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Banche ed Imprese in Calabria

di Holden


Se il rapporto banche - imprese in Calabria non è stato mai facile, oggi non è eccessivo dire che fra queste istituzioni sia venuta frapponendosi una muraglia di "incomprensione".
Vorremmo, nel piccolo spazio di un articolo, cercare di individuare quali, a nostro giudizio, siano i motivi principali di tanta conflittualità. Innanzitutto i protagonisti. LE IMPRESE. Sinteticamente, da un punto di vista dimensionale, il sistema delle imprese calabresi riteniamo possa così essere descritto : rare le medie imprese, numerose le piccole, moltissime le microimprese (quelle con max 10 addetti).
LE BANCHE. In Calabria, l'intermediazione creditizia è in mano a gruppi bancari di grandi e medie dimensioni del Centro Nord : Unicredito, Intesa, S.Paolo-Imi, Capitalia Monte Paschi, Bnl,Gruppo Antonveneta, Gruppo Banca Popolare Emilia Romagna ecc.
La prima considerazione che viene da fare riguarda la fisionomia del sistema bancario operante in Calabria e nel meridione in genere.Questa è profondamente mutata a seguito della dissoluzione, avvenuta fra la fine degli anni '80 e gli anni '90, delle banche meridionali (Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania)le cui spoglie sono state divise fra i vari gruppi bancari del Centro Nord.
A seguito di tale straordinario evento, alle imprese calabresi e meridionali in genere sono venuti a mancare gli interlocutori "autoctoni", i quali, in quanto espressione del territorio meridionale, perseguivano, come prioritaria se non esclusiva mission,il sostegno creditizio alle imprese locali.
Oggi, queste banche, pur mantenendo per meri motivi di marketing la medesima "Ditta" (continuano a chiamarsi Carime, Banco di Napoli ecc.), hanno "un anima" diversa, in quanto espressione di gruppi Bancari del Centro Nord che coltivano ben differenti strategie e del sostegno creditizio all'impresa meridionale si curano ben poco. Poiché considerano il nostro sistema delle imprese complessivamente molto rischioso, attuano una politica di impiego delle risorse molto restrittiva.
Ad esempio, è da segnalare il rifiuto programmatico delle banche che operano al Sud di finanziare qualsiasi nuova iniziativa che non sia espressione di soggetti imprenditoriali già presenti sul mercato. Alla luce di questo inoppugnabile dato di fatto, appare in tutta la sua sciagurata sconsideratezza la proposta leghista e di Tremonti, inserita nella prima stesura della legge finanziaria, di convertire i contributi a fondo perduto per le imprese in finanziamenti bancari di lunga durata. In pratica, se tale proposta fosse passata, larghissima parte delle nuove iniziative imprenditoriali non sarebbe mai stata finanziata, con i prevedibili effetti sullo sviluppo degli investimenti e dell'occupazione. Le fortunate imprese che hanno la possibilità di accesso al credito,lo ottengono a condizioni molto onerose.
Non è un mistero per nessuno che, in tempi di inflazione ad una cifra, in Calabria moltissime imprese pagano tassi di interesse a due cifre, al limite del tasso / soglia usuraio normativamente stabilito. E quest'ultimo se pur formalmente rispettato, viene aggirato surrettiziamente attraverso una tendenza di fondo molto gravosa per le imprese: il continuo aumento delle spese, con le motivazioni più assurde e ingiustificate (in questo la fantasia delle banche è inesauribile) connesse alle erogazioni dei prestiti, il cui esito finale è l'intollerabile lievitazione del costo del denaro.
La nostra regione, e il meridione in genere, interessa a questi grandi gruppi per la cospicua presenza di una importante materia prima : il risparmio. Mai come oggi si è dimostrato vero il luogo comune che le banche drenano il risparmio del Sud verso i ricchi mercati del Nord e internazionali.
Altro fattore di conflittualità è la pretesa della banca di praticare criteri di concessione del credito proprio di sistemi economici molto evoluti.
