Noi siamo nati intorno alla fine di giugno, cogliendo come
motivo occasionale e per così dire epifanico, il disastroso esito delle
elezioni del 13 maggio. Dico motivo occasionale perché i fermenti e le volontà
di far nascere un movimento organizzato dell'Ulivo, da noi, c'erano e si erano
manifestati da tempo. La nascita della Margherita, il prossimo congresso dei
democratici di sinistra, i Comitati Rutelli e dell'Ulivo rappresentano momenti
significativi della riorganizzazione del centrosinistra, tutta da esplorare, da
percorrere da portare a compimento, verso il traguardo di un riformismo
profondo, condiviso, plurale, non egemonico né conflittuale.
In questo quadro c'è il nostro Comitato: esponenti e
responsabili dei partiti di centrosinistra, intellettuali, professionisti,
docenti, giovani, imprenditori.
Ci accomunano una preoccupazione e una speranza.
La preoccupazione riguarda la deriva impetuosa di una destra
demagogica, populista ed escludente verso estesi settori della società
meridionale e calabrese, rispetto alla quale i partiti di centrosinistra non
sono in grado, così come sono messi, di opporre o proporre granché, di
trasmettere messaggi credibili e mobilitanti, di convincere il popolo disilluso
e smarrito del centrosinistra.
La speranza, non fideistica né sentimentale, ma ragionata e
attendibile è quella che ci sono energie, risorse, ideali e strumenti per
adeguare, rinnovare e qualificare il nostro agire politico al fine di
prospettare ai cosentini e ai calabresi un'alternativa di modernità,
solidarietà, giustizia e libertà.
Aveva ragione Guido Dorso: il problema del mezzogiorno
coincide con quello delle sue classi dirigenti, con quello del suo ceto politico
dominante.
Nel documento per chi avrà voglia di leggerlo troverete
analisi, prospettive e proposte che partono proprio da questo assunto.
Il Comitato continuerà nella sua azione, insieme all'Ulivo
che l'onorevole Principe ha fatto nascere nella vicina Rende, insieme all'Ulivo
istituzionale calabrese di cui è coordinatore l'onorevole Nuccio Fava, insieme
ai partiti, lo ripeto, le associazioni e i forum, presenti numerosi nel nostro
comprensorio. Con o senza di me ci faremo sentire verso la Regione, verso il
governo centrale, nella società, all'Università e alle prossime scadenze
amministrative di Cosenza.
A questo proposito, ogni tanto riaffiorano nel dibattito
sulla stampa, in termini generalissimi e propagandistici, temi come l'area
urbana, la grande Cosenza, il ruolo della vicina Università. Ossessivamente
siamo martellati da slogan su Cosenza città europea, dinamica ed evoluta.
Più puntualmente e nel merito, per fortuna, c'è chi dalla
sua autorevole cattedra ci ricorda che c'è troppo silenzio in questa nostra
città, che c'è una parte non piccola che soffre, che c'è una parte importante
subalterna e ossequiosa dei poteri, che c'è troppa distanza tra chi ha e chi
non ha, che l'eticità dell'agire, privato e pubblico, è un dovere
imprescindibile, che la democrazia, intesa come strumento di partecipazione
responsabile, e quindi di emancipazione e crescita reale, è mortificata…e
così via.
Noi ci riallacciamo, nel nostro fare politico, a queste
parole non strumentalizzandole ma volendo dar loro un seguito concreto. Più
responsabilità e meno rappresentanza, più libertà (come dice il premio Nobel
Senn) e meno passività, più solidarietà e meno divaricazioni, più diritti
che esclusioni, più merito che rendite di posizione.
Ecco: questo siamo e vogliamo essere noi.
E vogliamo esserlo ancora di più dopo la tragedia delle Twin
towers, del pentagono, delle migliaia di persone innocenti di novanta
nazionalità diverse( riflettiamo anche su questo dato, tipico del melting
pot ) uccise dalla barbarie.
Il nostro pensiero, il nostro omaggio, la nostra solidarietà
vanno al popolo americano.
Il nostro rifiuto, la nostra esecrazione sono diretti contro
la violenza e il fanatismo omicida.
Ci chiediamo, subito dopo, e continueremo a farlo nei
prossimi giorni: può la condanna più intransigente assolvere la ritorsione?
Può la sacrosanta indignazione autorizzare la risposta
violenta e oscurare le ragioni della politica, che , non dimentichiamolo, di
fronte all'uso delle armi dichiara il suo fallimento ?
Può il mondo occidentale, culla del pensiero speculativo e
dei lumi, cedere all'istinto guerresco ?
Non ci siamo, in Italia, nella sinistra italiana, un po’
troppo disinvoltamente ubriacati di mondializzazione?
Non abbiamo esagerato con le opportunità decisive che questa
avrebbe dovuto offrire anche ai paesi più emarginati?
Dopo il crollo del comunismo sovietico, chi funziona da
riferimento per gli oltre cinque miliardi di persone cui tocca solo il quindici
percento del reddito mondiale, a fronte dei solo ottocento milioni che godono
dell'ottantacinque percento?
Che dire del dato agghiacciante secondo il quale i tre quinti
almeno dei soggetti che contano, su scala mondiale, sono corporation,
multinazionali e grandi società che controllano o influenzano l'agenda
politica?
Non è vero che non ci sono più ideologie, dal momento che
il mercato, il profitto, l'arricchimento, lo spogliare il pianeta e le sue
risorse naturali e ambientali senza un intervento autorevole della politica,
regolatrice di progetti e non solo holding che bada ai profitti e al PIL, sono
diventati nei fatti stelle polari della sinistra. Si ha un bel dire " si
all'economia di mercato , no alla società di mercato", se non si procede a
una seria e profonda revisione del nostro essere.
Respingiamo subito eventuali obiezioni circa atteggiamenti
giustificazionisti e doppiezze proprie della storia e della cultura
veterocomunista. La biografia e la coerenza di comportamento di ciascuno di noi
sono il nostro passaporto, limpido e inattaccabile.
Riflettiamo piuttosto sul fatto che i problemi che prima ho
sunteggiato possono risolversi con atti muscolari, inviando 100, 1000, 10000,
aerei nel medio oriente, in una escalation contro l'ISLAM, mentre si sono
trascurati questioni cruciali quali i rapporti Israele-Palestina, si è puntato
a omologare storie, pensieri, cultura e religioni entro una impostazione
rigidamente occidentocentrica. E’ cresciuta a dismisura , come ricordavo
prima, la distanza tra i dannati della terra, (facile preda di assassini e
agitatori) e le società opulente, sempre più insicure.
Dobbiamo, anche da qui, gridare no alla guerra, dobbiamo far
prevalere le ragioni della politica, vogliamo dire con Goethe "sbaglia chi
compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza", siamo con
Turati quando dice "la violenza è paura delle idee e delle azioni altrui,
e poca fiducia nelle proprie".
Oppure, in quest'epoca in cui, come dice Hobsbawm, bruciamo e
dimentichiamo tutto, neanche Goethe, neanche Turati, servono più?
La verità, cari amici, è che mai come in queste ore
dobbiamo avere la consapevolezza di essere sull'orlo del vulcano, o in uno di
quei punti di discontinuità della storia.