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Eric Salerno, Rossi a Manhattan,Roma, Quiritta, 2001

di Marcella Bencivenni


Certo che se il titolo del nuovo libro di Eric Salerno si riferisse all’attuale presenza di comunisti italiani a New York, tutti penserebbero sicuramente a uno scherzo. Nella società americana attuale gli italo americani in realtà potrebbero essere paragonati a tutto tranne che a pericolosi radicali. Essi, considerati poco più che gangster mafiosi (stereotipi che sono nati dalle versioni hollywoodiane di film come Al Capone, Il Padrino, Gli Intoccabili e che purtroppo continuano, nonostante le significative proteste di alcune associazioni italo americane, a essere rafforzati dalla televisione e dal cinema), e culturalmente ridotti a pizza, spaghetti e meat balls, sono di fatto tra i gruppi etnici statunitensi più conservatori, convinti sostenitori di quelli che sono gli elementi più caratterizzanti del partito repubblicano: il mito del self-made man, il laisse faire, e spesso, purtroppo, anche il razzismo.
Eppure una tradizione sovversiva tra i nostri emigrati non solo è esistita ma è stata anche particolarmente ricca e significativa. Finalmente negli ultimi anni si è avviato un lento ma significativo recupero di quello che in America è stato giustamente definito: "The lost world of Italian American radicalism", (il mondo perduto del radicalismo italo americano). Anche se non esiste ancora una monografia generale dell’attività e delle idee radicali italiane in America, grazie ai lavori di ricerca di studiosi come Rudolph Vecoli, Nunzio Pernicone, Philip Cannistraro, Gerald Meyer e in Italia Adriana Dadà, Elisabetta Vezzosi, ed Emilio Franzina è ora possibile, almeno per linee generali, avere un’idea del movimento anarchico, socialista, e comunista italo americano, e conoscere personaggi di spicco quali Carlo Tresca, Arturo Giovannitti, Luigi Antonimi.
A questi contributi si aggiunge ora quello di Eric Salerno, corrispondente da Gerusalemme per "Il Messaggero". Il suo però non è l’ennesimo libro di storia sull’immigrazione. Le sue sono <<pagine di documenti, di memorie, di riflessioni>>. (p. 16) Per alcuni versi Rossi a Manhattan potrebbe semplicemente descriversi come il racconto di un sovversivo italiano a New York : la storia del padre dell’autore, Michele Salerno, sindacalista, giornalista e militante comunista, costretto a lasciare dopo ventott’anni gli Stati Uniti e rimpatriare in Italia con un mandato di deportazione per attività sovversive.
Michele Salerno era nato a Castiglione Cosentino, nel Dicembre 1901. Allora Castiglione non era il "moderno paese che è diventato oggi", in parte grazie alla vicinanza dell’Università della Calabria, ma uno dei tanti villaggi calabresi, piuttosto isolati e poveri. Michele però decise di emigrare negli Stati Uniti non per questioni economiche come avveniva per quasi tutti gli immigrati di inizio secolo, costretti a lasciare la loro terra della povertà e della miseria, ma per inseguire un sogno di libertà, di democrazia, e uguaglianza che mal si conciliava con le politiche fasciste che negli anni venti andavano affermandosi in Italia. Arrivato a New York nel 1923, Mike si inserì subito nelle attività della sinistra italo americana, impegnata in quegli anni soprattutto nella campagna antifascista, nelle lotte sindacali, e nel tentativo di salvare gli anarchici Sacco e Vanzetti dalla sedia elettrica, distinguendosi soprattutto nell’ambito del neonato Pcusa (Partito Comunista degli Stati Uniti d’America) in qualità di giornalista e direttore dei maggiori organi della stampa coloniale comunista, "Il Lavoratore", "L’Unità operaia" e soprattutto "L’Unità del popolo", dove con lo pseudonimo di Tito Nunzio pubblicava articoli di attualità, politica, e critica sociale. L’attività di Mike negli States si interrompe nel Luglio del 1947 quando Walter S. Steele, <<presidente del Comitato nazionale per la sicurezza della Coalizione americana delle società patriottiche, civiche e fraterne>>, consegna alle autorità americane un dettagliato elenco/denuncia di nomi, giornali e attività del Pcusa, in cui il Salerno veniva additato come <<uno dei membri del segretariato dello stato di New York.>> (p. 41) Il giorno del Ringraziamento del 1950, accompagnato da due agenti federali, Michele Salerno si imbarcava nella motonave Saturnia, costretto a ritornare in un paese che non vedeva da quasi trent’anni.
Questa in breve la storia di Michele Salerno. Ma sarebbe estremamente riduttivo descrivere Rossi a Manhattan come un semplice racconto biografico. La vicenda del Salerno padre si mischia infatti alle riflessioni personali del Salerno figlio su ideologia politica, cultura etnica, e le grandi questioni sociali del nostro tempo. Tra le pagine del libro scorrono veloci alcuni tra i fatti più drammatici ed eclatanti del Novecento: gli anni del maccartismo e della guerra fredda, il crollo della Russia Sovietica, le atrocità dell’olocausto e la delicata questione araba. Il risultato finale è una piacevole mescolanza di narrativa, storia, autobiografia e saggistica. Il tutto in poco più di centocinquanta pagine.
