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Il modello Rende (Cs) e l'area urbana cosentina:
"Ripartiamo da riformismo".
Intervista a Sandro Principe, sindaco della città di Rende (Cs)

di Spartaco Pupo


Sindaco Principe, in vista delle prossime elezioni amministrative di Cosenza è tornato d’attualità il tema dell’ "area urbana cosentina". Qual'è, vista la crescita che Rende ha fatto registrare in questi ultimi anni, la sua opinione al riguardo?
 
La mia opinione credo sia ormai datata, poiché sostengo tale idea da almeno trent’anni, un periodo di tempo che non è certo trascorso inutilmente. Anzi, è per ciò che si è fatto sino ad oggi a Rende che possiamo parlare di "area urbana". Non ho alcuna difficoltà a dire, infatti, che l’area urbana cosentina, che da più parti viene presentata come un progetto ancora da realizzare, in realtà esiste già. C’è nei fatti, e non si tratta mica di un regalo dei contemporanei di Romolo e Remo, perché in gran parte essa è il frutto del lavoro attento e lungimirante degli amministratori rendesi. Non credo proprio che si potrebbe parlare di area urbana se non ci fosse stata una città con le caratteristiche della Rende di oggi. Gli amministratori riformisti rendesi hanno sempre lavorato dentro una logica di area urbana; e sono i progetti realizzati a testimoniarlo. Basta pensare a quello che è oggi l’Università della Calabria, una gemma del nostro territorio, ormai ai primi posti nelle classifiche nazionali, che è nata grazie alla forte volontà e alla lungimiranza degli amministratori rendesi, i quali, dopo il bando del concorso internazionale riguardante il progetto dell’università, vincolarono circa 700 ettari di terreno per dare la massima libertà alla fantasia dei concorrenti (e quando risultò vincitore il progetto Gregotti vennero destinati dal Comune all’università ben 350 ettari, una scelta impopolare, per gli espropri che pure si dovettero praticare, ma che ha consentito la realizzazione di un progetto assai ambizioso e, visti i risultati odierni, anche esaltante).
Nella logica dell’area urbana è stata impostata la programmazione urbanistica della nostra città, oggi molto apprezzata, l’organizzazione viaria, con la costruzione della "19 bis" e della "19 ter", a cui presto si aggiungerà la "19 quater", per non parlare dell’organizzazione del verde e dei numerosi parchi che tinteggiano il tessuto urbano, della presenza di un’area industriale a Nord, in cui è concentrata la maggior parte delle medie e grandi industrie, che è stata raddoppiata nel nuovo PRG per dare accoglienza alle numerose imprese, finanziate con la 488, provenienti da diversi comuni dell’intero hinterland. Il Consorzio "Valle Crati", nel delicato settore ambientale, è una vecchia idea degli amministratori rendesi, e oggi è diventata una importante realtà sovracomunale.
Tutto è partito dal centro storico, un borgo medievale interamente recuperato, con i suoi beni storici restaurati e i suoi musei, ricchi di opere d’arte, mete tra le più gradite dal turismo culturale non solo dell’area urbana ma dell’intera Calabria.
 
Sono stati proficui sino ad oggi i rapporti con l’uscente amministrazione Mancini, sorretta, al pari della vostra, da una coalizione di centro-sinistra?
 
Una consistente accelerazione al processo di realizzazione dell’area urbana cosentina è stata ultimamente impressa grazie all’azione congiunta delle amministrazioni di Cosenza e Rende, legate non solo dal colore dei partiti che la rappresentano ma, non guasta ricordarlo, anche dal comune ideale politico dei loro sindaci. Il riformismo, la lungimiranza e l’attaccamento di Mancini alla sua Cosenza hanno reso molto più agevole, rispetto a quanto si è verificato in passato, la nascita di un dialogo sereno, aperto e costruttivo tra le due amministrazioni. Non è certo un caso che ciò che ancora manca per il completamento dell’area urbana lo abbiamo programmato sinergicamente insieme al sindaco Mancini. Mi riferisco al progetto della metropolitana leggera, che tra l’altro è un’idea che proposi già intorno alla metà degli anni ottanta, non trovando però il necessario consenso da parte dei sindaci cosentini di allora, per la realizzazione della quale è stato costituito persino un ufficio tecnico comune, allo scopo di dar vita finalmente ad un’organizzazione compiuta nel settore del trasporto pubblico locale tra i comuni di Cosenza, Rende, Castrolibero e l’università. La prima fase della fattibilità dello studio della metropolitana è stata assai positiva, perché i tecnici incaricati hanno già certificato che l’investimento trova la sua giustificazione nel bacino d’utenza. Grazie alla collaborazione con il Comune di Cosenza, abbiamo concordato di portare il Viale Parco da Cosenza fino all’università e a Settimo, abbiamo presentato alla Regione un progetto per la bonifica e la valorizzazione dei fiumi e abbiamo già chiuso le convenzioni riguardanti la città cablata.
Queste sono solo alcune delle iniziative che stiamo portando avanti, ma siamo coscienti che non bastano lo spirito di collaborazione, l’identità di vedute e l’azione comune. Quello che purtroppo manca è il sostegno della Regione, che tiene fermi i progetti di Rende e Cosenza. La giunta regionale di centro-destra non ha ancora definito lo studio di fattibilità della metropolitana leggera, tiene bloccati i fondi riguardanti l’ "Asse Città", impedendo ai comuni la realizzazione del Viale Parco, e i progetti dei fiumi giacciono al commissariato per l’emergenza dei rifiuti da dicembre e ancora non vengono approvati. Basterebbe una semplice delega ai comuni per appaltare i lavori, permettendo loro di portare avanti la programmazione amministrativa, che poi, come dicevo, è la programmazione finalizzata al completamento dell’area urbana di Cosenza.
 
