Caro Mario,
credo che "Ora Locale" costituisca la sede opportuna per avviare una libera e franca discussione su un tema che mi sta a cuore e su cui vado riflettendo da qualche tempo. Scrivo dunque con l'aperta intenzione di provocare una riflessione il più possibile ampia, che coinvolga diversi interlocutori e vari punti di vista. Mi auguro che la mia posizione di calabrese che vive fuori dalla regione, la professione che esercito e a cui in nessun modo intendo rinunciare e l'onestà di studioso che mi accompagna anche nell'impegno politico, costituiscano sufficiente garanzia del disinteresse personale che ispira questa mia iniziativa.
Io credo che oggi la distanza che separa ciò che resta dei vecchi partiti politici dalla generalità dei cittadini costituisca una grave mortificazione della democrazia nella vita della nostra regione. Per dirla tutta: il residuale ceto politico che opera in Calabria rappresenta ormai un vero e proprio tappo che impedisce alla società civile di esprimere democraticamente le proprie rappresentanze di governo regionale . E' un fenomeno osservabile ormai da molti anni. Ciò che resta dei gloriosi partiti di massa non dà quasi segni di vita per tutto il corso delle varie legislature salvo riemergere come dal nulla alle scadenze elettorali. Ma neppure in questa fase il dialogo con i cittadini riesce a prendere corpo e ispirare in qualche modo la scelta dei candidati. Anzi, nel caso dell'Ulivo - che è la coalizione che mi sta a cuore - può accadere, com'è di fatto avvenuto nell'ultima elezione, che il candidato presidente venga scelto addirittura fuori dalla stessa regione, per motivi di equilibri interni alla coalizione a livello centrale. Un metodo inaccettabile, controproducente e perdente, anche quando il candidato in questione( è stato il caso di Nuccio Fava ) è persona degna di stima e dotata di notorietà nazionale.
Ora so bene di avere appena abbozzato una grande questione che non è solo calabrese, e neppure limitabile, ai nostri confini nazionali. E' evidente, ad esempio, che per come si è andato configurando il sistema politico italiano con le sue regole elettorali maggioritarie occorrerebbe mettere mano a un meccanismo di "primarie" in grado di selezionare con un minimo di partecipazione democratica i candidati alle elezioni politiche nazionali. Se i partiti non svolgono politica attiva nei territori, se le sezioni non costituiscono la sede di assemblee e discussioni, qual è oggi il luogo in cui si scelgono le persone che dovranno rappresentare larga parte degli italiani per una intera legislatura? A maggior ragione ciò vale per le elezioni regionali, chiamate ad eleggere un Presidente dotato di ampi poteri.
Dalla riflessione generale non andrebbe neppure espunta una questione che dovrebbe stare a cuore a tutti i cittadini preoccupati per le sorti della democrazia. Negli ultimi 10-15 anni coloro che erano stati gli attivi militanti dei partiti hanno progressivamente disertato sezioni e federazioni: talora per andare ad ingrossare le schiere del volontariato o per dar vita ad autonome organizzazioni culturali. Nel frattempo la gran parte degli italiani si è come ritirata dalla vita pubblica e dalla partecipazione politica attiva, trasformandosi in massa di spettatori passivi di un dibattito tra leaders ridotto alla dimensione di mero spettacolo telivisivo. La televisione ha indotto un mutamento per così dire antropologico della vita politica di cui stentiamo ad afferrare tutti risvolti e le conseguenze e a cui finalmente si è cominciato a reagire.
Come tutti sappiamo si tratta di complessi problemi per risolvere i quali nessuno dispone di ricette facili e a portata di mano. Occorre, quindi, con la dovuta umiltà, sforzarsi di offrire alla riflessione collettiva almeno degli spunti su cui tentare di costruire un progetto, o quanto meno un percorso a cui chiamare le forze migliori e più attive della regione.
