Ora Locale

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"Ora locale" cinque anni dopo *

di Mario Alcaro


Per avviare il dibattito sui primi cinque anni di "Ora locale" mi pare opportuno, innanzitutto, fornire qualche dato e fare qualche constatazione empirica sullo stato del giornale. Cominciamo dagli elementi meno positivi.
Il numero degli abbonamenti è calato. Era inevitabile? Forse. Comunque, è così. Registriamo disagi e stanchezza, dovuti al fatto che il giornale si avvale solo di lavoro volontario non retribuito e dovuti al fatto che non abbiamo una sede (siamo ospiti di Città Futura), non abbiamo computer, non abbiamo supporti organizzativi e sostegni di nessun tipo. Ma, nonostante tutto, c'è un gruppo redazionale qui a Cosenza numeroso che si riunisce periodicamente in incontri in cui sono mediamente presenti 25 compagni. Le redazioni di Crotone, Catanzaro, Soverato continuano ad essere attive. Promoviamo varie iniziative politiche, dibattiti pubblici, incontri di vario tipo.
E i lettori? Non sono calati. Anzi c'è una grande novità a tal riguardo. Il nostro giornale è seguito da migliaia di lettori sparsi per il mondo. Su internet gli accessi al sito di "Ora locale" sono tantissimi. Abbiamo collegamenti con numerosi gruppi di intellettuali che operano nel Sud, siamo consultati da coloro che conducono ricerche sul mezzogiorno. La nostra rivista è ritenuta una delle principali voci del nuovo meridionalismo.
Non voglio dilungarmi su questo terreno, perché mi preme porre una domanda cruciale: che funzione ha avuto, ed ha, "Ora locale"? E poi ancora, un'altra domanda altrettanto cruciale: quanto ha inciso "Ora locale" nell'ambiente culturale e politico della Calabria?
Più che rispondere, fornisco qualche elemento per una possibile risposta.
Quale funzione ha avuto "Ora locale"? Quella di introdurre nella regione una nuova ottica secondo cui guardare i problemi del Mezzogiorno. Quella di introdurre un nuovo punto di vista sul sud.
Abbiamo cercato di immettere nella regione idee nuove per la riflessione sui nostri problemi. Contro le analisi sclerotizzate, frutto di inerzia mentale, di stereotipi, di luoghi comuni. Una visione più ottimistica sulle potenzialità e le risorse del Sud. Una visione non recriminatoria e non auto-denigratoria. Una visione volta a cogliere e a segnalare le emergenze positive, le novità che si vanno verificando nel tessuto sociale, economico, culturale della Calabria e del sud.
Da qui la seconda funzione del giornale. La prima, si è detto, è stata quella di immettere aria nuova nell'ambito culturale calabrese; la seconda è stata quella di prendere dalla realtà sociale, di "acchiappare" le novità che testimoniavano la dinamica e l'evoluzione della società meridionale e calabrese.
Leggendo retrospettivamente i vari numeri del giornale si ha una documentazione ricca e articolata di tali novità. Si acquisisce una conoscenza di alcuni dei fenomeni più interessanti e nuovi delle trasformazioni della realtà del Sud.
Quanto ha inciso nel contesto socio-culturale "Ora locale"?
Non abbiamo infettato i partiti. Non abbiamo influenzato larghi settori dell'opinione pubblica. Non abbiamo creato "nuovo senso comune" (Gramsci). Ma abbiamo contribuito alla formazione di nuovi quadri intellettuali e politici. E non ci sembra poco. Del resto, a questo abbiamo guardato sin da quando il giornale è nato. Non pretendevamo di conquistare vasti settori dell'opinione pubblica. E' per tale ragione che non abbiamo accolto la proposta di un giornale più facile, più rivolto alla cronaca politica, più direttamente coinvolto nelle lotte elettorali. Su quello che è stato il nostro obiettivo (nuovi quadri intellettuali e politici) abbiamo ottenuto dei risultati considerevoli.
A questo punto, per continuare, forse, si impone un progetto più ambizioso. Forse bisogna fare un salto. Forse, oltre a proseguire sul sentiero tracciato, bisogna prendere in esame qualche nuova ipotesi. Per esempio questa, su cui chiedo a tutti voi di pronunciarvi. Una proposta sul prossimo numero, un abbozzo di "carta programmatica" sullo sviluppo della regione, un progetto che si proponga di indicare le linee maestre delle trasformazioni necessarie per la soluzione dei nostri persistenti problemi. Dunque, sul prossimo numero apriremo un grande dibattito per un programma di sviluppo della regione. Chiederemo ai rettori e ai docenti delle università calabresi di intervenire. Chiederemo l'intervento di tecnici, di studiosi della questione meridionale, di esponenti di rilievo del mondo politico nazionale. Detto questo mi spetta porre un altro quesito cruciale, porre un'altra domanda importante, anzi porre la domanda più importante di tutte: hanno retto, o non hanno retto, le linee programmatiche della rivista, le idee fondative, le ipotesi-guida, la scelta di campo, l'orientamento di fondo di "Ora locale"?
