Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


I movimenti, la sinistra ed il programma

di Vincenzo Orsomarso


Va affermato con forza che oggi la sinistra non può fare a meno di stabilire un confronto permanente con i movimenti che in questi mesi sono nati e si sono sviluppati sui nodi fondamentali del presente.
Non si tratta solo di forze sociali e culturali di cui l'opposizione ha bisogno per condurre fino in fondo una battaglia contro il tentativo del centrodestra di creare un regime nel nostro paese, ma è necessario considerare queste nuove realtà come una risorsa per il rinnovamento di cui le forze politiche democratiche e di sinistra hanno profondo bisogno, pena la loro dissoluzione.
Il rapporto quindi da stabilire è in primo luogo di ascolto; ma ciò non può bastare, è necessario che i partiti siano pronti al confronto, ad assumere le istanze dei movimenti ai fini dell'innovazione politica, programmatica ma anche organizzativa. Mentre per i movimenti in questa fase è indispensabile creare una fitta rete di comunicazione che consenta loro di contaminarsi, di accrescere il consenso e la partecipazione popolare; la giustizia, la difesa dello stato di diritto, dei diritti sociali, dello stato sociale, la globalizzazione della democrazia, la lotta contro la guerra sono questioni strettamente intrecciate tra di loro.
Oggi è ancora una volta la guerra la più grave delle forme di violazione del diritto e come nel secolo scorso è assunta a strumento per il controllo delle risorse energetiche, dei mercati e dei territori; ma è anche lo strumento per affermare l'egemonia statunitense e fronteggiare possibili futuri concorrenti. Lo sguardo dell'amministrazione americana sembra rivolto soprattutto alla Cina, dove uno sviluppo incurante del degrado ambientale, dei diritti umani e delle condizioni materiali di vita di milioni di lavoratori, sta per fare del gigante asiatico una temibile potenza mondiale (Cfr.W. Bello,Il mondo del crepuscolo americano, intervista a cura di B. Vecchi, in ((il manifesto((, 17 settembre 2002, p.12). Una prospettiva che atterrisce gli Stati Uniti e rappresenta uno dei motivi per il quale l'unica superpotenza mondiale si avvia sulla strada delle globalizzazione blindata e delle guerre cosiddette preventive che, tra l'altro, dovrebbero avere una funzione anticiclica, dovrebbero cioè porre argine ad una crisi economica che è il risultato della stessa globalizzazione liberista. Un'idea sostenuta da ambienti molto vicini alle lobby dell'industria bellica ma che per Immanuel Wallerstein risulta infondata: il costo economico della guerra che si profila in Iraq produrrà ((lo stesso tipo di danno di lungo termine alla posizione mondiale degli USA nell'economia-mondo che fece la guerra del Vietnam(( (I. Wallerstein, Il migliore alleato di Osama bin Laden è a Washington, alla Casa Bianca, in ((Carta((, 19/25 settembre 2002, p23)
E' quindi improbabile che le guerre permanenti possano determinare la ripresa dell'economia nordamericana, ma in questi ultimi tre anni le spese militari negli USA hanno raggiunto circa 400 miliardi di dollari, pari al 40% della spesa militare mondiale, inoltre sono ben 85.000 le imprese che lavorano per il complesso sistema militare statunitense.Un potente apparato industriale e lobbistico capace di condizionare le scelte dell'Amministrazione e del Congresso americano in materia di politica internazionale.
Più in generale le guerre preventive rispondono all'esigenza imperiale di produrre un sistema organizzato di apartheid su scala mondiale che dovrebbe garantire il trasferimento di valore dal Sud verso il Nord, accentuando la già grave divaricazione sociale planetaria che è il risultato della gestione del debito dei paesi poveri e degli aggiustamenti strutturali imposti dal Fmi e dalla Banca mondiale.
La globalizzazione blindata che si profila oltre a ridurre drasticamente gli spazi di libertà è assolutamente indifferente ai diritti dei popoli coinvolti nei conflitti, come dimostrano le vicende dell'Afkanistan, ed è destinata ad accelerare la crescita dell'"economia irregolare e illegale", un fenomeno che negli ultimi anni ha interessato anche i paesi di antica industrializzazione. Secondo uno studio dell'Università di Linz, l'economia "irregolare e illegale" negli ultimi trenta anni (dal '70 al 2000) in Italia passa dal 10,7% al 28,5%, in Germania dal 2,8% al 16%, nel Regno Unito dal 2% al 13,3%, negli USA dal 3,6% al 9,1%, rispetto al PIL degli stessi paesi. Non dissimile è la crescita della economia sommersa nei paesi poveri o in via di sviluppo dove l'economia in nero si aggira mediamente intorno al 39% con punte superiori al 50% in paesi come la Nigeria, Egitto, Filippine, Bolivia o Perù, mentre nei paesi in transizione la quota media dell'economia illegale si aggira intorno al 23% con punte del 41 % in Russia (Cfr. N. Nesi, I Cicconi, Capitalismo e globalizzazione, Koinè, 2002, p.114).
