"Globale" e "totale": due aggettivi spesso usati come sinonimi, nel linguaggio comune, che pure presentano differenze di significato non irrilevanti. Spesso. Perche, a volte, il processo di "globalizzazione" appare nella forma di imposizione di un modello unico culturale portatore di una carica di violenza omologante, che, nel "moltiplicarsi degli aspiranti all'egemonia su base regionale" (Geertz, 1999: 18), sembra tendere ad un globalismo totalizzante e totalitario.
Serge Latouche, si potrebbe parlare di una "mondializzazione dell'Occidente" come fase matura dell'occidentalizzazione del mondo?
"Dipende da cosa si intende. In un certo senso, il mondo è occidentalizzato, siamo tutti, più o meno, occidentalizzati. C'è in atto un processo di uniformizzazione dell'immaginario collettivo e di omologazio- ne planetaria. In questo senso, possiamo parlare di una mondializzazione dell'Occidente come fase matura, superiore, del processo di occidentalizzazio- ne del mondo. Nell'accezione negativa. Non sta avvenendo, invece, quella niondializzazione dell'Occidente che l'utopia della globalizzazìone proponeva, e cioè di un Occidente che si lasciasse penetrare e fertilizzare da idee e valori esterni all'Occidente stesso, provenienti da altri mondi rispetto al mondo occidentale. Se, con l'espressione "mondializzazione dell'Occidente", lei intende che l'ideologia occidentale si diffonde a macchia d'olio nel nostro pianeta e invade il mondo, allora è profondamente vero: è la fase matura dell'occidentalizzazione del mondo. Si sente parlare di identità nomade, di ibridizzazioni culturali, di meticciamenti, ma si tratta, in realtà, di un fenomeno di moda, più che altro di un vezzo di alcuni intellettuali, una illusione, a cui corrisponde, nei fatti, il recupero di aspetti parziali delle singole culture, con una chiara predilezione e preva- ricazione della cultura occidentale".
Quali sono i pericoli di un "ritorno del respinto"?
Che ci sarà un ritorno del respinto, anzi, che già sta avvenendo, è abbastanza noto. E, forse, sono noti anche i pericoli di questo ritorno. L'attentato terroristico dell'll settembre ne è l'espressione più violenta e spettacolare, anche simbolica e paradossale. Non ci sono "vincitori per sempre", come non ci sono "vinti per sempre", nessuna vittoria è definitiva, come non lo è nessuna sconfitta. Questa occidentaIizzazione del mondo, o mondiaIizzazio- ne dell'Occidente, come lei dice, usa il liberismo come arma di distruzione delle altre culture, di stili di vita e di pensieri differenti. L'universalizzazione del mercato porta nel mondo la miseria, non soltanto culturale, con il proliferare di povertà e disperazione che non possono restare silenti e passive a lungo, e vanno a nutrire forme inquietanti di ritorno del respinto, come il terrorismo. Bisogna, quindi, riscoprire l'umiltà dell'agire, la responsabilità nei confronti dell'umanità. Abbiamo un'espressione idiomatica comune, in Italia ed in Francia: chi semina vento raccoglie tempesta".
Un tempo si usava il termine "totalitarismo, oggi parla di "globalizzazione". Una differenza sostanziale o apparente?
"È una domanda interessante. Ad una prima analisi, si direbbe che la differenza è reale e significativa. li totalitarismo è un sistema politico totale, storicamente legato al nazismo e al comunismo sovietico, cioè ad una organizzazione sociale che impedisce la libertà e l'autonomia di pensiero dei singoli, ricorrendo alla repressione. Ma, proprio qui, dalla riflessione sulle caratteristiche del totalitarismo, appaiono le analogie con il fenomeno della globalizzazione, che definirei un "totalitarismo dolce", rampante, insidioso, che non si serve di strumenti di repres- sione istituzionali ed individuabili, come la polizia segreta, il carcere, la tortura, il terrorismo, ma usa forme mediate e indirette di repressione. Basta leggere il libro di Gorge Orwell, 1984, per vedere immediatamente come oggi viviamo nel "villaggio planetario", in cui la vita di ciascuno è alla mercè di tutti, e la nostra visione della realtà è controllata dai mezzi di comunicazione di massa, è mediata dalla televisione, e quindi, è illusoria, virtuale. I sistemi di spionaggio satellitare permettono di sorvegliare la vita privata di ogni singolo cittadino. Dunque, direi che le similitudini tra globalizzazione e totalitarismo sono le seguenti: 1) il controllo della vita dei cittadini, giustificata con ragioni di sicurezza, ma che consiste nella violazione della privacy e nell'annulamento della libertà personale; 2) il dogmatismo ideologico, che conduce alla dittatura culturale dell'economicizzazione integrale del mondo, con il dogma-ideologia del mercato, esteso perfino all'uomo, riproducibile e commercializzabile a partire dal suo codice generico; 3) la concezione chiusa del mondo, che impedisce devianze e respinge il pensiero critico ed autonomo".