Il vero protagonista del libro in realtà non è Mike ma il desiderio dell’autore di ricostruire le vite dei suoi genitori e cercare di dare un senso al loro passato, affinché non venga dimenticato. Le pagine più suggestive del libro sono infatti quelle della ricerca delle radici, del ritorno alle origini – a Castiglione Cosentino, paese natio di Mike; a Khoyniki, il piccolo villaggio della madre ebrea, Basia Isbinkaja, poi detta Betty, a ridosso della frontiera tra Bielorussia (oggi Belaurus) e Ucraina. E soprattutto il ritorno nel 1998, per la prima volta da quando l’aveva lasciata da ragazzo, a New York e nel Bronx, dove i Salerno vivevano in un piccolo appartamento (due stanze, cucina e bagno) di fronte al Crotona Park.
E attraverso questo tuffo nel passato, Eric Salerno ripercorre le tappe fondamentali della storia del comunismo italo americano:  l’esecuzione di Sacco e Vanzetti nel 1927 e quella di Julius e Ethel Rosemberg nel 1953, la campagna antifascista, la guerra civile spagnola, l’assassinio di Carlo Tresca, la lotta per i diritti civili dei neri. Riemergono così gli ideali politici, la coscienza sociale e gli interessi culturali di un’intera generazione che si identificava nella musica folk di Pete Seeger, Woodie Guthrie, Burl Ives, e del rivoluzionario nero Paul Robeson; che trascorreva le vacanze estive nei famigerati "campeggi rossi" (veri e propri esperimenti di vita inter-razziale); e che non mancava mai di partecipare alle storiche manifestazioni sindacali di Union Square. E in questo processo di ricostruzione della memoria storica saltano fuori anche nomi pressoché dimenticati o del tutto sconosciuti ai non specialisti, come Vito Marcantonio, Congressman radicale dello Stato di New York per il distretto di East Harlem, eletto a pieni voti per tre mandati consecutivi dal 1934 al 1948; Peter Cacchione, il primo deputato comunista ad essere stato eletto nello Stato di New York; e altri esponenti meno famosi, ma non per questo meno importanti, della sinistra italo americana: Luigi Candela, Ubaldo Cazzoli, Tony Cattonar, Antonio Siracusa, Giuseppe Magliacano.
Concluso il viaggio nella memoria, rimane l’amarezza, il rimpianto per ciò che è stato e non è più. Gli ideali, i valori, il "Grande Sogno" per cui Mike e compagni si sono battuti è ormai tramontato. << La fine del secolo - conclude il Salerno - ha lasciato il mondo con poche formule. Le popolazioni dell’Africa nera e di una parte considerevole del terzo mondo continuano a morire di malattia e di stenti, il boom economico che ha arricchito parti dell’Estremo Oriente segna il passo. La guerra in Kosovo ha dimostrato quanto sia difficile nonostante i troppi tragici esempi del Novecento combattere la tirannia e il razzismo e impedire pogrom, massacri, tentativi di genocidio. L’Europa è passata dalle mani dei conservatori a quelle dei laburisti o cosiddetti democratici di sinistra senza che i nuovi amministratori abbiano in tasca ricette per il futuro. Gli Stati Uniti sono quello che sono : culla di new-economy, pena di morte e casi Elian>>. (p. 154) E su questo giudizio alquanto negativo del nostro secolo, Salerno suggerisce una ri-rivalutazione del ruolo della sinistra e del comunismo in particolare. Ciò, sia chiaro, non significa chiudere gli occhi o giustificare gli errori e gli orrori commessi dall’Urss e dai regimi comunisti che si sono susseguiti a Mosca. Ma non significa nemmeno << condannare insieme con i regimi totalitari, tutto ciò che anche in nome del socialismo e comunismo fu fatto nel ventesimo secolo.>> Indipendentemente dalle posizioni di Mosca rimane la lotta vera, autentica, coerente di donne e uomini comuni come Mike e Betty in nome dell’idealismo, dell’antirazzismo, dell’anticolonialismo, dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Ed è proprio questo sogno che dà spessore e significato alla storia di Michele Salerno, uno che come tanti ha creduto fino in fondo nella possibilità di migliorare il mondo. Il messaggio fondamentale di Rossi a Manhattan è dunque quello di non dimenticare il passato, perché solo con l’analisi e la riflessione storica è possibile comprendere le ragioni politiche, le condizioni economiche e sociali, e le idee che hanno nel bene e nel male determinato il presente e riuscire perciò a migliorarlo.
Ma mentre Rossi a Manhattan ha il merito di riportare a galla una realtà pressoché ignorata, forse anche deliberatamente cancellata dalla storia per ovvi motivi politici, alcune importanti questioni, che necessiterebbero una maggiore attenzione, rimangono irrisolte: come mai la tradizione radicale che è di fatto esistita tra gli emigrati italiani in America, è andata via via scomparendo? Come mai sono prevalsi i valori più conservatori? Quali, se ci sono stati, gli errori della sinistra italo americana? E quali invece i limiti della democrazia americana?



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