medesime forme per affermarsi: "Però gli arboscelli e le radici non hanno mai pace; anche sotto la patina del gelo,le acque corrodono e si aprono vie sotterranee nel vivo - acque cieche e crudeli" (Cap.I,pag.21). E,alla fine,il ciclo (di questa fiction) si chiude con la speranza (attestazione storica) della conquistatasi coscienza di nascita, che sia, per conseguenza, diritto alla vita: "Terra per uomini ricchi e sazii che possono attendere più di una stagione che il letargo cessi e la frutta maturi e gli uccelli ritornino al nido antico" (Cap.XI, pag.147). Già,in tale cerchio,in cui è inscritto lo sconfinamento del tempo, può individuarsi l’antinomia capitale del romanzo:labirinto (per esempio: "…il paese sulla collina, come una nuvola grigia …ma la bassa si stendeva all’infinito e anche l’occhio esperto dei pastori si ingannava …",pag.25);volo ("essere uccelli … potere andare e venire dal paese alla palude (…) ",pag.25). Su tale snodo tematico,ritengo, si può fondare, addirittura, l’intera esegesi del libro.Perché se la "palude"è il ventre materno, l’ "inverno"è questa stessa memoria (ossia proprio l’assopimento distante della "carne"che media tale crudele ricordo in parole), cioè lo sbalzo straniato e confuso, sbalordito,di essere al mondo, che si consapevolizza per costrizione. Infatti:"L’inverno doma e umilia i più crudeli istinti; anche i cinghiali si adatterebbero… se qualcuno riuscisse a catturarli e a farli vivere in prigionia…",pag.23. Qui,mi pare,viene scongiurata ogni lettura critica del testo che pretenda che la Natura sia la principale protagonista con il suo relativo immobilismo e l’ineluttabile indifferenza nei confronti dell’uomo. Ritengo,invece, che lo sforzo principale di De Angelis sia di recuperare l’ancestralità mitica dell’Universo e farla poi risuonare,storicamente,in sforzo collettivo di parola. In sintesi,si può dire che alla prima dicotomia (labirinto-volo) se ne aggiungono altre:luce-buio;paese (case) -palude (capanna); primavera-inverno;denaro-avventura;ritualismo domestico-caccia. Si potrebbe continuare. Ma è importante,intanto,stabilire che il primo termine dei raffronti indicati significa antropocentrismo,attestazione del sé, senso di padronanza;il secondo, all’opposto, ricerca, fatica, decentramento dell’io, conflittualità della vita in virtù-e proporzionalmente -delle personali capacità di interrogarsi socialmente. Se don Angelo è decaduto dalla propria ricchezza e potenza,ciò è ancora e maggiormente metaforico: vuol dire ripercorrere, il senso di alienazione e accollarsi la irrecusabile domanda del perché del vivere. E vuol dire sciogliere l’implicita metonimia,perché vivere è conflittuale vendetta della "terra" (della madre,della donna) e non riconosciuto nodo dell’esistenza ingerarchizzabile. Ecco: "Chi era stato, chi sarebbe stato il primo? E la donna ricordava il primo? O non possiede ed accoglie,in uno stesso tempo,tutti gli uomini affamati di terra e d’amore?" (pag.106). D’altro canto,non è certo casuale che don Angelo possieda Carmela ("era questa la vera prima volta e la sua verginità cadeva ora,infranta come un vetro dalla violenza dell’uragano",pagg.72/73) "come un frutto o un liquore":proiettarsi sensitivo, giocoforza fallace delle proprie esigenze, scarto del proprio desiderio;non gratificazione già assicurata dal dominio esercitato sull’esterno. Insomma:vita come rimbombo problematico; non estensione di padronanza.Vita come combinarsi e superarsi. E qui, credo, si tocca proprio il fondo del romanzo: " Gli uomini si ricordavano dei rumori e dei suoni come di canti remoti" (pag.73) e "Le prime parole le disse piano un fanciullo in camicia, sulla soglia di un uscio spalancato:Ho fame!" (pag.73). La crudezza di sangue e la connessa "colpa"di nascere,è qui superata. Si riconosce la madre e le si ributta contro, però, l’insufficienza del suo ruolo. Oppure:si rivendica la vita come principio immaginativo e immaginoso e non castrato effetto di appartenenza ("Ho fame").Puntualmente: "Chi avrebbe potuto sostituire o rinnegare quella terra? Materna terra" (pag.132).E,in controcanto,le parole di Carmela a don Angelo: "Vieni nella mia casa,chiudiamo la porta,uccidiamo il padre" (pag.67).Questo primo romanzo di De Angelis,in fondo, rincorre la fiaba (è una vera e propria fiaba alla rovescia, nel senso che inattualizza il dato superamento iniziatico della "prova", lo sospende, rivendicandone l’attualità e,in connessione, l’attuazione rituale di investimento e crescita comunitari. In questo il libro anticipa "Conversazione in Sicilia"di Vittorini, che di questo clima di ricerca delle "radici"italiane è considerato il capolavoro.



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