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La Cosenza "orientale"
Intervista all'Assessore Franco Piperno.
Considerazioni sul futuro della città, del Sud e della sinistra

di Spartaco Pupo


Assessore Piperno, dopo quasi un decennio di amministrazione Mancini, quali buoni motivi avrà un cittadino di Cosenza per rinnovare la fiducia all’attuale gruppo dirigente?

Credo che durante la doppia sindacatura Mancini la città abbia compiuto alcuni importanti passi in avanti. Prima di tutto è tornato, dopo almeno un cinquantennio, una sorta di "orgoglio dei cittadini". Questo è un risultato che, a dire il vero, hanno conseguito altre amministrazioni nel Sud Italia, come Palermo, sotto la guida di Leoluca Orlando, ma anche Napoli, con Bassolino. Si tratta di una delle conquiste più significative, perché senza l’amore per la propria città qualsiasi cosa si realizzi è destinata a perire nell’indifferenza.
Vi sono poi le opere pubbliche a testimonianza dell’intensa attività sin qui svolta, come comunque è nella tradizionale attività politica del sindaco Mancini.
Il recupero del centro storico, che si commenta da sé, ha prodotto un duplice risultato: da una parte, mantiene vivo l’orgoglio del proprio passato e, dall’altra, garantisce la buona qualità della vita, poiché i centri storici del Sud, e in particolare quello di Cosenza, sono stati realizzati a misura d’uomo, essendo stati costruiti prima dell’avvento dell’automobile. Un’altra importante opera pubblica è costituita dalla "Città dei Ragazzi", che è il frutto dell’attenzione dell’amministrazione comunale verso il problema dell’infanzia, e in particolare dell’infanzia disagiata. Il ponte "Calatrava", invece, oltre ad essere un’opera monumentale, perché la città di Cosenza, coeva a Roma, è tra le più antiche città italiane, ha il significato simbolico del collegamento con i Casali e la Sila, poiché storicamente la ricchezza economica della città è stata sempre legata ai boschi della Sila. Con l’attuale amministrazione è stato fortemente ripreso questo legame inscindibile, che risale al ‘600, con il periodo della dominazione spagnola, quando i casali della Sila erano governati insieme (solo successivamente, con l’unità d’Italia, l’introduzione burocratica dei comuni ha generato la divisione, che ha finito per danneggiare tanto i casali quanto la città). Il ponte, in fondo, è la realizzazione fisica dell’idea di collegamento tra la città, i casali e la Sila. Il Planetario è un altro edificio monumentale. Una volta ultimato, spiccherà, letteralmente, sugli altri edifici e sarà visibile dal Viale Parco e da chiunque entri in città, con una cupola sferica che ricorda le linee orientali, essendo proprio quello dell’oriente un grande tema della storia calabrese. Il meridione, in generale, prima dell’unità d’Italia, aveva un forte collegamento con la cultura orientale. Basta un dato per tutti: nel 1861, all’atto della proclamazione dell’Unità, circa settanta mila meridionali risultavano residenti ad Istanbul, da dove poi vennero scacciati perché quella meridionale era ritenuta una comunità da temere. Ricordo questi dati perché testimoniano quanto siano stati importanti i rapporti con i Balcani, la Grecia e tutto l’oriente per lo sviluppo del meridione. Del resto il Sud è oriente! Basta guardare una cartina geografica per rendersi conto di come Catanzaro, ad esempio, stia molto più a destra di Trieste. Il Planetario, oltre che del recupero dei legami con l’oriente ci parla naturalmente anche del cielo: molte innovazioni di qui a poco verranno dallo spazio, e per questo il comune realizza un Planetario, molto avanzato dal punto di vista tecnologico, certamente il più grande in tutto il meridione, che sarà aperto alle visite delle scolaresche oltre che degli appassionati, permettendo anche un’utilizzazione scientifica, essendo interamente digitale.
 
