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Reti di luoghi antiglobalizzazione:
le matrici strutturaliste del progetto locale

di Alberto Ziparo


1. Una delle osservazioni più stupide ascoltate durante i fatti di Genova si deve al vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, secondo cui il popolo di sinistra non può essere "antiglobal" in quanto una delle radici principali del comunismo è l’internazionalismo, appunto mondialista. A parte la banalità dell’approccio, va ricordato che l’internazionalismo comunista proponeva una governo mondiale dal basso, un modello opposto a quello presentato dall’attuale globalizzazione dell’economia che, anche per una crescente subalternità della politica alle diverse forme di mercato, tende a favorire "l’egemonia" delle classi ricche, ma in genere del capitalismo monopolistico, oggi dinamicizzato e spesso virtualizzato, dalla crescente finanziarizzazione dell’economia. Ma non è tanto questo ad interessarci, quanto l’ignoranza da parte del Vicepresidente del Consiglio, e di molti latori di osservazioni analoghe, del fatto che all’attuale assetto globalizzato viene opposta un’idea, non di "localismo assoluto" (forse cara all'altra star del governo, Bossi), ma un’idea di localismo solidale e transnazionale, che può rappresentarsi in glocalismo, o in figure similari, ma costituisce nient’altro che una delle evoluzioni dell’internazionalismo strutturalista di matrice marxista.
 
2. L’approccio in questione presenta certamente profili assai critici nei confronti delle vulgate politiche oggi dominanti, con interessanti risvolti culturali e "metascientifici", certamente più ampi e complessi della mera contrapposizione al globale di un locale visto quale " comunità monadistica " .Alla visione del villaggio globale come sfera economicistica – ed anche quale superamento di Gaia , scenario ambientalista , ma non scevro da riduzionismi nei confronti dei "diversi particolari " - sul finire degli anni ottanta alcuni geografi territorialisti hanno contrapposto quello della "rete", del mondo come "rete dei luoghi", come "città di villaggi" , connotato dalle relazioni "orizzontali" (di tipo socio-economico ) tra contesti diversi, in cui tuttavia vengono rispettati i valori verticali, le peculiarità locali .
 
3. Uno sguardo "non superficiale" permette di cogliere che tale approccio – riferimento non unico, non totalizzante, ma certo sostantivo,per il crescente movimento antiglobal – è segnato da almeno un paio di caratteri non frequentissimi nella pur vasta soggettività critica militante o semplicemente intellettuale: denota uno schema interpretativo che segna i diversi livelli di conoscenza ed azione – dall’epistemologico all’oggettuale – e presenta una forte propensione
all’interazione tra indagine sociale ed intervento politico. La "rete di luoghi" dotati ciascuno di propri caratteri ecologici, culturali, storici, sociali, e legati da relazioni di tipo socio-economico, è scenario ormai familiare tra ecologisti ed urbanisti e denota l’intenzione di superare le aporie dell’attuale modello d'assetto socio-politico con una visione " dal basso ", capace di tutelare i valori da esso negletti. Anche seguendo criteri dettati da una categoria che oggi spesso appare in dissolvenza – l’etica – ma proiettati sulle esigenze pratiche dominate dalla necessità d'incidenza nei diversi contesti di riferimento.
 
4. Tale rappresentazione del mondo e dei suoi accadimenti è emersa allorché l’analisi socio-territoriale ha registrato una certa svolta interpretativa, dovuta anche agli esiti dell’incontro tra la " teoria critica ", applicata al modello d'assetto socio-economico, con il " pensiero della complessità " e con le sue implicazioni in termini sia d'ecologismo sia d'auto-organizzazione. Il pensiero tardostrutturalista è stato in qualche modo investito da tali evoluzioni, dotando taluni caratteri relazionali e sistemici già presenti nell’indagine, di maggiore spessore ermeneutico, rispetto ai fenomeni in campo.
Edward Soja presso l’università della California (Postmoderm Geographies, Verso, 1989) e Giuseppe Dematteis in Italia (Le metafore della Terra, Angeli, 1985) sono tra i geografi cui più si deve per tali elaborazioni, di là dagli studi inerenti direttamente gli aspetti teoretico-epistemologici. Pier Carlo Palermo ha poi argomentato le ricadute di tali concezioni nel campo degli urbanisti (Interpretazioni dell’analisi urbanistica, Angeli, 1992) specie ricostruendo l’evoluzione dal filone di pianificazione, presente anche in Italia, a Venezia, presso il Dipartimento di Analisi Economica e Sociale del Territorio dell’Istituto di Architettura, a lungo diretto da Francesco Indovina. Ma si deve a John Friedmann, pianificatore urbano alla UCLA, la ricostruzione del filo rosso – talora una robusta corda, talora un esilissimo lacciuolo – che può segnare la traiettoria, pure marcata da tante " catastrofi ", che va dalla Seconda Internazionale fino all’odierno Progetto Locale Autosostenibile, passando anche per contributi non sospettabili di eccessive inclinazioni pianificatorie, quale quello di Antonio Gramsci.
 
