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Evola ed il nazifascismo

Francesco Germinario
Razza del Sangue, razza dello Spirito -
Julius Evola, l'antisemitismo ed il nazionalsocialismo (1930-43),
Bollati Boringhieri, Torino, 2003


di Michelangelo Cimino


L'influenza che il pensiero di Julius Evola ebbe sulle generazioni cresciute durante il fascismo, e in quelle immediatamente successive, anche ad un primo sguardo appare degna di un'analisi seria e approfondita: specie nel caso in cui il "filosofo della razza", in polemica soprattutto con pensatori nazisti, quali ad esempio Alfred Rosenberg, criticò il forte "determinismo" biologico, mostrato dal regime del Führer, nell'isolare e mettere all'indice gli ebrei. Ma, tutto sommato, fu una critica che in capo a qualche anno (cioè a guerra iniziata), e in coincidenza con la rivalutazione del nazismo - quale modello per un fascismo considerato pieno di lacune e falle - era destinata a mostrare la corda: in fondo il razzismo evoliano dell' "Anima e dello Spirito", come lo definisce Francesco Germinario (Razza del Sangue, razza dello Spirito - Julius Evola, l'antisemitismo e il nazionalsocialismo (1930-43), Bollati Boringhieri), approdava esso stesso ad una profonda, radicale biologizzazione.
Le conclusioni cui perveniva Evola, e su un punto non secondario della politica antisemita, non erano affatto distanti da quelle del nazismo: in mezzo tuttavia si ergeva un lungo itinerario teorico che portò il filosofo - stimato e apprezzato anche da Renzo De Felice -, da una iniziale, a tratti dura, critica per il regime nazista ad una sostanziale identità tra i compiti assegnati a quest'ultimo e quelli propri del fascismo; e dell'"uomo nuovo" mussoliniano.
In un primo tempo, però, non si può nascondere che le differenze fra le diverse versioni dell'antisemitismo di Evola e del nazismo erano molto profonde. "Volendo semplificare - scrive Francesco Germinario - si potrebbe osservare che quello evoliano è un antisemitismo di destra, in quanto l'antisemitismo anticapitalistico, con le sue necessarie implicazioni plebee, demagogico-agitatorie e "socialiste", non si addice certo ad un pensatore che vede nell'antisemitismo la tappa necessaria per la restaurazione del mondo della Tradizione dominato dalle nuove aristocrazie guerriere".
Le accuse che Evola rivolge al razzismo dei nazisti riguardano proprio aspetti di questo tenore: intanto il fatto che esso, chiamando in causa le masse, era diventato plebeo e livellatore; quindi gli aspetti socialisteggianti e nazionalistici di cui era fortemente impregnato.
Il passaggio che porta Julius Evola dal rigetto all'adesione parziale delle teorie antisemite del nazismo non è tuttavia molto netto. E' solo dopo il 25 luglio del 1943 che la fascistizzazione del nazismo e la nazificazione del fascismo apparivano ad Evola come un portato non secondario dei destini delle due razze ariane: fare della conquista dell'Imperium, di ascendenza ghibellina e medievale, non un semplice ingrandimento territoriale, ma una battaglia per imporre una civiltà e una cultura in cui "differenziazione e gerarchizzazione" avessero la meglio sulla piatta uniformità dei regimi borghesi - in cui "sguazzavano mediocremente i detriti razziali ebraici". Insomma: alcune razze guerriere "superiori", fasci-naziste (tipo le SS e le NAPOLAS) avevano il dovere di condurre una loro battaglia per (re)imporre il valore supremo della tradizione e spazzar via ogni residuo di modernità.
La bestia nera di Julius Evola possiamo ben dire che era la modernità - considerata mediocre e fonte di incroci razziali.



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