Sindaco Principe, in vista delle prossime elezioni
amministrative di Cosenza è tornato d’attualità il tema dell’ "area
urbana cosentina". Qual'è, vista la crescita che Rende ha fatto registrare
in questi ultimi anni, la sua opinione al riguardo?
La mia opinione credo sia ormai datata, poiché sostengo tale
idea da almeno trent’anni, un periodo di tempo che non è certo trascorso
inutilmente. Anzi, è per ciò che si è fatto sino ad oggi a Rende che possiamo
parlare di "area urbana". Non ho alcuna difficoltà a dire, infatti,
che l’area urbana cosentina, che da più parti viene presentata come un
progetto ancora da realizzare, in realtà esiste già. C’è nei fatti, e non
si tratta mica di un regalo dei contemporanei di Romolo e Remo, perché in gran
parte essa è il frutto del lavoro attento e lungimirante degli amministratori
rendesi. Non credo proprio che si potrebbe parlare di area urbana se non ci
fosse stata una città con le caratteristiche della Rende di oggi. Gli
amministratori riformisti rendesi hanno sempre lavorato dentro una logica di
area urbana; e sono i progetti realizzati a testimoniarlo. Basta pensare a
quello che è oggi l’Università della Calabria, una gemma del nostro
territorio, ormai ai primi posti nelle classifiche nazionali, che è nata grazie
alla forte volontà e alla lungimiranza degli amministratori rendesi, i quali,
dopo il bando del concorso internazionale riguardante il progetto dell’università,
vincolarono circa 700 ettari di terreno per dare la massima libertà alla
fantasia dei concorrenti (e quando risultò vincitore il progetto Gregotti
vennero destinati dal Comune all’università ben 350 ettari, una scelta
impopolare, per gli espropri che pure si dovettero praticare, ma che ha
consentito la realizzazione di un progetto assai ambizioso e, visti i risultati
odierni, anche esaltante).
Nella logica dell’area urbana è stata impostata la
programmazione urbanistica della nostra città, oggi molto apprezzata, l’organizzazione
viaria, con la costruzione della "19 bis" e della "19 ter",
a cui presto si aggiungerà la "19 quater", per non parlare dell’organizzazione
del verde e dei numerosi parchi che tinteggiano il tessuto urbano, della
presenza di un’area industriale a Nord, in cui è concentrata la maggior parte
delle medie e grandi industrie, che è stata raddoppiata nel nuovo PRG per dare
accoglienza alle numerose imprese, finanziate con la 488, provenienti da diversi
comuni dell’intero hinterland. Il Consorzio "Valle Crati", nel
delicato settore ambientale, è una vecchia idea degli amministratori rendesi, e
oggi è diventata una importante realtà sovracomunale.
Tutto è partito dal centro storico, un borgo medievale
interamente recuperato, con i suoi beni storici restaurati e i suoi musei,
ricchi di opere d’arte, mete tra le più gradite dal turismo culturale non
solo dell’area urbana ma dell’intera Calabria.
Sono stati proficui sino ad oggi i rapporti con l’uscente
amministrazione Mancini, sorretta, al pari della vostra, da una coalizione di
centro-sinistra?
Una consistente accelerazione al processo di realizzazione
dell’area urbana cosentina è stata ultimamente impressa grazie all’azione
congiunta delle amministrazioni di Cosenza e Rende, legate non solo dal colore
dei partiti che la rappresentano ma, non guasta ricordarlo, anche dal comune
ideale politico dei loro sindaci. Il riformismo, la lungimiranza e l’attaccamento
di Mancini alla sua Cosenza hanno reso molto più agevole, rispetto a quanto si
è verificato in passato, la nascita di un dialogo sereno, aperto e costruttivo
tra le due amministrazioni. Non è certo un caso che ciò che ancora manca per
il completamento dell’area urbana lo abbiamo programmato sinergicamente
insieme al sindaco Mancini. Mi riferisco al progetto della metropolitana
leggera, che tra l’altro è un’idea che proposi già intorno alla metà
degli anni ottanta, non trovando però il necessario consenso da parte dei
sindaci cosentini di allora, per la realizzazione della quale è stato
costituito persino un ufficio tecnico comune, allo scopo di dar vita finalmente
ad un’organizzazione compiuta nel settore del trasporto pubblico locale tra i
comuni di Cosenza, Rende, Castrolibero e l’università. La prima fase della
fattibilità dello studio della metropolitana è stata assai positiva, perché i
tecnici incaricati hanno già certificato che l’investimento trova la sua
giustificazione nel bacino d’utenza. Grazie alla collaborazione con il Comune
di Cosenza, abbiamo concordato di portare il Viale Parco da Cosenza fino all’università
e a Settimo, abbiamo presentato alla Regione un progetto per la bonifica e la
valorizzazione dei fiumi e abbiamo già chiuso le convenzioni riguardanti la
città cablata.
Queste sono solo alcune delle iniziative che stiamo portando
avanti, ma siamo coscienti che non bastano lo spirito di collaborazione, l’identità
di vedute e l’azione comune. Quello che purtroppo manca è il sostegno della
Regione, che tiene fermi i progetti di Rende e Cosenza. La giunta regionale di
centro-destra non ha ancora definito lo studio di fattibilità della
metropolitana leggera, tiene bloccati i fondi riguardanti l’ "Asse
Città", impedendo ai comuni la realizzazione del Viale Parco, e i progetti
dei fiumi giacciono al commissariato per l’emergenza dei rifiuti da dicembre e
ancora non vengono approvati. Basterebbe una semplice delega ai comuni per
appaltare i lavori, permettendo loro di portare avanti la programmazione
amministrativa, che poi, come dicevo, è la programmazione finalizzata al
completamento dell’area urbana di Cosenza.
