1. Una delle osservazioni più stupide ascoltate durante i
fatti di Genova si deve al vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini,
secondo cui il popolo di sinistra non può essere "antiglobal" in
quanto una delle radici principali del comunismo è l’internazionalismo,
appunto mondialista. A parte la banalità dell’approccio, va ricordato che l’internazionalismo
comunista proponeva una governo mondiale dal basso, un modello opposto a quello
presentato dall’attuale globalizzazione dell’economia che, anche per una
crescente subalternità della politica alle diverse forme di mercato, tende a
favorire "l’egemonia" delle classi ricche, ma in genere del
capitalismo monopolistico, oggi dinamicizzato e spesso virtualizzato, dalla
crescente finanziarizzazione dell’economia. Ma non è tanto questo ad
interessarci, quanto l’ignoranza da parte del Vicepresidente del Consiglio, e
di molti latori di osservazioni analoghe, del fatto che all’attuale assetto
globalizzato viene opposta un’idea, non di "localismo assoluto" (forse cara all'altra star del governo, Bossi), ma un’idea di localismo
solidale e transnazionale, che può rappresentarsi in glocalismo, o in figure
similari, ma costituisce nient’altro che una delle evoluzioni dell’internazionalismo
strutturalista di matrice marxista.
2. L’approccio in questione presenta certamente profili
assai critici nei confronti delle vulgate politiche oggi dominanti, con
interessanti risvolti culturali e "metascientifici", certamente più
ampi e complessi della mera contrapposizione al globale di un locale visto quale
" comunità monadistica " .Alla visione del villaggio globale come
sfera economicistica – ed anche quale superamento di Gaia , scenario
ambientalista , ma non scevro da riduzionismi nei confronti dei "diversi
particolari " - sul finire degli anni ottanta alcuni geografi
territorialisti hanno contrapposto quello della "rete", del mondo come
"rete dei luoghi", come "città di villaggi" , connotato
dalle relazioni "orizzontali" (di tipo socio-economico ) tra contesti
diversi, in cui tuttavia vengono rispettati i valori verticali, le peculiarità
locali .
3. Uno sguardo "non superficiale" permette di
cogliere che tale approccio – riferimento non unico, non totalizzante, ma
certo sostantivo,per il crescente movimento antiglobal – è segnato da almeno
un paio di caratteri non frequentissimi nella pur vasta soggettività critica
militante o semplicemente intellettuale: denota uno schema interpretativo che
segna i diversi livelli di conoscenza ed azione – dall’epistemologico all’oggettuale
– e presenta una forte propensione
all’interazione tra indagine sociale ed intervento
politico. La "rete di luoghi" dotati ciascuno di propri caratteri
ecologici, culturali, storici, sociali, e legati da relazioni di tipo
socio-economico, è scenario ormai familiare tra ecologisti ed urbanisti e
denota l’intenzione di superare le aporie dell’attuale modello d'assetto
socio-politico con una visione " dal basso ", capace di tutelare i
valori da esso negletti. Anche seguendo criteri dettati da una categoria che
oggi spesso appare in dissolvenza – l’etica – ma proiettati sulle esigenze
pratiche dominate dalla necessità d'incidenza nei diversi contesti di
riferimento.
4. Tale rappresentazione del mondo e dei suoi accadimenti è
emersa allorché l’analisi socio-territoriale ha registrato una certa svolta
interpretativa, dovuta anche agli esiti dell’incontro tra la " teoria
critica ", applicata al modello d'assetto socio-economico, con il "
pensiero della complessità " e con le sue implicazioni in termini sia d'ecologismo
sia d'auto-organizzazione. Il pensiero tardostrutturalista è stato in qualche
modo investito da tali evoluzioni, dotando taluni caratteri relazionali e
sistemici già presenti nell’indagine, di maggiore spessore ermeneutico,
rispetto ai fenomeni in campo.
Edward Soja presso l’università della California (Postmoderm
Geographies, Verso, 1989) e Giuseppe Dematteis in Italia (Le metafore
della Terra, Angeli, 1985) sono tra i geografi cui più si deve per tali
elaborazioni, di là dagli studi inerenti direttamente gli aspetti
teoretico-epistemologici. Pier Carlo Palermo ha poi argomentato le ricadute di
tali concezioni nel campo degli urbanisti (Interpretazioni dell’analisi
urbanistica, Angeli, 1992) specie ricostruendo l’evoluzione dal filone di
pianificazione, presente anche in Italia, a Venezia, presso il Dipartimento di
Analisi Economica e Sociale del Territorio dell’Istituto di Architettura, a
lungo diretto da Francesco Indovina. Ma si deve a John Friedmann, pianificatore
urbano alla UCLA, la ricostruzione del filo rosso – talora una robusta corda,
talora un esilissimo lacciuolo – che può segnare la traiettoria, pure marcata
da tante " catastrofi ", che va dalla Seconda Internazionale fino all’odierno
Progetto Locale Autosostenibile, passando anche per contributi non sospettabili
di eccessive inclinazioni pianificatorie, quale quello di Antonio Gramsci.
