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Cinema a Sud

di Michele Pingitore


Visionando e perlustrando le ultimissime contaminazioni cinematografiche, i percorsi possibili che si stanno tracciando sembrano portarci inconfutabilmente, direttamente o indirettamente, verso tutti i possibili/impossibili sud del mondo.
Sud come condizione d'essere ed esistere. Sud come appartenenza. Sud come frontiera. Un altrove da attraversare che si rivela ai nostri occhi. Un punto limite da oltrepassare: oltre le frontiere e oltre i margini territoriali. Una zona interdetta o meglio una zolla mentale legata ad un altro modo di sentire ed essere. Sud come territorio circoscritto prima del deserto. Il mediterraneo e le sue utopie. Un sud astratto contenitore di verità e menzogne, dove possono fluttuare flussi di pensieri, idee e parole. Flussi che per lo più vagano sospesi nell'aria verso tutte le direzioni.
Lo spazio della scena cinematografica diventa una scenografia virtuale aperta alle più svariate contaminazioni. Colori, suoni e ambienti diventano uno scenario unico, forse inesistente. Lo spazio e il territorio reale creano precisi cardini per le "messe in scena" di queste false fiction.
Troviamo così sud vicini a noi che ci appartengono quotidianamente o quelli lontani che sconfinano in altre dimensioni. La terra e il cielo frapposti fra loro si aprono verso territori ancora incontaminati: dalle periferie napoletane alle montagne del Kurdistan.
Emerge sicuramente la condizione di un sud che non è più solo quello desolato ed abbandonato di tanto cinema del passato, ma anche aperto o macchiato dalla modernità.
Una geografia senza cartine. Escursioni tra segni e simboli. Paesaggi interiori ed esteriori. Luoghi reali ed immaginari legati da miti, sogni e leggende. Spesso diventano determinanti i colori o le architetture del paesaggio che connotano le atmosfere di questi film.
Le storie possono diventare solo un pretesto per esplorare geograficamente queste terre del silenzio. Scalfendo i muti paesaggi corrosi dal tempo, talvolta possono emergere icone del passato o avveniristici oggetti del futuro.
"Cinema invisibile" giunta alla sua seta edizione, organizzata da "Artefictio", probabilmente l'unica rassegna cinematografica in Calabria degna di questo nome, ha proposto tra Acri e Rende una serie di film dove il sud si racconta e si lascia raccontare dalle immagini.
Abbiamo così una Napoli ricca di contraddizioni e aperta a mille contaminazioni nei diversi film della rassegna, come quella quasi documentaristica di "Domenica" di Wilma Labate, o quella nascosta e surreale sullo sfondo d'infelici vicende amorose in "Chimera" di Pappi Corsicato, o meglio ancora una città che riesce sorprendentemente ad essere contemporaneamente del passato e del futuro in "Luna Rossa" di Antonio Captano. Una luna rossa narrata in modo artificioso e fittizio dove tutto è falso e posticcio, ma dove in trasparenza non è difficile sapere cogliere il suo sottile spessore reale nel revocare in chiave moderna "Orestea" di Eschilo.
"Il tempo dei cavalli ubriachi" di Barman Gonadi, ci mostra un altro sud del globo, luoghi sperduti della memoria ai confini tra Iran ed Irak, in quella terra di mezzo denominata Kurdistan. Il paesaggio innevato è onnipresente sullo sfondo. Qui una storia semplice, ma toccante e avvincente, si lascia raccontare attraverso la composizione delle immagini. I paesaggi si raccontano inquadratura dopo inquadratura.
I ritmi e tempi sono quelli lenti dell'esistere. Un esistere scandito dalla profondità di campo che talvolta sembra schiudersi verso l'infinito.
"Le ali di Katja" di Lars Heselholdt, riprende temi e tempi di un sud da favola, con tipico un tocco leggero e disincantato nella costruzione di un film per ragazzi. Una storia ambientata tra la Danimarca e la Campania come poli opposti di due mondi così lontani, così vicini.



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