Lei è da sempre un convinto sostenitore del
"riformismo" di matrice socialista. Ma qual è il vero significato di
questo termine, che oggi viene spesso ripreso nel dibattito sulla nuova sinistra
italiana? Si può dire che Rende, da molti considerata la "Molinella del
Sud", sia figlia della cultura riformista?
La sinistra italiana, nel secolo appena concluso, è quella
che più di tutte, tra le realtà nazionali europee, è stata influenzata dalla
rivoluzione di ottobre, avendo dato luogo ad un grande partito comunista,
peraltro originale per il suo essere stato un partito nazionale da un lato e
legato all'Unione Sovietica dall'altro, ma che ha finito per bloccare il sistema
politico italiano, impedendo per molti decenni la nascita di una grande forza
socialista riformista europea.
Ciò naturalmente ha evidenziato anche un limite dei
socialisti che, se escludiamo il periodo di inizio secolo, allorché il PSI era
guidato da Filippo Turati e dagli altri riformisti, non sono mai riusciti a dar
luogo in Italia ad una forza dalle caratteristiche dell'autentica
socialdemocrazia. Negli altri paesi, soprattutto in Germania, l'opzione tra
rivoluzione e riformismo ha rappresentato un dubbio sciolto già negli ultimi
decenni del secolo XIX. Bernstein, in polemica con Rosa Luxemburg, sosteneva che
il riformismo è la vera rivoluzione, dando anche filosoficamente alle teorie
marxiste una lettura e una prospettiva di tipo diverso. La visione mitteleuropea
del socialismo ha sempre rifiutato l'idealismo hegeliano, ritenendo che l'uomo,
in una visione più kantiana, non potesse che essere il fine di un'azione
politica e mai un semplice strumento. Questa base filosofica ha portato alla
conseguenza, sul piano pratico-politico, di rifiutare una strategia che ponesse
obiettivi idealizzati che andassero al di là delle condizioni materiali
dell'esistenza umana.
Questo, a mio avviso, è stato l'errore del comunismo, che
certamente ha suscitato grandi passioni e aspettative, ma che ha finito per
comprimere l'individuo, in un'attesa, potremmo dire, del "Sol
dell'Avvenire", rapportata però ad una vita di stenti perpetuatasi durante
tutto il corso della stessa esistenza dell'uomo, peraltro mortificato nelle sue
libertà naturali e civili.
Il socialismo riformista ha avuto la capacità di partire
dalla tutela delle libertà, dalle quali comunque non si poteva prescindere,
individuando nel principio di libertà un vero e proprio diritto naturale ed
esercitando attraverso sistemi democratici un'azione politica improntata ad un
gradualismo pragmatico che, vedendo nell'uomo il fine di quest'azione, non
poteva non patrocinare e produrre effetti di miglioramento delle condizioni di
vita del cittadino durante la sua esistenza, e quindi mai stimolando una sorta
di rassegnazione circa le indicibili condizioni di vita offerte in un dato
momento storico, nell'attesa di un improbabile riscatto affidato comunque alle
future generazioni.
Prendendo spunto da questi brevi cenni teorico-pratici si
comprende perché il socialismo riformista abbia prodotto modelli istituzionali
di democrazia rappresentativa impregnati dei principi liberaldemocratici e
dell'idea di uno stato sociale come sistema di promozione di una giustizia
sociale dalla quale la sinistra non può prescindere. Mentre, viceversa, i
modelli comunisti hanno prodotto stati totalitari e società in cui la giustizia
sociale ha finito per coincidere con la povertà dei cittadini.
Questa impostazione culturale, volendola rapportare alla
nostra realtà non si può dire che non abbia prodotto effetti, perché i brevi
periodi del "rinascimento calabrese", così come gli esempi di
socialismo riformista realizzato negli enti locali di questa provincia, non solo
a Rende, ma anche a Trebisacce, Castiglione Cosentino, Cerisano, Cosenza in
questi ultimi anni, sotto la guida del compagno Mancini, e in tante altre
comunità, sono il frutto di questa cultura gradualista capace di disegnare uno
scenario alto con obiettivi ben caratterizzati, sui quali è stata posta in
essere una programmazione che ha goduto di un tenace lavoro, giorno dopo giorno,
con risultati visibili e godibili anche immediatamente da parte del cittadino,
in coerenza con la visione generale del socialismo riformista, che ha inteso,
intende ed intenderà offrire all'uomo, durante la sua breve esistenza,
opportunità, libertà e miglioramento delle proprie condizioni di vita.
La Calabria: quale suggerimento sente di dare per il futuro
di questa terra?
La nostra regione ha bisogno di liberarsi del fardello
culturale che in passato ci ha portato, inseguendo una falsa modernità, ad
adottare e sperimentare modelli profondamente sbagliati, che non ci hanno mai
appartenuto, perché sono altro dalle nostre radici, che spesso abbiamo reciso
anziché cogliere la grande opportunità che ci viene offerta dalla nostra
epoca. Bisogna pensare con convinzione ad un nuovo modello di sviluppo, che sia
a un tempo autogestito e supportato dalla solidarietà dell’intero Paese. Solo
così saremo capaci di puntare sulle nostre peculiarità territoriali, culturali
ed economiche.