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Il Mediterraneo di Albert Camus

di Mario Alcaro


Quando per la prima volta m’imbattei, diversi anni fa, in quei brani dell’Uomo in rivolta in cui Albert Camus contrappone lo spirito del Mediterraneo alla cultura del Nord-Europa come il giorno alla notte, confesso che rimasi fortemente colpito e sorpreso.
Colpito e sorpreso, intanto, per la straordinaria potenza espressiva, ma colpito e sorpreso anche per la contrapposizione manichea e per le evidenti forzature storiche. Non riuscivo a capire come si potesse piantare nel cuore della "tragedia del XX° secolo" la contraddizione fra pensiero mediterraneo e storicismo di marca tedesca. Altre mi sembravano le contraddizioni del nostro tempo. Su altri terreni mi pareva si giocasse la partita politica e culturale da cui dipendeva il destino dell’uomo contemporaneo.
Questi brani sono più che noti, ma mi sembra doveroso citarli perché da essi prenderemo le mosse. Prima però è altrettanto doveroso indicare telegraficamente le premesse da cui Camus muove per giungere alle conclusioni sul "pensiero meridiano" come vero e unico "pensiero in rivolta" contro le tenebre della tarda modernità.
Nel secolo scorso, scrive Camus, "l’uomo abbatte i vincoli religiosi. Eppure, appena liberato, se ne inventa di nuovi, e intollerabili". La rivoluzione del ventesimo secolo sostituisce a Dio la storia. Quest’ultima viene divinizzata. Essa cancella " la misura delle cose e dell’uomo", riconosce soltanto il principio dell’efficacia e del successo e ci consegna un mondo dominato da "mercanti" e una cultura intrinsecamente nichilista. Così, "gli uomini d’Europa, abbandonati alle ombre, si sono distolti dal punto fisso e irraggiante". Credono ormai solo alla potenza e alla storia e non si accorgono che questa loro unica fede si converte in "un meccanismo omicida e smisurato", contro cui "diviene sacra una nuova rivolta, in nome della misura e della vita". " Non credono più a ciò che è, al mondo e all’uomo vivo; l’Europa non ama più la vita, questo è il suo segreto […]. Per questo hanno voluto cancellare la gioia della scena del mondo. […] Negando la giusta grandezza della vita, hanno dovuto puntare tutto sulla loro eccellenza. In mancanza di meglio hanno divinizzato se stessi e la loro sciagura ha avuto inizio" : una sciagura dovuta principalmente alla privazione della "scena del mondo", della bellezza naturale e dell’amore per la vita.
Ed ecco, d’improvviso, apparire il Mediterraneo con il suo incanto. Il contrappeso, l’antidoto più efficace al nichilismo europeo, è "il medesimo che anima la lunga tradizione di quello che si può chiamare pensiero solare, nel quale, dai Greci in poi, la natura è sempre stata equilibrata al divenire. Rilevato che la storia dell’Occidente è attraversata dall’antinomia fra "misura e dismisura", Camus formula quella serie di giudizi che a suo tempo, come dicevo, mi hanno colpito e sorpreso.
"Forse il conflitto profondo di questo secolo si stabilisce non tanto fra le ideologie storicistiche tedesche e la politica cristiana, che sono in un certo senso complici, quanto fra i sogni tedeschi e la tradizione mediterranea, le violenze dell’eterna adolescenza e la forza virile, la nostalgia […] e il coraggio […]; la storia, infine, e la natura. Ma in questo, l’ideologia tedesca porta un retaggio. In essa si compiono venti secoli di vana lotta contro la natura in nome di un dio storico dapprima, e poi della storia divinizzata".
