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Comunità ed Immunità

di Rita Benigno


Il pensiero della comunità è costantemente al centro del dibattito filosofico-politico internazionale. E tuttavia, scrive Roberto Esposito in "Communitas" (Einaudi, Torino 1998), "niente è meno in vista. Niente così remoto, rimosso, rimandato a un tempo di là da venire, a un orizzonte lontano e indecifrabile...". L'idea di comunità, in Occidente, ci è, infatti, giunta da una lunga tradizione: dal fuoco come centro della "polis" greca, in cui si trovavano lo spazio umano e quello divino, al "Pantheon" romano, fino al Cristianesimo, essa ha finito con l'identificarsi col teologico-politico in un significato semantico associato al concetto di "appartenenza". Comunità, dunque, come ciò che appartiene a un collettivo, come "koinonia" nel senso di "communio" od "ekklesia". Eppure, scrive ancora Roberto Esposito, c'è una complessità semantica del termine "koinonia" che non consente di ricondurlo interamente alla "communitas" (e neanche alla "communio"), ma che non coincide neppure con "l'ekklesia". Il "luogo comune" della "koinonia", infatti, è costituito dalla partecipazione eucaristica al "Corpus Christi", da quel dono - "munus" - che Dio offre attraverso il sacrificio del Cristo. E' solo questo primo dono divino che mette gli uomini in comune fra loro; un dono che richiama la concezione del sacrificio, reintroducendo la figura della morte. Il teologico-politico è qui scardinato attraverso l'idea della Trinità e, quindi, del Cristo. E' a questo dono come sacrificio che rimanda il significato di "communitas", nel quale si ritrova la complessità semantica del termine da cui proviene, "munus", ancorato ad un'area concettuale riconducibile all'idea di dovere: "munus" è un dono "distinto dal suo carattere obbligatorio, implicito nella radice *mei - che denota scambio". Dunque, ciò che i membri di una comunità hanno in comune non è una proprietà, ma un dovere, un debito nei confronti degli altri; "un limite che si configura come un onere, o addirittura una modalità difettiva, per colui che ne è "affetto", a differenza di colui che ne è, invece, "esente" o "esentato"". E' qui che prende corpo quella categoria di contrasto, "l'immunitas", che ristabilisce quella relazione tra comunità e morte assunta come problematica fondamentale dell'intero paradigma moderno.

Il tema della comunità è stato, a tal proposito, riproposto da Esposito nel suo nuovo libro, "Immunitas" (Einaudi, 2002). Cogliere, allora, questo indissolubile intreccio, questo abbraccio rovente fra la vita e la morte, è stato il tema dell'incontro-dibattito organizzato il 6 giugno scorso da "La Città Futura" all'Università della Calabria, a partire proprio dalla presentazione del testo. I lavori sono stati aperti da Mario Alcaro, per il quale il vero pericolo della comunità è proprio quello della chiusura; essa può agire così come agisce il nostro sistema immunitario: aggredendo "l'altro da sé". La democrazia, dunque, è costantemente esposta al rischio della dittatura del fondamentalismo: ciò è tanto più vero, oggi, dopo l'immane tragedia dell'11 settembre, che ha segnato un abisso incolmabile, una distanza violenta fra le comunità occidentali e quelle islamiche. Esiste, oggi, il rischio nuovo di un "fondamentalismo della paura", che può portare alla criminalizzazione "dell'altro" in maniera indiscriminata e totalitaria; all'individuazione del nemico in popoli interi, civiltà differenti, religioni avverse. Occorre quindi un nuovo pensiero della comunità, in cui l'immunizzazione sia praticata in altre forme: introducendo l'altro in piccole dosi, per abituarsi e funzionalizzarlo.

L'appassionata e coinvolgente presentazione di Roberto Esposito è riuscita a calare l'uditorio in un testo dal quale, per ammissione dello stesso autore, si fa fatica a distaccarsi. Si resta dentro il problema e si cercano nuove domande. L'oggetto e l'intenzione del libro è di cogliere "lo spirito del tempo"; il paradigma in cui un certo tempo si struttura. Una domanda s'impone imperiosa: quali sono, oggi, le speranze e anche le paure che caratterizzano la nostra epoca? La parola chiave è proprio "immunità": forma di esenzione o di protezione nei confronti di una malattia. In campo giuridico, intoccabilità. Allude, dunque, ad una situazione particolare, atta a mettere qualcuno in salvo. Ciò che si definisce è innanzi tutto un'opposizione dialettica fra i due concetti: immunità risulta il rovescio della comunità. Al "munus" come dono, la comunità rimanda in modo positivo; l'immunità in modo privativo, negativo, come esenzione dall'obbligo di donazione comune. "Immunitas", allora, per Esposito, rinvia a due tesi di fondo.