5. Nel suo volume Pianificazione e dominio pubblico,
Dedalo 1993 (Princeton UP, 1987), Friedmann individua quattro grandi concezioni
informatrici delle politiche territoriali e delle pratiche di pianificazione
dello sviluppo, distinguendole per tradizioni intellettuali di provenienza,
approcci epistemologici, costruzione delle relazioni tra conoscenza scientifica
ed azioni sociali, ruolo dei diversi di attori. Lo studioso californiano, a
partire da tali categorie, illustra ed interpreta i caratteri dei diversi filoni
di policy and planning: l’analisi politica (in cui confluiscono l’analisi
dei sistemi, le teorie dell’economia neoclasssica, gli studi su Welfare e
Scienza Politica, quelli sulla pubblica amministrazione); l’apprendimento
sociale (che a partire dagli studi sulla gestione
Scientifica dei processi produttivi ed amministrativi si è
evoluta in sviluppo delle organizzazioni ); il riformismo sociale ( in cui l’autore
riconosce il portato della sociologia economica, della scuola storiografica
tedesca, degli studi nell’economia istituzionale e del benessere, nonché del
filone di studi umanistici del pragmatismo soprattutto americano ) ; infine la
mobilitazione sociale ( esito dell’evoluzioni interattive tra materialismo
storico, neomarxismo, strutturalismo, teoria critica, utopisti e pianificatori
ecoantropologici ).
Le prime tre concezioni sono improntate al trattamento delle
riforme della gestione pubblica , con una maggiore attenzione alla politica ed
alla costruzione sociale del mercato : approccio rispettivamente top down (
analisi politica ) e bottom up ( apprendimento sociale ), con una maggiore
propensione progressiva, tuttavia ancora top down, la terza (riformismo).
Il quarto filone , della mobilitazione sociale, opera invece
dal basso e, muovendo da diverse prospettive di espressione del disagio verso i
modelli di assetto politico storicamente dati nelle diverse fasi " moderne
", pretende di prospettare orizzonti di trasformazione sociale netta e
spesso radicale.
6. Nelle evoluzioni del marxismo, nello strutturalismo e l’incontro
della teoria critica e ,quindi , con l’utopia ed ancora con la pianificazione
ecologica e le varie sfaccettature del pensiero complesso, Friedmann osserva il
dispiegarsi, con consolidamenti e metamorfosi, di molti motivi e temi che
abbiamo incontrato nei punti precedenti e che oggi marcano diverse forme di
antiglobalizzazione .
L’incrocio tra le concezioni culturaliste ed ecologiste
permette di disegnare una mappa di relazioni che legano i grandi problemi dell’oggi
alle aporie del sistema politico.
Le relazioni tra concezione dell’indagine ed azione sociale
sono corroborate da operazioni di decostruzione e ricontestualizzazione di
categorie consolidate presso alcuni autori della tradizione marxista . Lo
studioso americano coglie, per esempio, gli scostamenti di Antonio Gramsci dai
dettami della tradizione dalle pure diverse forme di istitituzionalizzazione
della pratica comunista e le potenzialità insite in una tensione etica tendente
a coniugare disciplina politica e pratica sociale. Nell’uso fortemente
proiettato sull’indagine della realtà di riferimento, l’Italia fascista ,
di talune categorie gramsciane , quali " controegemonia " o la "
dominante contadina " , Friedmann coglie i prodromi della capacità, di
contestualizzare non solo i processi ma anche metodi ed approcci, ancora oggi
assai fertile per un localismo intelligentemente critico e relazionale.
Ancora nella tradizione marxista, in qualche modo
territorializzata sta la trasposizione della rete delle comunità di sviluppo
rurale della Cina maoista nella idea di rete di sviluppo " dal basso "
, che lo studioso americano propone come scenario di riferimento " per la
resistenza e la trasformazione sociale e politica " a conclusione del suo
lavoro. Nella visione di Friedmann dei primi anni novanta ( più programma
socio-politico che progetto economico e territoriale) non appare così chiara la
proposta di una trama di sviluppo locale da contrapporre al villaggio globale ;
si evince tuttavia nettamente l’idea di una rete transnazionale di "
attori della trasformazione " in grado di volgere in proposta di scenario
le critiche al modello di assetto. Lo studio di Friedmann appare importante
anche per aver colto possibili riconfigurazioni tardo moderne delle teoretiche
marxista e strutturalista, la capacità di interazione con altri pensieri e
culture, nonché la loro influenza in attuali proposte ed esperienze di
pianificazione dello sviluppo, in grado di disegnare una fase matura delle
teorie critiche rispetto all’economia globalizzante, nonché delle proposte
alternative, non solo resistenti , ma affermative .
