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Le nuove dimensioni della privacy

di Sergio Niger


Nel corso dell'interessante intervista, ospitata sul n. 2 del 2002, Edgar Morin nell'affrontare il rapporto tra diritti umani e nuove tecnologie accenna alle problematiche legate alla tutela della privacy.
Non è certo agevole definire cosa sia oggi la privacy. Le difficoltà definitorie nascono anche da questi primi cinque anni di sperimentazione della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (entrata in vigore l'8 maggio 1997), a tutela dei dati personali, nel nostro Paese.
Per comprendere appieno l'evoluzione di questa complessa nozione occorre partire dalla nascita e dall'affermarsi di tale diritto.
Le origini del diritto alla privacy si fanno risalire, da un punto di vista dottrinale, a due noti giuristi statunitensi, Samuel Warren e Louis Brandeis, che diedero alle stampe un saggio intitolato: "The right to privacy", in Harward Law Review, 4, 1890 (ora in Schoeman [a cura di] Philosophical Dimension of Privacy, Cambridge, 1984); da un punto di vista giurisprudenziale ci riportano, invece, alle prime storiche pronunce della Suprema Corte statunitense.
Nel saggio richiamato, Warren e Brandeis si proponevano di considerare atto illecito la lesione della privacy dell'individuo. Secondo i due autori, ogni individuo ha il diritto di essere lasciato da solo (let to be alone), di proteggere la sua solitudine , cioè la sua vita intima, come ha il diritto di proteggere la sua proprietà privata. Da ciò emerge, quindi, che il diritto alla privacy veniva costruito come diritto soggettivo e aveva i connotati propri del sentire giuridico di allora espresso dalla logica proprietaria di stampo ottocentesco (cfr. S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995).
Già dalle prime ricostruzioni di tale diritto emerge, però, la difficoltà di percepire e delineare il bene protetto dal diritto alla privacy, difficoltà accresciuta dalla varietà di costruzioni di quella sfera ideale, che occorre preservare dalle possibili illecite intrusioni ed offese, che per comodità indichiamo come sfera privata.
Alan Westin (in Privacy and FreedomNew York, 1970), disseziona e ricostruisce storicamente, emancipandosi dal modello tradizionale e restrittivo della privacy, delineato sul modello giuridico della proprietà privata e della protezione dalle illecite invasioni, questo concetto, tramite l'analisi e la distinzione di una serie di sfere concentriche di interessi riconducibili al concetto di privacy (sull'argomento cfr. C. de Giacomo, Diritto, libertà e privacy nel mondo della comunicazione globale. Il contributo della teoria generale del diritto allo studio della normativa sulla tutela dei dati personali, Milano, 1999). Westin, inoltre, propone una classificazione per configurare la complessità e la problematicità delle esigenze legate alla protezione della sfera privata (solitudine, intimità, anonimato e riservatezza) nella realtà sociale, economica e politica di questo secolo.
Per cogliere appieno le origini e gli sviluppi della nozione di privacy occorre necessariamente partire dagli studi compiuti da Stefano Rodotà.
Rodotà ha finemente indagato il contesto socio-economico, politico e giuridico in cui sono maturate le condizioni che hanno poi consentito l'affermarsi della privacy come esigenza bisognosa di autonoma tutela. Rodotà (in La privacy tra individuo e collettività,Pol. dir., 1974) fa risalire la nascita del concetto di privacy al disgregarsi della società feudale: "Il primo mutamento radicale...destinato ad infrangere la forma della casa di abitazione medievale fu lo sviluppo del senso di intimità. Questo, infatti, significava la possibilità di appartarsi a volontà dalla vita e dalle occupazioni in comune coi propri associati. Intimità durante il sonno; intimità durante i pasti; intimità nel rituale religioso e sociale; finalmente intimità nel pensiero...ciò segna la fine delle reciproche relazioni sociali fra i ranghi superiori e quelli inferiori del regime feudale: relazioni che avevano mitigato la sua oppressione. Il desiderio di intimità segnò l'inizio di quel nuovo schieramento di classi che era destinato a finire nella lotta di classe senza quartiere e nelle rivendicazioni individualistiche di un periodo posteriore" (L. Mumford, La cultura delle città, Milano, 1953, p. 29). La privacy quindi si configura in tal senso come possibilità della classe borghese, che si realizza principalmente per le trasformazioni socio-economiche legate alla rivoluzione industriale. La nascita della privacy, a livello sociale e istituzionale, si presenta quindi non come la realizzazione di una esigenza naturale di ogni individuo, ma come l'acquisizione di un privilegio da parte di un gruppo. Gli strumenti di tutela della privacy vengono infatti modellati tenendo come punto di riferimento gli strumenti previsti a tutela del diritto borghese per eccellenza, ossia la proprietà. Le connotazioni elitarie del concetto di privacy tendono quindi ad escludere la classe operaia, sono infatti le condizioni materiali di vita ad escludere la tutela della propria intimità dall'orizzonte del proletariato.
