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L'estremo saluto a Giacomo Mancini

di Emanuele Macaluso


Sono qui per dare l'estremo saluto a Giacomo Mancini, non solo come suo compagno e amico carissimo da più di cinquant'anni, ma per esprimere sentimenti di stima, di affetto di cordoglio che penso siano comuni a tutta la sinistra italiana, a coloro che in questo paese, da sponde diverse, hanno operato per animare e rendere salde le istituzioni democratiche. I nostri pensieri, le nostre condoglianze sono rivolti anzitutto a Vittoria, moglie adorata, ai figli, alle sorelle, ai nipoti, tutti amati come lui sapeva amare. I nostri pensieri e le nostre condoglianze sono rivolti a voi cittadini di Cosenza e della Calabria che avete perduto una guida, un riferimento forte e certo, robusto e straordinariamente umano: sempre presente, nelle buone e nelle cattive occasioni, in momenti esaltanti o mortificanti, sempre sulla trincea dei diritti, sino all'ultimo respiro, nella casa comunale o nella sua, dove abitava e dove il popolo, in queste ore, lo ha salutato e onorato.
Giacomo ha concluso la sua straordinaria esistenza trascorsa non solo in questa città ma su tutte le trincee in cui, nell'ultimo sessantennio, si è combattuta la battaglia per la democrazia, per il riscatto sociale, per la rinascita del mezzogiorno, per la libertà e i diritti civili. Come dicevo l'ultima trincea è stato il Comune della sua città, non come segno di una ritirata, ma di una resistenza, in età ormai avanzata, in un luogo, caro e significativo, e con la mente sempre vigile rivolta verso tutto ciò che, nel paese e nel mondo, si muoveva. E soprattutto verso tutto ciò che riguardava la travagliata vicenda della sinistra italiana, di cui è stato in anni difficili, una delle figure più eminenti e più significative. Più significative perché fu socialista per tradizione, per cultura, per sentimenti forti e motivati, per un alto e continuo senso della giustizia; perché fu orgogliosamente socialista, senza complessi minoritari con un forte accento autonomista e una vocazione unitaria, senza iattanza e senza rassegnazione. Senza complessi né verso la Dc quando il Psi fu suo alleato, né verso il Pci quando questo si contrappose al centro-sinistra. E forse per questo suo essere autonomo, più che autonomista come mestiere politico, i suoi rapporti col Pci furono schietti, a volte conflittuali, soprattutto qui in Calabria in certi momenti, ma non venne meno, almeno con una parte del Pci, la ricerca di un terreno comune. Mancini, quindi, ha una collocazione particolare nella galleria del socialismo italiano: non solo per la grinta politica mostrata in più occasioni, ma per una interpretazione della lotta socialista come lotta per la libertà, contro una concezione dello Stato che ondeggia tra emergenza e tolleranza, per la difesa dei diritti delle minoranze.
Il suo impegno nel governo ha lasciato dei segni perché il riformismo lo tradusse in forti iniziative politico-amministrative e in leggi: al ministero della sanità contro la potente corporazione dell'industria farmaceutica, al ministero dei lavori pubblici contro i saccheggiatori dei suoli urbani, nell'azione politica generale contro le lobbies dell'industria di Stato e le banche e quei centri di potere che negavano uno sviluppo del Mezzogiorno e alimentavano la rete dei poteri mafiosi. Non c'è dubbio che nel corso della sua lunga attività, colpì interessi forti e fece anche errori, come tutti noi. Ma le reazioni violente, le insinuazioni, le campagne scandalistiche non furono causate dagli errori, ma dal fatto, certo e incontrovertibile, di avere toccato interessi potenti e centri di potere fuori dallo Stato e nello Stato, visibili e occulti. E, purtroppo, non sempre la sinistra seppe capire il senso di questo impegno. E a ricordarci che certi potentati non dimenticano e non si fermano nemmeno di fronte alla morte, che di solito sollecita silenzio o riflessione, c'è oggi un'ignobile disegno (non una vignetta) sul giornale di uno di quei potentati, "La Repubblica". La considero una medaglia alla memoria di Giacomo. Ma questo livore spiega e non giustifica tutta una campagna che ha avuto un epilogo nella incredibile incriminazione di Mancini, per "concorso in associazione mafiosa". Io non sto qui a recriminare sugli atti giudiziari su cui fu motivata quella incriminazione e che ha avuto l'esito che doveva avere. Anche se quell'iniziativa procurò amarezze indicibili a Giacomo e alla sua famiglia. Voglio anche sottolineare, in questa occasione, come Mancini si sottopose, con rispetto verso le istituzioni, al processo, invocando il processo. Un processo terribile con una imputazione infamante nei confronti di una persona che si era impegnata con determinazione nella lotta alla mafia.
Questo episodio lo ricordo come un segno dei tempi recenti che abbiamo attraversato, in un momento difficile per la democrazia italiana. Un tribunale dava credito a mafiosi incalliti, e pentiti per interesse, anziché alle testimonianze circostanziate di persone come Cossiga, Ruffolo, Rosario Villari, Michele Pantaleone, Alinovi e io stesso. Un segno dei tempi, ho detto in cui la democrazia è entrata in sofferenza anche per responsabilità nostra, dei partiti che hanno consentito degenerazioni e devianze, e non hanno saputo dare risposte giuste, forti, adeguate ai problemi politici e istituzionali che si posero prima, e soprattutto dopo, l'89 e la crisi del cosiddetto socialismo reale.
Giacomo ebbe coscienza di questo ritardo e dei nostri errori. E ne soffrì, come tutti coloro che in anni ormai lontani contribuirono a costruire la democrazia italiana. Con Giacomo infatti scompare un esponente di quella generazione che visse la tragedia del fascismo, della guerra e si impegnò nella resistenza e successivamente nella ricostruzione.
Il fascismo lasciò il Mezzogiorno così com'era, con rapporti economico sociali semifeudali, senza strutture civili e con tanti giovani senza avvenire. Un altro grande cosentino che, con Pietro Mancini, fu ministro nei primi governi di unità nazionale, Fausto Gallo, con i suoi decreti per migliorare la ripartizione dei prodotti agricoli in favore di mezzadri e dei coloni, e con quelli per assegnare alle cooperative dei contadini, le terre incolte e mal coltivate, diede un segnale grande. Il Mezzogiorno doveva cancellare il feudo, doveva modernizzare la sua economia. E questo fu il nostro primo impegno, un comune impegno, con Giacomo. E una spallata fu data. Mancini successivamente come ministro si impegnò per dotare la Calabria e il sud di infrastrutture e industrie.
E' vero, furono commessi anche errori, ma è stato il sistema nel suo complesso a contrastare un impegno per il Sud che la sinistra, al governo o e all'opposizione, dispiegò con generosità.
Con Mancini scompare un costruttore della democrazia, dei partiti, dei sindacati, nel Sud, dove sembrava che fosse impossibile una presenza organizzata del mondo del lavoro. E questo mondo, grazie a questa sinistra, si riconobbe nella democrazia e nello Stato. E oggi non solo qui, nella sua Cosenza, gli uomini che vogliono garantire questa democrazia e lo Stato, ti ringraziano per tutto ciò che hai dato i questi sessant'anni.
Perdiamo un amico e un combattente, un amico leale, generoso anche nei momenti in cui era spigoloso. Ancora una volta il mio cordoglio e quello di tutti è per Vittoria, i figli, le sorelle, per tutti coloro che gli furono vicini.
Ciao Giacomo, ti vorremo sempre bene.



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