La metafora del Mediterraneo viene usata, da qualcuno, come soluzione allo "scontro di civiltà". Che ne pensa?
"Mi piacerebbe poter credere che esistano immagini vitali e positive per la soluzione alla dialettica interculturale. Purtroppo, non sono molto ottimista. Anche l'Europa è usata come metafora e ideale di integrazione di diverse realtà culturali, occidentali e orientali. Ma sembra che la civiltà europea non abbia la volontà ne il coraggio di avere realmente una posizione autonoma rispetto agli Stati Uniti. Gli intellettuali europei coltivano sogni euro-mediterranei, poco concreti e realizzabili. Il Mediterraneo è sempre stato, ed è ancora oggi, un luogo di contraddizioni e di conflitti, prima che di integrazioni e alleanze. Tutti noi esseri umani, mediterranei, europei, di ogni continente, area geografica e culturale, siamo imbarcati sulla stessa nave, che ci piaccia o no. Purtroppo, sembra che la finalità di tutte le teo- rie e le mitologie sia soltanto una: non modificare le nostre abitudini, il nostro proprio sistema di vita. Gli intellettuali possono soltanto dare il segnale d'allar- me, magari ricorrendo al mito del Mediterraneo: ci stiamo muovendo verso catastrofi terrificanti, inevitabili se non cambiamo "rotta", cioè, se non pensiamo ad una riorganizzazione del sistema sociale e politico".
Potremmo parafrasando Paul Valery dire che, "comincia il tempo di un mondo che finisce"?
"Direi che questo tempo è cominciato da molto tempo. Già a partire dalla scoperta dell'Arnerica, si è scoperto che il mondo come era conosciuto prima era finito, che la terra è tonda. Certo, noi contemporanei siamo più che mai consapevoli del senso e dell'inevitabilità del limite, dell'inarrestabilità e imprevedibilità dei cambiamenti. Viviamo in un mondo finito, nel duplice senso del termine: un mondo limitato, ristretto nei confini di un "villaggio globale", ma, anche, un mondo che cambia ad una velocità incontrollabile, che finisce e comincia, finisce e comincia. L'importante è che non ci si diriga verso la fine totale, con un agire irresponsabile".
La transdisciplinarità e la transculturalità, in che modo favoriscono questo "cambiamento di rotta"?
"Personalmente, credo di essere naturalmente transdisciplinare. Sono un economista, ma mi sono formato anche con la filosofia, le scienze politiche, l'antropologia. Ritengo che la transdisciplinarità e la transculturalità aiutino il dialogo tra le discipline e le culture in quanto aprono l'orizzonte del pensiero, favoriscono la capacità di dirigersi incontro all'altro, per comprenderlo, attraversando le frontiere del proprio territorio mentale, disciplinare, ideologico. il dialogo intercullturale e interdisciplinare restano un parlare tra sordi se si rimane imprigionati nei confini del territorio di appartenenza. La transdisciplinarità e la transculturalità sono, potremmo dire, il cambiamento di rotta necessario ad evitare la scontro tra discipline e culture. Rappresentano, cioè, quella consapevolezza che siamo tutti sulla stessa barca, su una sola zattera".
Il "mondo globale" appare, oggi, abitato da una molti- tudine di "identità armate" (Remotti, 1996: 45 e seg.) , in guerra tra loro, guidate dal comune ideale di realizzare un "mondo totale", che compia il mandato biblico di un popolo prescelto, il "popolo privilegiato tra tutti i popoli che sono sulla terra" (Deuteronomio 7, 6) .In prima fila, la cosiddetta "civiltà occidentale".
Globalizzazione, modernizzazione e civilizzazione suonano sempre più come sinonimi di occidentalizzazione. La globalizzazione sembra, cioè, più che mai, coincidere con L'occidentalizzazione del mondoprofetizzata, nel 1989, da Serge Latouche, intellettuale critico del nostro tempo, pensatore transdisciplinare, citato tra i "teorici della crisi". Ad oltre ventanni dalla pubblicazione del libro, abbiamo chiesto all'autore: