Da dove iniziare questa conversazione con Aldo Tortorella, se
non dalla guerra? Non è questo, infatti, l’ "evento estremo" che ha
fatto e fa da cartina di tornasole per i comportamenti dei singoli come delle
forze politiche, l’evento che ha sconquassato tante volte la sinistra del ‘900,
mettendo di fronte a scelte dolorose, che hanno portato a scissioni su scala
internazionale, a separazioni tra "compagni di una vita", l’evento
che negli ultimi dieci anni, ancora una volta, ha inciso profondamente sulle
vicende e sull’identità della sinistra italiana, già dalla guerra del Golfo
e poi di nuovo dalle guerre nella ex-Jugoslavia fino all’oggi, alla guerra in
Afghanistan (e non solo)? Ti eri pronunciato anche contro questa guerra, come
contro le precedenti. Facciamo un bilancio: la guerra è finita? Chi ha vinto?
Tortorella. La guerra non è alle nostre spalle. Come era
ovvio, la vastissima coalizione mondiale, comprendente tutti i paesi più ricchi
e potenti del mondo, ha avuto facilmente ragione dell’Afghanistan. Così come
saranno facilmente vinte le prossime guerre annunciate contro questo o quel
piccolo Stato, santuario vero o presunto del terrorismo. Ma se era – come è
stato detto – una guerra contro il terrorismo, gli Stati Uniti e l’Occidente,
con l’intervento in Afghanistan, hanno aggravato e non risolto il problema!
Perché l’origine e la forza del terrorismo non sono in questa o quella base
militare, in questo o quello Stato, ma nelle menti di tante persone che scelgono
consapevolmente quella strada.
Secondo gli stessi esperti statunitensi, il terribile
attentato dell’11 settembre è costato solo poche decine di migliaia di
dollari, e una preparazione relativamente semplice. Il problema reale è un
altro: da dove nasce questo attentato, quale situazione ha portato all’11
settembre, cosa ha davvero armato la mano dei terroristi? La risposa non è
difficile: esiste una situazione non solo di diffusa indigenza e di estrema
miseria, ma anche di gravissime frustrazioni nazionali, che investe buona parte
del pianeta ma che è del tutto ignorata dai potenti del mondo. La fame o l’offesa
ai sentimenti nazionali non producono direttamente la ribellione. Ma producono
sdegno, indignazione, rivolta delle coscienze. Ci sono continenti interi
attraversati da questi problemi, mentre nelle stesse metropoli avanzate non è
stata sconfitta la povertà e anzi la forbice ricchi-poveri cresce
inesorabilmente. Il capitalismo, specie quello più recente, in versione
neoliberista, non ce l’ha fatta a sopprimere la povertà, tutt’altro. E
porta avanti un modello di sviluppo che corre verso l’autodistruzione della
specie. In più, l’impero non bada ai sentimenti e agli interessi offesi. Gli
attentatori di New York erano in prevalenza sauditi, figli di un paese ricco e,
spesso, di famiglie ricche o ricchissime, venuti al terrorismo dopo la guerra
all’Iraq.
Inoltre l’Occidente, la parte egemone, oggi, a livello
planetario, offre al resto del mondo modelli di incivilimento che hanno in sé
la violenza, la sopraffazione, la legge della giungla, lo scatenarsi degli
"spiriti animali", il diritto del più forte. Nel momento in cui si
oppone agli "incivili", l’Occidente appare una civiltà che ha al
suo interno anch’esso momenti ripugnanti.
E’ interessante questo tema delle idee-forza che l’Occidente
propone al resto del mondo. Ad esempio l’idea di libertà. E’ una bandiera
della nostra civiltà. Ma come appare, questa libertà, agli "altri"?
