Bisogna proprio riconoscere che i discorsi sull'economia
plurale, e più in generale attorno a questo tipo di logica associativa, con cui
si pensa di risolvere le contraddizioni sociali attraverso giudiziosi
dispositivi tecnici ed un appello alla buona volontà, non si muovono davvero su
una linea alternativa.
Si tratterebbe di una economia articolata su tre poli: il
Mercato, lo Stato ed un polo di reciprocità. Questi poli corrispondono ai
differenti principi di organizzazione della società analizzati da Polanyi: il
principio di mercato, di redistribuzione e di reciprocità. E' il loro
riconoscimento ed è la loro ibridazione che permettono di pensare, secondo J.
L. Laville, la nozione di economia plurale in opposizione al principio di
unicità del mercato (Laville, 1998).
La costruzione sociale della struttura associativa che, in
condizioni particolari, tiene insieme ed ibrida volontari, utenti e istituzioni
- ovvero reciprocità, Mercato e Stato - rappresenterebbe la possibilità di
reincardinare l'economia nella società.
Ora, se noi seguiamo il ragionamento di Polanyi, con il
capitalismo, l'avvento del mercato come principio di organizzazione sociale è
una vera rottura, che fa della società una società di mercato che assorbe (sussume)
gli altri principi: l'insieme della vita sociale è sottoposto alla legge
economica e alla pretesa che il lavoro, la moneta e la natura divengano merci.
Con la riaffermazione del liberismo nel corso degli anni '80,
il Mercato si presenta esattamente come astratto principio unico di
organizzazione sociale. L'economicismo non consiste dunque in un eccesso di
crescita economica, che si tratterebbe di ricondurre a giuste proporzioni
mediante la costruzione di corpi intermedi tra Mercato e Stato, come il terzo
settore o l'economia plurale. E' la forma stessa della società che diventa
economia, è una forma di socializzazione che si impone a tutta la società con
una violenza tanto più legittima quanto più appare generata dalla Necessità.
L'Economia non si sviluppa contro la società oppure accanto alla società: essa
piuttosto la ingloba e procede alla sua riorganizzazione secondo la logica
dell'efficienza.
In tal senso le possibilità di reincardinamento
dell'economico nel sociale, cui poco sopra si è accennato, restano
problematiche se noi restiamo in questo immaginario economico.
Si assiste infatti ad una situazione paradossale. Il ritorno
del dono può essere rivendicato con una certa verosimiglianza dagli
ultraliberali. In effetti, smantellando lo Stato Sociale (Etat-providence),
Margaret Tatcher e Ronald Reagan non hanno rinunciato a fare appello allo
spirito di solidarietà dei loro concittadini per porre rimedio alle
insufficienze del mercato ("market failures"). Certo, questa posizione
non cessa di essere paradossale poiché la regolazione attraverso il mercato si
fonda sulla fede nell'armonia naturale degli interessi e, dunque, sulla
esaltazione dell'egoismo. Come giustificare l'altruismo che autorizza la
ritirata dello Stato? Ma, d'altra parte, i social-democratici devono affrontare
un paradosso in qualche modo simmetrico. Lo Stato Sociale si basa
sull'affermazione della necessaria solidarietà tra i cittadini e si riallaccia
ad una visione altruista dell'uomo. Solo che, rendendo obbligatorio il
finanziamento della previdenza sociale, impedisce allo spirito del dono di
manifestarsi…
In realtà, se lo Stato Sociale rivendica la giustizia e non
la carità, ciò implica certamente uno spirito del dono. E' infatti questo che
funge da fondamento alla solidarietà e alla condivisione che presiedono alla
previdenza sociale, agli assegni familiari, alla indennità di disoccupazione,
alle pensioni sociali. Tutte queste istituzioni, in effetti, sono fondate su una
relativa, ma reale, mutua condivisione delle risorse di fronte ai rischi,
secondo la massima "tutti per uno, uno per tutti". Questo sistema
costituiva il fondamento della moderna cittadinanza, equivalente dell'antica philia
(amicizia). La mondializzazione ultraliberale, smantellandolo, per certo
libera il dono, ma non tanto nella forma della carità quanto come base
necessaria di una ricostituzione del legame sociale.
La questione centrale è proprio quella dell'immaginario. Mi
sembra che ci sia una contraddizione insormontabile tra l'immaginario economico
in cui siamo immersi e l'immaginario che implica l'espansione di una autentica
economia plurale, se vogliamo che quest'ultima abbia una qualche consistenza. Si
tratta allora di pensare la compatibilità tra i tre poli del tripode. Come può
l'etica della guerra economica ad oltranza coesistere con l'etica della
solidarietà, della gratuità e del dono, che dovrebbe animare il mondo
dell'associazionismo, con l'austerità della cittadinanza e l'uguaglianza
fraterna implicate dallo Stato democratico? Che abbia luogo alla corte dei
grandi tra i vari Bill Gates, Andy Grove, Michel Eisner e soci oppure a quella
dei meno grandi tra i Tchuruck, Messier, Pinot ed altri Bouyghes, il
"gioco" economico è fatto di darwinismo sociale accompagnato dalla
morale "occhio non vede, cuore non duole" (ovvero "non visto-non
catturato" secondo un proverbio francese), i cui ingredienti sono le OPA (offerte
pubbliche di acquisto di pacchetti azionari, NdR.) selvagge, lo spionaggio
industriale, l'evasione fiscale di massa, la corruzione attiva e passiva
mescolata ad un'etica protestante che sboccia nella "buona governance"
imposta dai fondi di pensionamento. Questo gioco, in ogni caso, si fa sulle
spalle dei lavoratori salariati ed attraverso la strumentalizzazione di massa
dei consumatori. L'etica della solidarietà e quella della cittadinanza
egualitaria sono con assoluta evidenza condannate a restare la cattiva coscienza
dell'etica degli affari.
Non si tratta di fare le verginelle timide, ma il confronto ,
anche conflittuale, non può esistere che nell'ambito di un rapporto di forza
relativamente equilibrato, non certo in una giungla senza principi. Come ci
accingiamo ad allevare i nostri figli e a "fabbricare" i futuri agenti
della società del domani? Quale di queste morali vedremo, ci troveremo ad
ascoltare ed ad approvare con il plebiscito dell'auditel alla TV o sulle onde?
La verità è che con il trionfo della società di mercato e
l'apoteosi della guerra economica non c'è proprio dialogo o confronto pacifico
tra queste etiche. Persino la redistribuzione, non necessariamente altruista, e
certamente conforme agli interessi a lungo termine delle multinazionali, finisce
per essere svalutata, schernita e marginalizzata.
I governi socialisti, difensori naturali dei servizi
pubblici, partecipano allegramente al fatto che questi stessi servizi vengano
fatti a pezzi e si rendono complici di un pensiero unico che tratta come un cane
rognoso i sistemi di pensione sociale, pur conformi al buon senso ed alla
giustizia, per attuare invece fondi di pensionamento all'americana.
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(traduzione di Osvaldo Pieroni)