La prima tesi riguarda innanzi tutto l'estensione di questo dispositivo immunitario a tutti i settori della contemporaneità, diventando perno su cui si costruisce tutta la nostra esperienza (sul piano sia reale, sia immaginario): impedire, prevenire, combattere il contagio con ogni mezzo; tutte le società e tutti gli individui se ne sono preoccupati. Ciò che cambia è la soglia di sensibilità, che è connessa alle dinamiche di globalizzazione: un rigetto immunitario come reazione a questa contaminazione generale. In ogni caso, la disciplina dell'immunità è diventata il fronte su cui si combatte tutta la battaglia della protezione della vita: i virus sono diventati la grande metafora di tutte le nostre paure; la diga psicologica è crollata dopo l'esplosione dell'AIDS, facendo diventare l'esigenza difensiva la nostra preoccupazione primaria. Ma i virus rimandano anche alla necessità di protezione delle tecnologie informatiche, perché essi attaccano i grandi computer che reggono il mondo. Ed ancora, persino nella battaglia sull'immunità di alcuni personaggi politici, nei confronti della giustizia comune, si finisce per ritrovare la stessa questione.

La seconda tesi enunciata da Roberto Esposito è un vero e proprio grido d'allarme; un monito severo ed una denuncia bruciante dei rischi che una eccessiva autodifesa inevitabilmente comporta: "ciò che salvaguarda il corpo individuale e politico è anche ciò che ne impedisce lo sviluppo". L'immunità, necessaria a proteggere la nostra vita, se portata all'estremo provoca essa stessa i pericoli da cui vuole difendere. In questo senso, "protezione è negazione della vita" perché l'esistenza ha bisogno dell'esposizione all'altro. Proprio come nel caso delle malattie auto-immuni, la spinta difensiva rischia di uscire fuori controllo. La cura, dunque, si dà oggi nella forma di un veleno che può diventare micidiale: si alza sempre di più l'attenzione al rischio, ma ciò significa produrre un blocco non solo della libertà, ma della stessa vita sociale. La guerra attuale è legata a doppio filo al punto di precipitazione di questa crisi. L'odierno conflitto è scaturito dalle pressioni contrapposte di due ossessioni immunitarie diverse, ma complementari: il fondamentalismo islamico da un lato; e dall'altro, un Occidente chiuso alle esigenze di una parte dell'umanità condannata alla fame. E' esploso, così, il doppio sistema immunitario che finora ha retto il mondo; e ciò è accaduto dentro il triangolo del monoteismo (del suo uso politico). Le civiltà (islamica e cristiana, attraverso la questione ebraica) si sono scontrate non perché troppo diverse, ma in quanto legate alla stessa logica "dell'uno" (l'unico Dio d'Oriente e il Dio denaro): due verità che sono entrate in collisione, una piena e l'altra vuota, e che chiedono ambedue il dominio del mondo. Il monoteismo esprime l'essenza stessa dell'immunizzazione: è questa la deriva dentro cui ci siamo specchiati.

In conclusione, per Roberto Esposito la declinazione monoteistica immunitaria del mondo non regge. E' necessario, allora, ritrovare le ragioni della "communitas", nel senso che il mondo va pensato come "unità di differenze": è questa la forma della globalizzazione. Può sembrare una formula filosofica, come tale non semplice da immettere nel mondo; ma l'Occidente ha dentro di sé questa risorsa, anche se ha sempre dato l'impressione di non volerla adoperare.

E' toccato a Francesco Garritano chiudere i lavori del lungo ed interessante dibattito, il quale ha consigliato di leggere "Immunitas" come modello speculare di "Communitas". Ontologicamente, l'immunità (distinzione dagli altri) precede la comunità. La soglia fra immunità e comunità implica, quindi, una riflessione sulla questione della decisione, che diventa allora il problema fondamentale; ma la decisione, a sua volta, sottintende il riconoscimento del nemico. Siamo, così, dinnanzi ad un insolubile. La cerniera (o il farmaco), in ogni caso, non concerne solo questa riflessione: il corpo, oggi, già nasce come improprietà (clonazione) e l'immunità, quindi, giunge al culmine attraverso l'assenza d'identità. Il tema, il thelos finale è rappresentato dall'automa.
E' quest'automa, o meglio la sua temibile possibilità, che ha congedato gli astanti con un interrogativo rimasto inesorabilmente in sospeso: come fare a riconvertire la declinazione immunitaria, da filtro di riconoscimento del nemico a strumento di accettazione del diverso?



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