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Un Cantiere meridionale


Questo è un invito. Insieme - persone differenti ma convinte che sia urgente trovare per il sud una nuova via dopo il fallimento dello "sviluppo" - proponiamo a reti sociali, organizzazioni della società civile, sindacati, amministratori municipali, militanti delle sinistre, studiosi, un "cantiere sociale", uno spazio pubblico, da tenersi a Cosenza a fine marzo (inizio aprile?), in cui scambiare esperienze ed elaborarne il senso, con lo scopo ambizioso di dare inizio a un nuovo meridionalismo.
Rivolgiamo questo invito anche alla società civile del nord del nostro paese, perché crediamo che quella di una vita liberata dagli imperativi del mercato e dello "sviluppo" sia una ricerca necessaria anche dove città e territori messi duramente "al lavoro" in nome della competizione globale sembrano, per il momento, produrre ricchezza, ma anche frattura sociale, degrado ambientale, solitudine. Perciò questa lettera è firmata anche da chi, in apparenza, è molto lontano dal Mezzogiorno.

Per oltre un secolo, la "questione meridionale" ha impegnato i democratici, i progressisti, le sinistre e il movimento operaio, il solidarismo cristiano. La domanda, ripetuta in modi diversi nel corso dei decenni, era sempre uguale: come indurre, stimolare, provocare uno "sviluppo", nel sud del paese, che lo spingesse verso uno stadio di industrializzazione degno di quello che nel frattempo si creava nel nord. E che lo sottraesse alla "arretratezza", al "sottosviluppo", perciò alla subordinazione a poteri reazionari e al costume corruttore del clientelismo.
Così, per successive ondate, fin dall'inizio del Novecento, diverse forme di "modernizzazione" sono state trapiantate nel Mezzogiorno: ristrutturazioni capitaliste dell'agricoltura; industrie private incentivate dallo Stato; le acciaierie, la chimica e altre industrie "strategiche" a partecipazione pubblica; una urbanizzazione di tipo metropolitano; un turismo tutto rivolto al profitto; la permanente preoccupazione di creare "infrastrutture", porti, autostrade, aeroporti. Con il Ponte sullo Stretto a fare da simbolo delle mancate promesse come delle imprese realizzate a metà.
Si può dire che, per tutto il secolo scorso, il sud d'Italia è stato costretto a rivolgere lo sguardo verso nord: a un modello unico di "progresso", tanto desiderabile quanto irraggiungibile, se non nella forma molecolare e dolorosa della emigrazione individuale, che dalle regioni del sud ha raggiunto le fabbriche di Torino, le miniere del Belgio, qualunque parte del mondo in cui vi fossero occasioni di lavoro, cioè di dignità.

Ora, all'inizio del nuovo secolo, ci pare di poter concludere che lo "sviluppo" è fallito, che il neoliberismo ha tradito la lunga promessa del progresso, e che ci troviamo in un territorio sconosciuto, in cui il modello unico di modernità non solo non è raggiungibile, ma non è più nemmeno desiderabile. Noi crediamo che la fine di quel futuro sia un'opportunità.
Molti studiosi, e molte esperienze di resistenza e di socialità, indicano che è ora che il sud, anzi i sud, distolgano lo sguardo da quel modello e lo rivolgano a se stessi, e al loro contesto. A noi sembra che una nuova "coscienza di luogo" stia animando quanti tentano di inventare un altro modo d'essere della società, dei suoi nessi tra le comunità e gli individui, e tra essi e la natura. Una resistenza diffusa si oppone ai ruoli che questa modernità senza sviluppo vuole assegnare ai diversi sud: quello di imitatore dell'industria diffusa del nord-est; quello di cavia passiva di un diluvio di Grandi Opere che servono solo, nel migliore dei casi, da droga per l'industria delle costruzioni; quello di portaerei mediterranea della guerra permanente; quello di serbatoio di voti per una destra cinica ed affarista, che con la "devolution" vuole di fatto abbandonare metà del paese al suo destino.
In molti hanno indicato l'ora locale che batte sugli orologi dei sud, hanno evocato un "pensiero meridiano" irriducibile alla logica utilitaria del profitto, hanno indagato uno "spirito pubblico meridionale" basato nei municipi e non misurabile con il metro dello statalismo e della produttività, hanno praticato la conservazione della natura come alternativa effettiva alla rapacità capitalista, hanno intrattenuto relazioni con altre sponde del Mediterraneo contro il comando che le considera colonie fornitrici di braccia a basso costo.
Noi crediamo che sia possibile immaginare, in concreto, un'industria, un turismo, un sistema di trasporti, un'agricoltura, un'istruzione, una democrazia, insomma una civilizzazione diversa da quella che, per oltre un secolo, si è voluto trapiantare nel Mezzogiorno.

Di tutto questo - in assemblee plenarie e sessioni tematiche secondo lo stile aperto dei cantieri sociali - vorremmo discutere a Cosenza, città che ha orgogliosamente rinviato al mittente l'epiteto di "sovversiva", oltre che sede di una grande università. Dal nostro Cantiere meridionale potrebbe nascere, noi lo speriamo, una relazione permanente, ed efficace, tra i molti, ancora dispersi, che già stanno inventando quell'altro meridione che, ne siamo certi, è possibile.

Firmato da: Ora Locale, Carta, Cgil di Cosenza, Cgil di Brescia, il Parco nazionale dell'Aspromonte.



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