Lo spaventoso aumento delle quantità di informazioni personali raccolte da istituzioni pubbliche e private è finalizzata a due obiettivi: l'acquisizione di informazioni utili alla preparazione e alla gestione di programmi di intervento sociale, da parte dei poteri pubblici, e allo sviluppo delle strategie aziendali private; e il controllo della conformità dei cittadini all'indirizzo politico dominante (vd. S. Rodotà, Tecnopolitica, Bari-Roma, 1997). La richiesta di tutela della privacy assume quindi due significati diversi, in relazione all'obiettivo che si vuole perseguire attraverso la raccolta delle informazioni: "il mutamento di motivazione fa cambiare significato all'invocazione della privacy: nel primo caso, rifiutandosi le informazioni necessarie ai programmi d'intervento sociale, la privacy si presenta come lo strumento per il consolidamento dei privilegi di un gruppo; nell'altro serve a reagire contro l'autoritarismo e contro una politica di discriminazioni basate sulle opinioni politiche (o sindacali o religiose; oppure sulla razza; e così via). La privacy, in tal modo, diventa un modo per promuovere la parità di trattamento tra i cittadini, per realizzare l'eguaglianza e non per custodire il privilegio, spezzando, il suo nesso di identificazione con la classe borghese" (S. Rodotà, La privacy tra individuo e collettività, in Pol. dir., 1974, p. 551). Tendono quindi a cambiare i soggetti da cui viene invocata la tutela della privacy e muta la qualità stessa di tale richiesta. In tal modo la domanda di difesa della privacy oltrepassa il tradizionale quadro individualistico e si allarga in una nuova dimensione collettiva, poiché non viene considerato l'interesse del singolo in quanto tale, ma in quanto appartenente ad un determinato gruppo sociale.
Con l'avvento delle nuove tecnologie il quadro si arricchisce.
Nel concetto di privacy non si riflette più soltanto il classico tema della sfera privata contro le invasioni provenienti dall'esterno, in esso si realizza infatti un importantissimo cambiamento qualitativo, che ci induce a considerare le problematiche legate alla privacy nel quadro dell'attuale organizzazione del potere, di cui le nuove tecnologie della informazione rappresentano la componente principale.
Il diritto alla privacy sembra ormai irreversibilmente orientato a caratterizzarsi come potere di controllo sulla circolazione delle informazioni personali piuttosto che come proiezione di un indifferenziato e approssimativo interesse all'isolamento, di sicché non sembra più riassumibile nei termini di un mero diritto di essere lasciati da soli.
Nel mondo dell'informazione tecnologica occorre, quindi, ripensare il concetto di privacy in una nuova dimensione. La privacy non consiste più solamente nel diritto di essere lasciato in pace, ma investe la libertà del cittadino di controllare le informazioni che egli stesso ha fornito al raccoglitore. Tendono, pertanto, a prevalere definizioni "funzionali" di privacy. Punto fondamentale diviene la possibilità di non perdere il controllo delle informazioni riguardanti l'interessato; controllo essenziale per "evitare che i molti benefici della società dell'informazione, le opportunità di partecipazione sociale che essa offre, vengano sopraffatti da interessi particolari, o vanificati da usi impropri o mancati aggiornamenti delle grandi banche dati" (dal discorso tenuto dal Presidente Stefano Rodotà nel giorno della presentazione della relazione sull'attività del Garante per l'anno 2001, Roma 8 maggio 2002).
Le nuove dimensioni della privacy investono non solo l'aspetto del controllo sul flusso delle informazioni in uscita dall'interno della sfera privata verso l'esterno ma anche l'ulteriore, e non secondario, aspetto delle informazioni in entrata.
L'attenzione, sempre crescente, mostrata dai cittadini in questi anni per la tutela della sfera privata, intimamente connessa alla rappresentazione pubblica della persona, ha fatto sì che la privacy diventi un elemento costituivo della cittadinanza. Possiamo dire, infatti, che questa si è imposta come diritto fondamentale, si è specificata come diritto a determinare le modalità di costruzione della sfera privata nella loro totalità, e che ora si presenta come "precondizione della cittadinanza elettronica". La protezione dei dati personali contribuisce così in modo determinante alla "costituzionalizzazione" della persona e diviene una imprescindibile garanzia contro ogni forma di potere, pubblico o privato (vd. S. Rodotà, Quel conflitto privacy-sicurezza, in La Repubblica, 10 giugno 2002).



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