A giudicare dalle deleghe in suo possesso, Mancini le ha affidato il compito di proiettare Cosenza nel futuro e, da quello che ha appena detto, molto è stato sin qui realizzato in tal senso. Quanto resta ancora da fare?
 
Non poco, direi. Innanzitutto occorrerà subito intervenire "chirurgicamente" sul traffico. Abbiamo l’assoluto bisogno di creare isole pedonali e contemporaneamente trasformare tutta la parte centrale della città in un’isola pedonale, e il maggiore ostacolo in questa direzione è la mentalità dei cittadini. Certo, c’è un problema tecnico-oggettivo, rappresentato dall’entrata giornaliera in città di ben centomila automobili, ma la mentalità dei cittadini è il problema primario da affrontare, perché si ha come la sensazione che a Cosenza le macchine siano arrivate solo adesso, come succede in Algeria. Vi è l’abitudine, il "diritto" di tenere la macchina sotto casa, di andare a fare la spesa in macchina. I giovani, poi, talvolta si spostano con dei fuoristrada semplicemente per passeggiare in città. Questo era possibile negli anni ’50, ma oggi non lo è più. I dati dell’ossido d’azoto presente in Corso Telesio sono sufficienti a far spaventare molto di più che di tutte le radiazioni elettromagnetiche. E questo è un problema che non dipende da Roma, non dipende dai "padroni", dagli industriali, ma da noi, che dobbiamo imparare ad usare il corpo per muoverci, perché ciò permette una maggiore socializzazione, oltre che un miglioramento delle condizioni della nostra salute.
Un importante intervento sarà quello di proiettare la tematica del federalismo a livello comunale. Non è sufficiente che lo Stato si disfi di alcuni poteri che attribuisce alla Regione e questa a sua volta si disfi di alcuni poteri per attribuirli alla Provincia e questa al Comune. Quest’ultimo deve organizzare la vita della città in maniera decentrata, e bisogna che i quartieri abbiano voce e possibilità di decisione. In tutte le amministrazioni (compresa quella di cui faccio parte) che hanno avuto un ruolo positivo negli ultimi quindici anni nello sviluppo del Sud, la lacuna principale è quella della democrazia, ma della democrazia intesa non come rappresentanza (quella è in crisi, come dimostrano i fatti di Genova) ma della democrazia come partecipazione e capacità di decisione. Se noi non educhiamo noi stessi a prenderci la responsabilità delle nostre decisioni, saremo sempre in mano a politici di professione, che in qualche caso possono anche andar bene, come nel caso del sindaco Mancini (che grazie alla sua statura di statista ha in certi casi permesso di correggere alcuni difetti della legge) ma non è certo possibile che ogni città sia amministrata da uno statista, e anche Cosenza non potrà sempre essere amministrata da un sindaco del livello di Mancini. Pertanto, l’altra possibilità, oltre ai grandi uomini, è quella che si sviluppi la partecipazione, l’esperienza del decidere, anche l’esperienza degli errori, perché non può esserci niente di male se un quartiere decide, ad esempio, di costruire un edificio "brutto", poiché anche questo fa parte di quella esperienza attraverso la quale i cittadini apprendono a riconoscere il bello e a tutelarlo. Finché il bello sarà introdotto dall’alto resterà sempre qualcosa di profondamente freddo e non riuscirà ad intaccare quello che resta il problema principale del Sud: cominciare ad autogovernarsi.
 
Qual è, secondo lei, lo stato di salute della sinistra cosentina? E’ pronta ad affrontare una battaglia elettorale che non si preannuncia delle più facili, anche alla luce dei risultati delle recenti elezioni politiche?
 