Tortorella. Vista con gli occhi degli "altri",
la libertà appare in gran parte illusoria e ipocrita. Innanzitutto, il modello
prevalente, quello propagandato dalle nostre tv o da gran parte del nostro
cinema, è chiaramente basato su una libertà possibile solo per élites
più o meno ristrette, non per tutti: spostarsi in jet da una parte all’altra
del globo, uomini e donne bellissimi, ambienti da favola… E’ un modello
falso, che serve a scatenare il desiderio e la competizione, per la conquista di
beni che rimangono per forza di cose non raggiungibili per la gran parte della
gente. E tutto è mercificato, anche l’essere umano. Anche l’amore. E’
chiaro che questo modello costituisce superficialmente un forte appeal
per le masse del Terzo mondo, ed è altrettanto evidente che poi esso provoca
una forte delusione, quando si capisce che è illusorio, portatore di
inevitabili frustrazioni.
Se anche da ciò – e dalla miseria, e dall’umiliazione
nazionale – nasce il terrorismo, la soluzione non può essere una guerra, l’invasione
di uno Stato, piccolo o grande. Chi vede in bin Laden un eroe, non è sconfitto
insieme all’Afghanistan. Perciò è vinta la guerra, questa guerra, non il
terrorismo, che prima o poi sboccherà in un altro modo, come accadde dopo la
guerra del Golfo. Ed è alimentato dall’umiliazione del popolo palestinese.
Non è la forza militare pura e semplice, con i connessi massacri di civili
innocenti, che può porre fine a questi fenomeni.
Vi sono forse altre motivazioni, alle spalle del conflitto?
Tortorella. Anche questo. Facciamo un passo indietro e
pensiamo alla guerra del Kosovo. Milosevic, in realtà, era già traballante,
sull’orlo della sconfitta, anzi già stato sconfitto nelle elezioni
amministrative. Altre modalità di intervento e di pressione erano possibili, l’altro
ieri nella ex-Jugoslavia come ieri in Afghanistan. Basti pensare all’enormità
delle spese militari: quante cose si potevano fare con quei soldi, in termini di
aiuti e sostegni anche non effimeri alle popolazioni più povere del pianeta! Si
è invece intervenuti con i B52, col risultato che ciascun conflitto ha
lasciato, con distruzioni enormi, una nuova, forte presenza militare
statunitense. Si è voluto ratificare la fine dell’equilibrio uscito dalla
seconda guerra mondiale. Si è voluto sancire il ruolo degli Stati Uniti nuova
potenza imperiale, in grado oggi di presidiare tutti gli angoli del pianeta. E
le altre ex-grandi potenze traggono qualche vantaggio da questo quadro solo se
lo accettano e si inseriscono in esso, in modo subalterno.
Quale deve essere il ruolo della sinistra, in questo contesto
nuovo e drammaticamente segnato da un nuovo imperialismo?
Tortorella. Dobbiamo pensare a una sinistra nuova, quella
vecchia – sia socialista che comunista – ha troppi errori alle spalle:
troppe volte ha calpestato i suoi propri princìpi. Ciò non significa che le
idee socialistiche debbano essere buttate tutte alle ortiche, o che la
Rivoluzione d’Ottobre non abbia avuto un effetto di risveglio su milioni di
donne e di uomini. Non significa fare strame dei meriti storici del pci e del
Psi. Ma vedere che ogni nostalgia è assurda. Come è infondata ogni nuova
posizione che non legga le luci e le ombre del passato. La sinistra deve
innanzitutto recuperare i suoi orizzonti universalistici. E ripensare il proprio
compito. Del resto il movimento anti-globalizzazione indica questa strada: è
per tanti versi libero dai vincoli del passato, e dai suoi fallimenti.
A me pare però un errore non cogliere la specificità di
questo movimento (e dei movimenti in genere) e pensare che una forza politica
debba quasi identificarsi con esso.