Ora, io credo che la scala regionale possa costituire la dimensione giusta nella quale sperimentare una inversione di tendenza. E a proposito della Calabria vorrei svolgere due considerazioni di carattere storico e al tempo stesso avanzare una proposta. In che cosa consistono la considerazioni? Sono sempre più persuaso che oggi, nella nostra regione, stiamo assistendo ad una inversione di portata storica: le classi dirigenti regionali sono diventate la parte più vitale e avanzata della Calabria, mentre il ceto politico non riesce a riflettere questa nuova complessità e ricchezza e anzi occupa, come elemento sempre più frenante, gli spazi della rappresentanza istituzionale. In passato era sempre accaduto il contrario: era stato il ceto politico (parlamentari, amministratori locali,funzionari di partito, dirigenti sindacali ) l'avanguardia, il centro sollecitatore del sviluppo e della progettazione sociale.Mentre i gruppi dirigenti erano spesso solo gruppi dominanti, interessati alla conservazione dello status quo e della posizione personale e familiare di potere detenuta al suo interno.
Ma che cosa intendo, oggi, per classi dirigenti ? Sotto questa definizione io raggrupperei una notevole varietà di figure: imprenditori,intellettuali, professionisti che operano nelle più diverse istituzioni ( ospedali, Università, banche, scuole),sindaci, amministratori comunali, ecc. Per la verità il ceto politico è stato storicamente indisgiungibile dal resto delle classi dirigenti: ma il fatto è che esso oggi è diventato sempre di più un gruppo separato, interno a un processo di autoriproduzione quasi "in vitro" di se stesso e delle sue prerogative. E' anzi proprio tale consumata separazione che consente oggi, anche in una regione come la Calabria, di distinguere così nettamente tra ceto politico e classi dirigenti.
Svolgo tali considerazioni con la massima serenità sociologica. Considero il lavoro del politico fra i più importanti della società contemporanea: un tipo di attività che impone studio e informazione continua, conoscenza dei problemi e aggiornamento quasi quotidiano dell' agenda politica e un impegno di lavoro che coinvolge tutta la vita di un individuo. Ma la separazione del ceto politico dal pungolo e dal controllo dei cittadini lo rende progressivamente lontano e insensibile agli interessi collettivi, sempre meno dotato di senso nel proprio operare, sempre più impegnato a perpetuare con tutti i mezzi possibili il proprio ruolo e i propri relativi vantaggi sociali. Diventa, davvero, un mondo a sé.
La seconda considerazione riguarda la realtà economica e sociale della Calabria. Com'è a tutti noto questa regione - a differenza anche di altre realtà meridionali - non ha conosciuto nessuna forma significativa di trasformazione industriale, nessun grande insediamento manifatturiero. Mi sembra realistico pensare e prevedere, in questa fase storica, segnata anche da forme drammatiche di deindustrializzazione, che la Calabria non avrà mai più un futuro industriale. E allora: non è giunto il momento per mettere insieme, con un inedito sforzo organizzativo, intelligenze ed esperienze diverse per tentare di prefigurare quale possa essere il cammino prossimo e venturo di questa regione? Se i sogni industriali sono tramontati è possibile immaginare un destino produttivo diverso della regione, che ne faccia addirittura un possibile laboratorio innovativo rispetto ad altre esperienze storiche del nostro Paese? Come si può rispondere alla ricerca di lavoro di tanti giovani? E come valorizzare le risorse naturali e storiche, le nostre agricolture tradizionali e moderne, le capacità imprenditive, le sparse esperienze "distrettuali", le intelligenze, la ricchezza culturale di una regione - dotata ormai di un sistema universitario diffuso - che ha l'ambizione e la possibilità di avere un ruolo non subalterno nella vita politica nazionale ed europea?
Qual'é la proposta? Io credo che questi temi e questi interrogativi devono diventare materia di discussione collettiva da ora in poi, sino alla scadenza della attuale legislatura regionale. Da tale dibattito - che va cadenzato con convegni periodici a cui chiamare tutte le diverse forze disponibili interne ed esterne alla Calabria - dovrà uscire il programma della formazione politica che si candida al governo della regione. Da questa stessa esperienza dovrà a mio avviso emergere anche la <
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