Allorquando Dio viene espulso dall’universo storico nasce "l’ideologia tedesca, nella quale l’azione non è più perfezionamento, ma pura conquista, cioè tirannia". In realtà "l’assolutismo storicista, nonostante i suoi trionfi, non ha mai cessato di cozzare contro un’esigenza invincibile della natura umana di cui il Mediterraneo, dove l’intelligenza è sorella alla luce cruda, serba il segreto.[…] L’Europa non è mai stata altrimenti che in questa lotta fra meriggio e mezzanotte". L’antico continente si è degradato proprio quando ha disertato questa lotta "eclissando il giorno con la notte". Oggi però, nella "miseria comune", l’antica esigenza rinasce: "Di nuovo la natura si erge di fronte alla storia. Beninteso, non si tratta di disprezzare nulla, né di esaltare una civiltà contro un’altra, ma semplicemente di dire che esiste un pensiero cui il mondo di oggi non potrà più a lungo rinunciare. […] Noi mediterranei viviamo sempre della stessa luce. In cuore alla notte europea, la civiltà dal duplice volto, attende la sua aurora".
A rileggerle oggi, queste asserzioni mi lasciano ancora col fiato sospeso. Appare evidente che si portano dentro un’estremizzazione e un travisamento storico (dovuti forse al rimpianto della centralità perduta del Mediterraneo). L’antinomia fra la mediterranea istanza della natura e lo storicismo nordico non solo non è divenuta la contraddizione principale dell’Europa del Novecento, ma non ha avuto modo neanche di delinearsi ed esprimersi.
E tuttavia oggi, e solo oggi, leggo in queste affermazioni una capacità profetica. In esse si scorge, innanzitutto, un’intuizione profondissima di ciò che costituisce la "madre di tutti i problemi" dell’odierna società tecnologica: una manipolazione sconfinata, la quale richiede che si faccia di nuovo ricorso alla natura come a un limite e a una misura. E poi una preziosa indicazione su dove si debbano andare a cercare i materiali per arginare la straripante volontà di potenza della civiltà contemporanea.
Camus vede delinearsi nel ventesimo secolo un contrasto profondo fra storia divinizzata e natura, manipolazione tecnologica e istanze basilari della vita e dell’equilibrio naturale. E individua nel Mediterraneo il soggetto che incarna una delle due polarità: l’istanza dell’equilibrio naturale che si contrappone alla divinizzazione della storia e della potenza umana.
Ora, a me pare che se questa posizione di Camus è intesa come un giudizio storico, una radiografia del presente, la registrazione di un contrasto in atto nell’Europa del Ventesimo secolo, allora non si può che dissentire radicalmente. I fatti storici dimostrano che così non è stato e così non è. Tuttavia, se le parole di Camus sono interpretate come delle indicazioni su una possibile tendenza storica, se sono lette come affermazioni che riguardano non ciò che è, ma ciò che potrebbe essere, allora quelle parole possono essere raccolte e inserite nei nostri discorsi. Ed io proprio questo mi propongo. Riadoperare quelle parole declinando tutti i verbi al futuro: guardare al Mediterraneo come ad un possibile antidoto alla volontà di potenza e di dominio dell’uomo occidentale.
Perché il Mediterraneo e non altri territori, altri contesti culturali, altre forme di civilizzazione? Perché il Mediterraneo dispone di un armamentario teorico incomparabilmente più ricco di quello di qualsiasi altro luogo. Perché ha prodotto una serie di simboli e di immagini che rappresentano adeguatamente la forza creativa della vita e della natura. Perché tale elaborazione non può non essersi depositata in qualche modo nell’immaginario collettivo dei popoli mediterranei.
Del resto, anche sul piano socio-economico e politico il Mediterraneo è nelle condizioni più adatte per proporsi come freno alla dismisura contemporanea. La perdita della sua centralità proprio nella fase storica in cui si è andata affermando la modernità e lo scarso sviluppo che ha avuto al suo interno la produzione industriale, gli consentono di battersi perché gli uomini non siano "esiliati dalla bellezza naturale".
Sia ben chiaro. Si tratta di un ruolo soltanto potenziale, di una possibile assunzione di responsabilità che oggi stenta ad aprirsi la strada. E non c’è dubbio che per superare ogni impedimento si richiede un impegno concentrico delle forze intellettuali ed una esplicita presa di posizione da parte delle istituzioni più prestigiose e trascinanti.



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