La globalizzazione liberista afferma così la sua più profonda natura, il rifiuto di qualsiasi regola che non sia funzionale al rapido accrescimento dei guadagni. D'altronde la famosa affermazione di un esponente del governo Berlusconi, secondo cui con la "mafia bisogna convivere", rappresenta una pratica di governo dell'economia diffusa in troppi paesi devastati socialmente, culturalmente e moralmente da uno "sviluppo" che rifugge leggi, regole e diritti.
Ha precisato recentemente Samir Amin ((che si sta affermando sia nel mondo degli affari che in quello politico(( un ((modello vicino a quello mafioso((, non si tratta di un fenomeno che riguarda solo i paesi del Terzo Mondo e i paesi ex socialisti ma sta diventando regola nel cuore stesso del capitalismo centrale ( Cfr. S. Amin, Il capitalismo senile, in ((la rivista del manifesto((, settembre 2002, p. 13)
. In questo contesto è del tutto evidente come le organizzazioni che si fondano sull'illegalità trovino un oceano di opportunità e possibilità di operare. Pertanto la difesa dello stato di diritto oggi può essere efficace, soprattutto in un paese come il nostro, solo se posta nell'ambito della questione più generale della lotta per la pace, della globalizzazione dei diritti, della democrazia e della regolamentazione politica dei movimenti di capitale, nonché della tassazione del capitale nelle sue varie forme. A proposito di quest'ultima misura va detto, anche se solo di passaggio, che è la strada che consente di far uscire dal generico l'insieme di proposte (dalla riduzione dell'orario di lavoro, al reddito di cittadinanza, alla difesa e all'allargamento dello stato sociale) che si sono accumulate disordinatamente in questi anni senza mai porsi il problema di rimuovere quelle strettoie che dall'alto ne impediscono la praticabilità.( Cfr. R. Bellofiore, Con e oltre Keynes, in ((la rivista del manifesto((, luglio/agosto 2002, pp. 31-32).
Pace, globalizzazione della democrazia e regolamentazione politica dell'economia, difesa ed estensione dei diritti sociali e del lavoro, stato di diritto sono i punti su cui le forze democratiche e di sinistra sono chiamati ad elaborare un programma che va costruito insieme ai movimenti che oggi sono in campo. Nonostante l'ostilità nascosta di quanti nella sinistra e nel centrosinistra non hanno nessuna intenzione di imboccare questa strada, anzi sperano in quel riflusso che potrebbe consentire a ceti politici ormai privi di un vero ancoraggio sociale di riprendere a veleggiare nel mare dei compromessi per approdare, nel nome dell'interesse nazionale, a nuove forme di consociativismo, ovviamente facendo leva sulle crescenti difficoltà del governo del Cavaliere.
E' una "sinistra liberista", per la quale la democrazia partecipata è una jattura e che rivendica quell'autonomia della politica dai condizionamenti dei movimenti di massa che di fatto ha favorito la subordinazione dei gruppi dirigenti, anche socialdemocratici, agli interessi dei potentati economici globali.
Al contrario i movimenti di questi mesi sono gli eventi su cui far leva per avviare un processo politico partecipativo per andare anche oltre quella versione di sinistra dell'autonomia della politica che consiste nel riproporre un movimento- partito con una testa centralizzata e delle periferie acefale.
Gli obiettivi politici e sociali per i quali si mobilitano ormai un enorme e crescente numero di persone certo non pongono all'ordine del giorno l'abbattimento del sistema di sfruttamento capitalistico, il percorso è tutto da costruire, ma mettono di fatto in discussione l'ideologia della "società di mercato" che, come ha sottolineato Alcaro su questa stessa rivista, si appropria di pezzi rilevanti di "vita" per poi restituirli in forme degradate.
I movimenti di massa non possono e non devono produrre timore e sconcerto tra le forze di sinistra, al contrario vanno considerati come enormi risorse collettive, saperi sociali da mettere in produzione ai fini di una rinnovata progettualità politica. La strada della partecipazione diffusa è l'unica che può consentire la costruzione di un programma profondamente democratico; ma è anche il modo per consentire alla sinistra di insediarsi nuovamente nella società e riformare radicalmente una forma partito ormai arrivata al capolinea.



Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)

L'edizione on-line di Ora Locale e' ideata e progettata da
Walter Belmonte