5. Nel suo volume Pianificazione e dominio pubblico, Dedalo 1993 (Princeton UP, 1987), Friedmann individua quattro grandi concezioni informatrici delle politiche territoriali e delle pratiche di pianificazione dello sviluppo, distinguendole per tradizioni intellettuali di provenienza, approcci epistemologici, costruzione delle relazioni tra conoscenza scientifica ed azioni sociali, ruolo dei diversi di attori. Lo studioso californiano, a partire da tali categorie, illustra ed interpreta i caratteri dei diversi filoni di policy and planning: l’analisi politica (in cui confluiscono l’analisi dei sistemi, le teorie dell’economia neoclasssica, gli studi su Welfare e Scienza Politica, quelli sulla pubblica amministrazione); l’apprendimento sociale (che a partire dagli studi sulla gestione
Scientifica dei processi produttivi ed amministrativi si è evoluta in sviluppo delle organizzazioni ); il riformismo sociale ( in cui l’autore riconosce il portato della sociologia economica, della scuola storiografica tedesca, degli studi nell’economia istituzionale e del benessere, nonché del filone di studi umanistici del pragmatismo soprattutto americano ) ; infine la mobilitazione sociale ( esito dell’evoluzioni interattive tra materialismo storico, neomarxismo, strutturalismo, teoria critica, utopisti e pianificatori ecoantropologici ).
Le prime tre concezioni sono improntate al trattamento delle riforme della gestione pubblica , con una maggiore attenzione alla politica ed alla costruzione sociale del mercato : approccio rispettivamente top down ( analisi politica ) e bottom up ( apprendimento sociale ), con una maggiore propensione progressiva, tuttavia ancora top down, la terza (riformismo).
Il quarto filone , della mobilitazione sociale, opera invece dal basso e, muovendo da diverse prospettive di espressione del disagio verso i modelli di assetto politico storicamente dati nelle diverse fasi " moderne ", pretende di prospettare orizzonti di trasformazione sociale netta e spesso radicale.
 
6. Nelle evoluzioni del marxismo, nello strutturalismo e l’incontro della teoria critica e ,quindi , con l’utopia ed ancora con la pianificazione ecologica e le varie sfaccettature del pensiero complesso, Friedmann osserva il dispiegarsi, con consolidamenti e metamorfosi, di molti motivi e temi che abbiamo incontrato nei punti precedenti e che oggi marcano diverse forme di antiglobalizzazione .
L’incrocio tra le concezioni culturaliste ed ecologiste permette di disegnare una mappa di relazioni che legano i grandi problemi dell’oggi alle aporie del sistema politico.
Le relazioni tra concezione dell’indagine ed azione sociale sono corroborate da operazioni di decostruzione e ricontestualizzazione di categorie consolidate presso alcuni autori della tradizione marxista . Lo studioso americano coglie, per esempio, gli scostamenti di Antonio Gramsci dai dettami della tradizione dalle pure diverse forme di istitituzionalizzazione della pratica comunista e le potenzialità insite in una tensione etica tendente a coniugare disciplina politica e pratica sociale. Nell’uso fortemente proiettato sull’indagine della realtà di riferimento, l’Italia fascista , di talune categorie gramsciane , quali " controegemonia " o la " dominante contadina " , Friedmann coglie i prodromi della capacità, di contestualizzare non solo i processi ma anche metodi ed approcci, ancora oggi assai fertile per un localismo intelligentemente critico e relazionale.
Ancora nella tradizione marxista, in qualche modo territorializzata sta la trasposizione della rete delle comunità di sviluppo rurale della Cina maoista nella idea di rete di sviluppo " dal basso " , che lo studioso americano propone come scenario di riferimento " per la resistenza e la trasformazione sociale e politica " a conclusione del suo lavoro. Nella visione di Friedmann dei primi anni novanta ( più programma socio-politico che progetto economico e territoriale) non appare così chiara la proposta di una trama di sviluppo locale da contrapporre al villaggio globale ; si evince tuttavia nettamente l’idea di una rete transnazionale di " attori della trasformazione " in grado di volgere in proposta di scenario le critiche al modello di assetto. Lo studio di Friedmann appare importante anche per aver colto possibili riconfigurazioni tardo moderne delle teoretiche marxista e strutturalista, la capacità di interazione con altri pensieri e culture, nonché la loro influenza in attuali proposte ed esperienze di pianificazione dello sviluppo, in grado di disegnare una fase matura delle teorie critiche rispetto all’economia globalizzante, nonché delle proposte alternative, non solo resistenti , ma affermative .
 