Io credo che proprio su questo piano il nostro giornale ha ottenuto e ottiene i suoi migliori risultati. Una verifica sulle linee direttrici che la rivista ha seguito è fortemente soddisfacente. A questo proposito mi basta fare un breve riepilogo dell'iter teorico-analitico che la rivista ha seguito.
Perché abbiamo scelto come titolo "Ora locale"? Per il fatto che abbiamo pensato che il nodo politico fondamentale del momento fosse il rapporto locale-globale. Questa cosa oggi appare quasi scontata, ovvia, se volete anche banale. Ma noi abbiamo posto il problema del rapporto locale-globale sei anni fa. Molto in anticipo. Una volta tanto la Calabria non arriva in ritardo, ma in anticipo, appunto.
Siamo partiti da un'idea di fondo che è pressappoco questa: lo sviluppo capitalistico è ormai entrato in una fase regressiva, involutiva, di senescenza. Attenti. Non sto dicendo che il capitalismo (e la sua concezione della società e del mondo) sia debole o che sia in crisi o addirittura che sta per crollare. Al contrario, il capitalismo è tanto forte che non trova più avversari che lo impensieriscano. Sto dicendo un'altra cosa. E cioè che non è più in una fase ascendente, progressiva, ma è ormai entrato in una fase discendente e regressiva. Mi spiego meglio. Lo sviluppo capitalistico non è più portatore di un progresso che sia anche sviluppo umano. Nel passato esso perseguiva certo l'obbiettivo di classe del profitto attraverso lo sfruttamento operaio, ma era capace di portare istanze universalistiche, generali, di crescita della ricchezza sociale, di affrancamento dalla miseria, di benessere, ecc.
Oggi, al contrario, lo sviluppo capitalistico globale mostra chiaramente di non saper affrontare e risolvere i problemi cruciali del nostro tempo. Non risolve i problemi dell'ambiente, non risolve i problemi della giustizia sociale non risolve i problemi della crescita culturale e della caduta di valori etici delle popolazioni, non risolve i problemi che affliggono e contraggono il valore della democrazia rappresentativa, la quale ormai appare agonizzante.
Lo sviluppo capitalistico snatura tutto: l'agricoltura, la zootecnia, la ricerca scientifica, l'istruzione, le forme e i tempi di vita, l'alimentazione, il senso generale, della nostra esistenza.
Ecco, noi ci siamo detti: per contrastare questi immani processi, da dove si può cominciare? E abbiamo risposto che l'unico terreno praticabile per avviare un'azione di contrasto fosse il locale. Partire dal locale: ecco la nostra scelta.
Il locale che il buon dio ha dato a noi è il Mezzogiorno. Dunque siamo partiti dal Sud. E abbiamo innanzitutto cominciato ad irridere, se volete, le radiografie, le diagnosi e le terapie che venivano propinate per i mali del Sud.
Le radiografie: il Sud è statico, inerte, immobile. Ma dove? Ma quando? Siamo passati da regione da terzo mondo per redditi e consumi, a regione da società del benessere e consumistica. In meno di cinquanta anni.
Le diagnosi: il Sud è in ritardo per la mentalità dei meridionali, per la loro cultura e le loro tradizioni premoderne. Al contrario, noi pensiamo che siamo depositari e portatori di una grande cultura, quella mediterranea. Pensiamo che vada fatta un'opera di bonifica o di restauro, che elimini le distorsioni e recuperi e investa i tesori che stanno sotto le rovine.
Terapia: lo sviluppo selvaggio, le grandi opere, le cattedrali nel deserto. A questo abbiamo contrapposto uno sviluppo che valorizzi le risorse umane e ambientali.
Qual'è la nostra ricetta?
Noi crediamo che i mali del Sud nascano dal cattivo rapporto fra cittadini e istituzioni, fra società e stato. Un rapporto di ostilità, di estraneità, di strumentalità dei cittadini verso lo Stato. Una frattura fra popolazione e istituzioni che favorisce il comportamento di ceto e il perseguimento dei propri interessi particolari degli amministratori e dei dirigenti pubblici.
E' questo se volete il problema della classe dirigente. Assolutamente carente e inadeguata. Come si costruisce una nuova classe dirigente? Con la partecipazione, noi crediamo Con la democrazia partecipativa.
Rompere la diffidenza atavica, storica, tradizionale dei meridionali verso lo Stato (storicamente estraneo, esterno, indifferente ai bisogni sociali, repressivo). E scegliere degli amministratori della cosa pubblica capaci di progettualità e di moralità.
Ma come si fa? Ripeto. Con la partecipazione, con la democrazia partecipativa. E', come sapete, uno slogan centrale dei No global. E' da tempo il nostro slogan.
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* Relazione introduttiva al dibattito pubblico tenutosi alla Casa delle Culture (Cosenza, 21-11-2002)



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