Mi pare che lo stato di salute della sinistra cosentina sia catatonico, anche se questo fa parte della crisi generale che la sinistra vive a livello nazionale ed europeo. Nel Sud magari la cosa è stata accentuata dall’essere sempre stato il nostro ceto politico selezionato da Roma. I maggiori rappresentanti politici del Sud, come avviene soprattutto in Sicilia, sono stati tali per via che in qualche maniera ricevevano legittimità da Roma. Una volta che questo cordone ombelicale sarà ridimensionato, come accadrà col federalismo, ci troveremo di fronte a delle persone che non avranno alcuna capacità di elaborazione, proprio perché sono state abituate ad essere delegati da Roma. Tutto ciò è vero non solo per la sinistra, anzi, e la cosa non mi consola, la destra è in una situazione ancora peggiore, perché gli unici candidati della destra alle elezioni amministrative che possono avere qualche chance sono quelli che hanno una tradizione clientelare.
Per vincere, la sinistra deve essere da una parte unita e dall’altra avere il coraggio di rinnovare i programmi. Le tematiche sull’allargamento della democrazia permetterebbero di compattare la sinistra su una piattaforma che è adeguata ai tempi, perché non è possibile unicamente pensare di difendere le condizioni di lavoro e di vita dei soggetti più deboli facendo ricorso alle forme burocratiche dello stato sociale. La sinistra deve assicurare un minimo di protezione sociale, di paracadute, e in tal senso sarebbe importante una qualche forma di salario sociale a livello comunale. Noi già spendiamo diversi miliardi per l’assistenza, anche se questa viene data in qualche caso in maniera obiettivamente clientelare, perché viene inevitabilmente ad instaurarsi un rapporto personale tra il singolo e l’assessore o il funzionario comunale. Invece si dovrebbe dar vita ad alcune esperienze di salario garantito. In definitiva io penso bene della flessibilità, perché essa spinge la gente all’attività, ma questa flessibilità deve essere compatibile con qualche forma di protezione per coloro che ne hanno bisogno, in modo tale che se l’impresa chiede libertà di licenziamento, cosa che può anche essere comprensibile, il licenziato sia in qualche misura protetto, altrimenti saremmo costretti a vivere in una società troppo feroce per essere accettata.
Un’altra importante tematica che dovremo introdurre nella prossima campagna elettorale è quella dello snellimento delle forme di controllo burocratico. Malgrado formalmente i contratti di lavoro si applichino al Nord come al Sud, di fatto da trent’anni da noi la gente lavora a nero o comunque guadagna meno di quanto sia scritto nel contratto, e non c’è mai stato nessuno, dalle forze dell’ordine all’ispettorato del lavoro, che abbia mai affrontato il problema. Si tratta di pura ipocrisia, come la dichiarazione dei diritti nella costituzione sovietica: è vero che c’erano ma mai nessuno li ha applicati. Quindi le ostilità che a volte i sindacati manifestano rispetto a differenziazioni contrattuali fanno parte, a mio parere, del mestiere del sindacato in quanto tale. Occorre dunque cambiare registro: assicurare una qualche forma di protezione che non sia clientelare, che quindi sia un diritto, in modo che il cittadino riceva il suo assegno a casa, evitando di fare le file al comune e, al contempo, cercare di trovare forme di snellimento dell’economia, in modo da permettere ai giovani di inventarsi delle cose da fare, soprattutto nel settore delle nuove tecnologie.
L’altro problema da non sottovalutare, a livello più generale, è quello del credito. A noi il credito costa dai due ai cinque punti in più che negli altri posti, e anche questo è un elemento di ipocrisia nazionale. Dicono che vogliono fare degli investimenti particolari al Sud, ma qui prima di tutto si tratterebbe di permettere ai meridionali di accedere a un credito che sia ugualmente a buon mercato rispetto a quello della Lombardia. Il vero problema, che viene nascosto, è che i meridionali, anche quelli che hanno un reddito inferiore, sono grandi risparmiatori, ma il risparmio va al Nord, per cui con i soldi del Sud un imprenditore calabrese a Milano riceve un prestito con un tasso di interesse che è inferiore di quello che riceve qui, malgrado sia lui il risparmiatore che ha dato quei soldi! E la politica della Carical, oggi Carime, ha accentuato questo divario ed alla fine ha privato i calabresi di una loro banca.



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