7. Tra gli studiosi che in maniera evidente hanno fornito ulteriori esiti all’elaborazione di Friedmann , ed in generale all’interazione tra pensiero strutturalista, ecologismo e teoria critica , può annoverarsi il gruppo dei " territorialisti" , coordinato da Alberto Magnaghi, direttore di reti di ricerca e del Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti della Scuola di Urbanistica di Firenze. Proveniente da originarie esperienze operariste degli anni settanta, Magnaghi ha nel tempo arricchito la propria esperienza di urbanista fino a disegnare un approccio che coniuga critica all’assetto con progetto alternativo. La visione di Magnaghi è perfettamente coerente al " mondo come rete di luoghi " , citata all’inizio e ricerca una progettazione dello sviluppo locale conseguente. Le aporie del modello di assetto, prima industrialista , oggi iper finanziarizzato ed i continui problemi delle concentrazioni economiche e delle megalopolizzazioni territoriali di oggi sono lette da Magnaghi secondo la triade " territorializzazione – deterritorializzazione - riterritorializzazione" .
La " territorializzazione " consiste nella capacità di ogni società umana di tutelare e valorizzare il patrimonio, antropico e naturale, già depositato sul territorio nel passato aggiungendovi l’impronta " ecologica e di qualità " corrente. Secondo Magnaghi, la civiltà occidentale ha già superato da tempo il climax delle proprie " capacità territorializzanti " e da allora in poi ha preso a produrre " deterritorializzazione " , in termini di degrado ambientale e sociale, distruzione delle culture e delle economie locali , tendenziale cancellazione delle specificità e delle ricchezze dei luoghi, in favore di assetti e scenari a crescente concentrazione, riduzionismo, degrado, squilibri. Nel suo volume "Il progetto locale " ( Bollati Boringhieri, 2000) Magnaghi dapprima enuncia il suo piano, riassumibile nello slogan :" bloccare la deterritorializzazione per favorire processi di riterritorializzazione " . Lo studioso illustra poi i dati più recenti delle distorsioni prodotte dalla civiltà globalizzante e metropolitana dal punto di vista del territorio, dell’ambiente, delle culture locali, delle " aree in via di sviluppo " ( termine beffardo e da abbandonare !!) .
Lo studioso milanese-fiorentino assume invece la rappresentazione del mondo come rete di luoghi con cui intende favorire una nuova cura dell’ambiente, nuove identità locali, uno sviluppo nuovamente " sostenibile " . La categoria fondativa dell’approccio è appunto il luogo : non una monade , ma un'identità " chiara ed aperta " con le proprie ecologie, i valori verticali endogeni , da affermare, pur relazionandosi orizzontalmente, tramite dinamiche socio-economiche, con l’esterno. Il " contesto " di Magnaghi offre una prospettiva di interpretazione della realtà, ed insieme costituisce un ambito da sviluppare.
Il progetto territorialista è uno scenario di sviluppo autosostenibile e, quindi, di riqualificazione territoriale e di rigenerazione sociale da disegnare attraverso l’interazione degli abitanti con il patrimonio territoriale depositato. Il planner è nello stesso tempo " esperto ed abitante " , pencola tra le due condizioni e fornisce strutturazione tecnica alla costruzione di un piano eco-sociale costruito dal basso, su cui coinvolgere o con il quale travolgere i diversi livelli istituzionali e sul quale indirizzare eventuali risorse provenienti dall’esterno.
 
8. Lo " sviluppo locale autosostenibile " dei territorialisti offre alla fine una visione politica di sintesi , costituita da una rete , sempre più fitta, di " luoghi in via di riterritorializzazione " . Appaiono evidenti nell’approccio i caratteri dominanti, etici e pragmatici, esito dell’interrelazione di diversi approcci , affermatisi anche in tempi diversi, alla lettura ed all’intervento nella realtà. Lo slancio utopico che ancora vi si può scorgere è tentativamente governato, indirizzato, verso la pratica sociale dallo sviluppo delle teorie dell’autorganizzazione nella complessità di cui il piano territorialista costituisce il portato. La tendenza ad interpretare le relazioni strutturali è mirata dalle evidenti tracce di approccio ecologista sulla ricostruzione dei sistemi territoriali. La "riterritorializzazione" è quindi anche una forma di cambiamento politico, talora fortemente radicale: anche in questo si riconosce l’esito attualizzato, quasi ovvio, delle svolte e delle metamorfosi dello strutturalismo più eretizzante rispetto alle applicazioni ortodosse delle teorie marxiste. Ciò che offre forse anche innovative sponde locali alle evoluzioni dell’internazionalismo.



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