Dopo decenni in cui le banche (tutte) hanno contribuito a diseducare l'impresa, a causa del loro gretto garantismo, inculcando in ogni imprenditore l'idea che per aver credito fosse sufficiente disporre di un adeguato patrimonio personale (particolarmente quello immobiliare), mentre del tutto secondaria era la considerazione per gli aspetti finanziari ed economici della gestione d'impresa, le banche, con molta disinvoltura, pretendono oggi dall'impresa calabrese (in stragrande maggioranza piccola anzi piccolissima) non soltanto le consuete garanzie (quelle che vogliono sempre) ma la rispondenza dei bilanci aziendali a quegli standard di affidabilità che vengono richiesti alle aziende dell'opulenta Brianza, tanto per rendere l'idea.
Ormai le banche "ragionano" in termini di "ratios" (rapporti fra le voci di bilancio di valenza segnaletica) ed è tutta un orgia di acronimi e termini prevalentemente anglosassoni cui esse ricorrono per esprimere la valutazione della sussistenza o meno delle condizioni per la concessione del credito : ROE, ROI, ROS, ROD, ROA, EBITDA, EBIT, MOL, MON, ACID TEST, QUICK RATIO, CURRENT RATIO, CASH FLOW, LEVERAGGIE e via dicendo.
Una griglia di indicatori buona per valutare una azienda che intende magari quotarsi a Wall Street, ma grottescamente incongrua e assolutamente fuori sintonia rispetto alle caratteristiche dell'impresa calabrese, che ripetiamo è nella quasi totalità di piccola o piccolissima dimensione.Ma considerando bene la cosa anche tutto questo è riconducibile al fatto che, con la scomparsa della banca locale e la sua sostituzione con i "grandi gruppi bancari", l'impresa calabrese ha perso il suo appropriato interlocutore, con cui intratteneva un rapporto di tipo fiduciario, basato sulla conoscenza personale.
Ormai, la burocratizzazione della gestione del credito ha determinato la spersonalizzazione del rapporto banca/piccola impresa. Ciò che prima si fondava sulla conoscenza personale, "l'intuitus personae", oggi viene basato solo sui numeri, le fredde cifre, le tecniche di "scoring", sui bilanci, dimenticando che i bilanci delle piccole imprese hanno una formazione diversa rispetto a quelli delle grandi imprese e che i numeri, da soli, non sono sufficienti a comprendere affondo le piccole aziende.
Che fare ? È questo l'interrogativo da porsi di fronte a questa situazione e al sistema di imprese in Calabria, che ha una gran fame di capitali e a cui le banche sono sempre più restie a concedere credito.
Poiché è difficile, se non impossibile, che le banche che operano in Calabria mutino la loro filosofia (si trincerano adesso dietro "i precetti" di Basilea 2 da rispettare in tema di concessione del credito), a nostro avviso è necessario, per l'immediato, potenziare gli organismi di garanzia collettiva (Consorzi Fidi) e pretendere, in presenza della sussistenza dei requisiti, la concessione dei finanziamenti garantiti dallo Stato attraverso il Fondo Speciale di garanzia, da parte di quelle banche che hanno stipulato l'apposita convenzione. Inoltre, sarebbe auspicabile che si potessero costituire forti banche locali e un mercato dei capitali per le piccole imprese che sia integrativo / sostitutivo del credito bancario e, last but not least, promuovere la cultura d'impresa, cioè quell'insieme di cognizioni che rendono lo svolgersi dell'azione imprenditoriale pienamente consapevole delle varie problematiche economiche- finanziarie che attengono alla vita di ogni azienda.
Se non si trova una soluzione al problema del credito bancario il già fragile tessuto imprenditoriale calabrese rischia di subire una autentica falcidia e sul mercato non rimarranno che quelle pochissime imprese capaci di rispettare gli standard pretesi dalle banche e, prospettiva inquietante, l'impresa mafiosa, cui di certo non difettano i capitali e la capacità di uniformarsi ai precetti di "Basilea2".



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Walter Belmonte