Certo che se il titolo del nuovo libro di Eric Salerno si
riferisse all’attuale presenza di comunisti italiani a New York, tutti
penserebbero sicuramente a uno scherzo. Nella società americana attuale gli
italo americani in realtà potrebbero essere paragonati a tutto tranne che a
pericolosi radicali. Essi, considerati poco più che gangster mafiosi
(stereotipi che sono nati dalle versioni hollywoodiane di film come Al Capone,
Il Padrino, Gli Intoccabili e che purtroppo continuano, nonostante le
significative proteste di alcune associazioni italo americane, a essere
rafforzati dalla televisione e dal cinema), e culturalmente ridotti a pizza,
spaghetti e meat balls, sono di fatto tra i gruppi etnici statunitensi
più conservatori, convinti sostenitori di quelli che sono gli elementi più
caratterizzanti del partito repubblicano: il mito del self-made man, il laisse
faire, e spesso, purtroppo, anche il razzismo.
Eppure una tradizione sovversiva tra i nostri emigrati non
solo è esistita ma è stata anche particolarmente ricca e significativa.
Finalmente negli ultimi anni si è avviato un lento ma significativo recupero di
quello che in America è stato giustamente definito: "The lost world of
Italian American radicalism", (il mondo perduto del radicalismo italo
americano). Anche se non esiste ancora una monografia generale dell’attività
e delle idee radicali italiane in America, grazie ai lavori di ricerca di
studiosi come Rudolph Vecoli, Nunzio Pernicone, Philip Cannistraro, Gerald Meyer
e in Italia Adriana Dadà, Elisabetta Vezzosi, ed Emilio Franzina è ora
possibile, almeno per linee generali, avere un’idea del movimento anarchico,
socialista, e comunista italo americano, e conoscere personaggi di spicco quali
Carlo Tresca, Arturo Giovannitti, Luigi Antonimi.
A questi contributi si aggiunge ora quello di Eric Salerno,
corrispondente da Gerusalemme per "Il Messaggero". Il suo però non è
l’ennesimo libro di storia sull’immigrazione. Le sue sono <<pagine di
documenti, di memorie, di riflessioni>>. (p. 16) Per alcuni versi Rossi
a Manhattan potrebbe semplicemente descriversi come il racconto di un
sovversivo italiano a New York : la storia del padre dell’autore, Michele
Salerno, sindacalista, giornalista e militante comunista, costretto a lasciare
dopo ventott’anni gli Stati Uniti e rimpatriare in Italia con un mandato di
deportazione per attività sovversive.
Michele Salerno era nato a Castiglione Cosentino, nel
Dicembre 1901. Allora Castiglione non era il "moderno paese che è
diventato oggi", in parte grazie alla vicinanza dell’Università della
Calabria, ma uno dei tanti villaggi calabresi, piuttosto isolati e poveri.
Michele però decise di emigrare negli Stati Uniti non per questioni economiche
come avveniva per quasi tutti gli immigrati di inizio secolo, costretti a
lasciare la loro terra della povertà e della miseria, ma per inseguire un sogno
di libertà, di democrazia, e uguaglianza che mal si conciliava con le politiche
fasciste che negli anni venti andavano affermandosi in Italia. Arrivato a New
York nel 1923, Mike si inserì subito nelle attività della sinistra italo
americana, impegnata in quegli anni soprattutto nella campagna antifascista,
nelle lotte sindacali, e nel tentativo di salvare gli anarchici Sacco e Vanzetti
dalla sedia elettrica, distinguendosi soprattutto nell’ambito del neonato
Pcusa (Partito Comunista degli Stati Uniti d’America) in qualità di
giornalista e direttore dei maggiori organi della stampa coloniale comunista,
"Il Lavoratore", "L’Unità operaia" e soprattutto "L’Unità
del popolo", dove con lo pseudonimo di Tito Nunzio pubblicava articoli di
attualità, politica, e critica sociale. L’attività di Mike negli States
si interrompe nel Luglio del 1947 quando Walter S. Steele, <<presidente
del Comitato nazionale per la sicurezza della Coalizione americana delle
società patriottiche, civiche e fraterne>>, consegna alle autorità
americane un dettagliato elenco/denuncia di nomi, giornali e attività del Pcusa,
in cui il Salerno veniva additato come <<uno dei membri del segretariato
dello stato di New York.>> (p. 41) Il giorno del Ringraziamento del 1950,
accompagnato da due agenti federali, Michele Salerno si imbarcava nella motonave
Saturnia, costretto a ritornare in un paese che non vedeva da quasi trent’anni.
Questa in breve la storia di Michele Salerno. Ma sarebbe
estremamente riduttivo descrivere Rossi a Manhattan come un semplice
racconto biografico. La vicenda del Salerno padre si mischia infatti alle
riflessioni personali del Salerno figlio su ideologia politica, cultura etnica,
e le grandi questioni sociali del nostro tempo. Tra le pagine del libro scorrono
veloci alcuni tra i fatti più drammatici ed eclatanti del Novecento: gli anni
del maccartismo e della guerra fredda, il crollo della Russia Sovietica, le
atrocità dell’olocausto e la delicata questione araba. Il risultato finale è
una piacevole mescolanza di narrativa, storia, autobiografia e saggistica. Il
tutto in poco più di centocinquanta pagine.