7. Tra gli studiosi che in maniera evidente hanno fornito
ulteriori esiti all’elaborazione di Friedmann , ed in generale all’interazione
tra pensiero strutturalista, ecologismo e teoria critica , può annoverarsi il
gruppo dei " territorialisti" , coordinato da Alberto Magnaghi,
direttore di reti di ricerca e del Laboratorio di Progettazione Ecologica degli
Insediamenti della Scuola di Urbanistica di Firenze. Proveniente da originarie
esperienze operariste degli anni settanta, Magnaghi ha nel tempo arricchito la
propria esperienza di urbanista fino a disegnare un approccio che coniuga
critica all’assetto con progetto alternativo. La visione di Magnaghi è
perfettamente coerente al " mondo come rete di luoghi " , citata all’inizio
e ricerca una progettazione dello sviluppo locale conseguente. Le aporie del
modello di assetto, prima industrialista , oggi iper finanziarizzato ed i
continui problemi delle concentrazioni economiche e delle megalopolizzazioni
territoriali di oggi sono lette da Magnaghi secondo la triade "
territorializzazione – deterritorializzazione - riterritorializzazione" .
La " territorializzazione " consiste nella
capacità di ogni società umana di tutelare e valorizzare il patrimonio,
antropico e naturale, già depositato sul territorio nel passato aggiungendovi l’impronta
" ecologica e di qualità " corrente. Secondo Magnaghi, la civiltà
occidentale ha già superato da tempo il climax delle proprie " capacità
territorializzanti " e da allora in poi ha preso a produrre "
deterritorializzazione " , in termini di degrado ambientale e sociale,
distruzione delle culture e delle economie locali , tendenziale cancellazione
delle specificità e delle ricchezze dei luoghi, in favore di assetti e scenari
a crescente concentrazione, riduzionismo, degrado, squilibri. Nel suo volume "Il
progetto locale " ( Bollati Boringhieri, 2000) Magnaghi dapprima
enuncia il suo piano, riassumibile nello slogan :" bloccare la
deterritorializzazione per favorire processi di riterritorializzazione " .
Lo studioso illustra poi i dati più recenti delle distorsioni prodotte dalla
civiltà globalizzante e metropolitana dal punto di vista del territorio, dell’ambiente,
delle culture locali, delle " aree in via di sviluppo " ( termine
beffardo e da abbandonare !!) .
Lo studioso milanese-fiorentino assume invece la
rappresentazione del mondo come rete di luoghi con cui intende favorire una
nuova cura dell’ambiente, nuove identità locali, uno sviluppo nuovamente
" sostenibile " . La categoria fondativa dell’approccio è appunto
il luogo : non una monade , ma un'identità " chiara ed aperta " con
le proprie ecologie, i valori verticali endogeni , da affermare, pur
relazionandosi orizzontalmente, tramite dinamiche socio-economiche, con l’esterno.
Il " contesto " di Magnaghi offre una prospettiva di interpretazione
della realtà, ed insieme costituisce un ambito da sviluppare.
Il progetto territorialista è uno scenario di sviluppo
autosostenibile e, quindi, di riqualificazione territoriale e di rigenerazione
sociale da disegnare attraverso l’interazione degli abitanti con il patrimonio
territoriale depositato. Il planner è nello stesso tempo " esperto ed
abitante " , pencola tra le due condizioni e fornisce strutturazione
tecnica alla costruzione di un piano eco-sociale costruito dal basso, su cui
coinvolgere o con il quale travolgere i diversi livelli istituzionali e sul
quale indirizzare eventuali risorse provenienti dall’esterno.
8. Lo " sviluppo locale autosostenibile " dei
territorialisti offre alla fine una visione politica di sintesi , costituita da
una rete , sempre più fitta, di " luoghi in via di riterritorializzazione
" . Appaiono evidenti nell’approccio i caratteri dominanti, etici e
pragmatici, esito dell’interrelazione di diversi approcci , affermatisi anche
in tempi diversi, alla lettura ed all’intervento nella realtà. Lo slancio
utopico che ancora vi si può scorgere è tentativamente governato, indirizzato,
verso la pratica sociale dallo sviluppo delle teorie dell’autorganizzazione
nella complessità di cui il piano territorialista costituisce il portato. La
tendenza ad interpretare le relazioni strutturali è mirata dalle evidenti
tracce di approccio ecologista sulla ricostruzione dei sistemi territoriali. La
"riterritorializzazione" è quindi anche una forma di cambiamento
politico, talora fortemente radicale: anche in questo si riconosce l’esito
attualizzato, quasi ovvio, delle svolte e delle metamorfosi dello strutturalismo
più eretizzante rispetto alle applicazioni ortodosse delle teorie marxiste.
Ciò che offre forse anche innovative sponde locali alle evoluzioni dell’internazionalismo.