Lei è da sempre un convinto sostenitore del "riformismo" di matrice socialista. Ma qual è il vero significato di questo termine, che oggi viene spesso ripreso nel dibattito sulla nuova sinistra italiana? Si può dire che Rende, da molti considerata la "Molinella del Sud", sia figlia della cultura riformista?
 
La sinistra italiana, nel secolo appena concluso, è quella che più di tutte, tra le realtà nazionali europee, è stata influenzata dalla rivoluzione di ottobre, avendo dato luogo ad un grande partito comunista, peraltro originale per il suo essere stato un partito nazionale da un lato e legato all'Unione Sovietica dall'altro, ma che ha finito per bloccare il sistema politico italiano, impedendo per molti decenni la nascita di una grande forza socialista riformista europea.
Ciò naturalmente ha evidenziato anche un limite dei socialisti che, se escludiamo il periodo di inizio secolo, allorché il PSI era guidato da Filippo Turati e dagli altri riformisti, non sono mai riusciti a dar luogo in Italia ad una forza dalle caratteristiche dell'autentica socialdemocrazia. Negli altri paesi, soprattutto in Germania, l'opzione tra rivoluzione e riformismo ha rappresentato un dubbio sciolto già negli ultimi decenni del secolo XIX. Bernstein, in polemica con Rosa Luxemburg, sosteneva che il riformismo è la vera rivoluzione, dando anche filosoficamente alle teorie marxiste una lettura e una prospettiva di tipo diverso. La visione mitteleuropea del socialismo ha sempre rifiutato l'idealismo hegeliano, ritenendo che l'uomo, in una visione più kantiana, non potesse che essere il fine di un'azione politica e mai un semplice strumento. Questa base filosofica ha portato alla conseguenza, sul piano pratico-politico, di rifiutare una strategia che ponesse obiettivi idealizzati che andassero al di là delle condizioni materiali dell'esistenza umana.
Questo, a mio avviso, è stato l'errore del comunismo, che certamente ha suscitato grandi passioni e aspettative, ma che ha finito per comprimere l'individuo, in un'attesa, potremmo dire, del "Sol dell'Avvenire", rapportata però ad una vita di stenti perpetuatasi durante tutto il corso della stessa esistenza dell'uomo, peraltro mortificato nelle sue libertà naturali e civili.
Il socialismo riformista ha avuto la capacità di partire dalla tutela delle libertà, dalle quali comunque non si poteva prescindere, individuando nel principio di libertà un vero e proprio diritto naturale ed esercitando attraverso sistemi democratici un'azione politica improntata ad un gradualismo pragmatico che, vedendo nell'uomo il fine di quest'azione, non poteva non patrocinare e produrre effetti di miglioramento delle condizioni di vita del cittadino durante la sua esistenza, e quindi mai stimolando una sorta di rassegnazione circa le indicibili condizioni di vita offerte in un dato momento storico, nell'attesa di un improbabile riscatto affidato comunque alle future generazioni.
Prendendo spunto da questi brevi cenni teorico-pratici si comprende perché il socialismo riformista abbia prodotto modelli istituzionali di democrazia rappresentativa impregnati dei principi liberaldemocratici e dell'idea di uno stato sociale come sistema di promozione di una giustizia sociale dalla quale la sinistra non può prescindere. Mentre, viceversa, i modelli comunisti hanno prodotto stati totalitari e società in cui la giustizia sociale ha finito per coincidere con la povertà dei cittadini.
Questa impostazione culturale, volendola rapportare alla nostra realtà non si può dire che non abbia prodotto effetti, perché i brevi periodi del "rinascimento calabrese", così come gli esempi di socialismo riformista realizzato negli enti locali di questa provincia, non solo a Rende, ma anche a Trebisacce, Castiglione Cosentino, Cerisano, Cosenza in questi ultimi anni, sotto la guida del compagno Mancini, e in tante altre comunità, sono il frutto di questa cultura gradualista capace di disegnare uno scenario alto con obiettivi ben caratterizzati, sui quali è stata posta in essere una programmazione che ha goduto di un tenace lavoro, giorno dopo giorno, con risultati visibili e godibili anche immediatamente da parte del cittadino, in coerenza con la visione generale del socialismo riformista, che ha inteso, intende ed intenderà offrire all'uomo, durante la sua breve esistenza, opportunità, libertà e miglioramento delle proprie condizioni di vita.
 
La Calabria: quale suggerimento sente di dare per il futuro di questa terra?
 
La nostra regione ha bisogno di liberarsi del fardello culturale che in passato ci ha portato, inseguendo una falsa modernità, ad adottare e sperimentare modelli profondamente sbagliati, che non ci hanno mai appartenuto, perché sono altro dalle nostre radici, che spesso abbiamo reciso anziché cogliere la grande opportunità che ci viene offerta dalla nostra epoca. Bisogna pensare con convinzione ad un nuovo modello di sviluppo, che sia a un tempo autogestito e supportato dalla solidarietà dell’intero Paese. Solo così saremo capaci di puntare sulle nostre peculiarità territoriali, culturali ed economiche.



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