Il vero protagonista del libro in realtà non è Mike ma il
desiderio dell’autore di ricostruire le vite dei suoi genitori e cercare di
dare un senso al loro passato, affinché non venga dimenticato. Le pagine più
suggestive del libro sono infatti quelle della ricerca delle radici, del ritorno
alle origini – a Castiglione Cosentino, paese natio di Mike; a Khoyniki, il
piccolo villaggio della madre ebrea, Basia Isbinkaja, poi detta Betty, a ridosso
della frontiera tra Bielorussia (oggi Belaurus) e Ucraina. E soprattutto il
ritorno nel 1998, per la prima volta da quando l’aveva lasciata da ragazzo, a
New York e nel Bronx, dove i Salerno vivevano in un piccolo appartamento (due
stanze, cucina e bagno) di fronte al Crotona Park.
E attraverso questo tuffo nel passato, Eric Salerno
ripercorre le tappe fondamentali della storia del comunismo italo
americano: l’esecuzione di Sacco e Vanzetti nel 1927 e quella di Julius
e Ethel Rosemberg nel 1953, la campagna antifascista, la guerra civile spagnola,
l’assassinio di Carlo Tresca, la lotta per i diritti civili dei neri.
Riemergono così gli ideali politici, la coscienza sociale e gli interessi
culturali di un’intera generazione che si identificava nella musica folk di
Pete Seeger, Woodie Guthrie, Burl Ives, e del rivoluzionario nero Paul Robeson;
che trascorreva le vacanze estive nei famigerati "campeggi rossi"
(veri e propri esperimenti di vita inter-razziale); e che non mancava mai di
partecipare alle storiche manifestazioni sindacali di Union Square. E in questo
processo di ricostruzione della memoria storica saltano fuori anche nomi
pressoché dimenticati o del tutto sconosciuti ai non specialisti, come Vito
Marcantonio, Congressman radicale dello Stato di New York per il
distretto di East Harlem, eletto a pieni voti per tre mandati consecutivi dal
1934 al 1948; Peter Cacchione, il primo deputato comunista ad essere stato
eletto nello Stato di New York; e altri esponenti meno famosi, ma non per questo
meno importanti, della sinistra italo americana: Luigi Candela, Ubaldo Cazzoli,
Tony Cattonar, Antonio Siracusa, Giuseppe Magliacano.
Concluso il viaggio nella memoria, rimane l’amarezza, il
rimpianto per ciò che è stato e non è più. Gli ideali, i valori, il
"Grande Sogno" per cui Mike e compagni si sono battuti è ormai
tramontato. << La fine del secolo - conclude il Salerno - ha lasciato il
mondo con poche formule. Le popolazioni dell’Africa nera e di una parte
considerevole del terzo mondo continuano a morire di malattia e di stenti, il
boom economico che ha arricchito parti dell’Estremo Oriente segna il passo. La
guerra in Kosovo ha dimostrato quanto sia difficile nonostante i troppi tragici
esempi del Novecento combattere la tirannia e il razzismo e impedire pogrom,
massacri, tentativi di genocidio. L’Europa è passata dalle mani dei
conservatori a quelle dei laburisti o cosiddetti democratici di sinistra senza
che i nuovi amministratori abbiano in tasca ricette per il futuro. Gli Stati
Uniti sono quello che sono : culla di new-economy, pena di morte e casi
Elian>>. (p. 154) E su questo giudizio alquanto negativo del nostro
secolo, Salerno suggerisce una ri-rivalutazione del ruolo della sinistra e del
comunismo in particolare. Ciò, sia chiaro, non significa chiudere gli occhi o
giustificare gli errori e gli orrori commessi dall’Urss e dai regimi comunisti
che si sono susseguiti a Mosca. Ma non significa nemmeno << condannare
insieme con i regimi totalitari, tutto ciò che anche in nome del socialismo e
comunismo fu fatto nel ventesimo secolo.>> Indipendentemente dalle
posizioni di Mosca rimane la lotta vera, autentica, coerente di donne e uomini
comuni come Mike e Betty in nome dell’idealismo, dell’antirazzismo, dell’anticolonialismo,
dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Ed è proprio questo sogno che dà
spessore e significato alla storia di Michele Salerno, uno che come tanti ha
creduto fino in fondo nella possibilità di migliorare il mondo. Il messaggio
fondamentale di Rossi a Manhattan è dunque quello di non dimenticare il
passato, perché solo con l’analisi e la riflessione storica è possibile
comprendere le ragioni politiche, le condizioni economiche e sociali, e le idee
che hanno nel bene e nel male determinato il presente e riuscire perciò a
migliorarlo.
Ma mentre Rossi a Manhattan ha il merito di riportare
a galla una realtà pressoché ignorata, forse anche deliberatamente cancellata
dalla storia per ovvi motivi politici, alcune importanti questioni, che
necessiterebbero una maggiore attenzione, rimangono irrisolte: come mai la
tradizione radicale che è di fatto esistita tra gli emigrati italiani in
America, è andata via via scomparendo? Come mai sono prevalsi i valori più
conservatori? Quali, se ci sono stati, gli errori della sinistra italo
americana? E quali invece i limiti della democrazia americana?