Tortorella. E’ vero. Tuttavia è giusta l’intuizione
di fondo di chi guarda al movimento come forza nuova e fondamentale della lotta
antiliberista. Ma continua ad esserci un problema di rappresentanza, e dunque
una differenza che permane tra movimento e partiti. La sinistra politica deve
cogliere la lezione che viene da esso, ma esprimerla anche in attitudine di
governo. In Italia la sinistra è perdente perché non ha saputo affrontare i
grandi temi: la pace, la globalizzazione, l’Europa. Sulla guerra la sinistra,
nella sua parte maggioritaria, quella moderata, è salita sul carro del
vincitore, perdendo autonomia e forza d’attrazione. Sull’Europa, ci si
schiera con Ruggiero (e con Agnelli) contro Berlusconi, senza vedere che la
linea dei primi (stare "sia con l’Europa che con gli Stati Uniti")
è già battuta: gli Usa hanno posto la questione nei termini più radicali –
o con noi o contro di noi –, Blair (già alfiere della "terza via")
si è affrettato a salire sul loro carro, e Berlusconi corre anch’egli a
mettersi agli ordini di Bush, mostrando di concepire l’Unione europea solo
come un’area di libero scambio. D’altra parte l’Europa dimostra ancora la
sua inconsistenza politica, la sua mancanza di identità, per ovviare alla quale
ci vorrebbe una Europa con la volontà di svolgere nel mondo una funzione
diversa da quella statunitense, una azione che si differenzi innanzitutto sul
tema del ricorso alla guerra, e del rapporto con il Terzo mondo.
L’Europa può nascere politicamente solo proponendo una
alternativa al modello imperiale statunitense, una direzione consapevole dello
sviluppo, non puramente affidato al mercato o alle multinazionali: questo può
essere l’obiettivo della sinistra oggi.
La sinistra in Italia si trova in una condizione disastrosa:
dopo anni di governo ha perso elettoralmente dopo aver perso nel paese. E’
divisa e non mostra molti segni di aver capito la lezione.
Tortorella. Dopo l’89 la sinistra, nel suo complesso,
non ce l’ha fatta. E’ ridotta – nel suo insieme - a una entità marginale,
irrilevante in varie aree del paese. Da una parte essa ha interpretato l’antagonismo
come "estraneità" alla società data, dall’altra si è concepita
come assolutamente interna a questa stessa società. In tale divaricazione –
che non è solo italiana – la sinistra ha perduto ruolo, funzione,
prospettiva. È possibile ricostruire una visione alternativa e insieme una
attitudine al governo? È necessario, ma ciò comporta un passaggio non
semplice: una revisione profonda delle nostre categorie mentali, una nuova idea
di socialismo non più come "stazione" che viene dopo il capitalismo,
ma come punto di vista critico sulla realtà, che agisce già oggi, che chiede
politiche e comportamenti coerenti. Capendo che non conta solo la spinta degli
interessi, ma come essa – secondo la lezione di Gramsci – si riflette nelle
coscienze dei singoli. Perciò fondamentale diviene la consapevolezza e la
pratica di presupposti etici differenti, che fanno diversa la sinistra, che
rendono credibile l’alternativa che essa propone, sapendo di rappresentare una
scelta diversa dalle altre, non "la" scelta assoluta, non la scienza
assoluta della storia. È necessaria un’opera paziente, che sia dentro una
pratica sociale, che non è cosa altra dalla pratica politica. Il vecchio Pci
– criticabile per molti aspetti – aveva però il suo punto di forza nell’avere
una diffusissima presenza sociale, una pratica che ne faceva una parte della
società, con cui c’era un confronto continuo.
L’ "Appello per il rilancio della sinistra",
promosso da alcuni aderenti alla Associazione per il rinnovamento della sinistra
e a Socialismo 2000, cosa vuol dire di nuovo ai cittadini, ai militanti di
sinistra oggi così insoddisfatti, sfiduciati, dispersi?
Tortorella. L’Associazione si propone di dare, assieme ad altri, un
contributo per creare un movimento politico che colmi il vuoto che c’è tra la
politica moderata e centrista dei Ds e la politica antagonista di Rifondazione.
Le forze politiche oggi in campo lasciano troppe compagne e troppi compagni
rassegnati e delusi. Bisogna dare un segnale di riscossa, che restituisca la
speranza e la voglia di lottare.