Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


Il Parco Nazionale d'Aspromonte:
esempio di sviluppo sostenibile nell'area del Mediterraneo


di Francesco Sottile


Quando Mario Alcaro mi ha proposto di recensire questo libro sul Parco dell'Aspromonte, ho accettato subito con entusiasmo! In effetti, cosa c'è di meglio di un lavoro sulla conservazione e lo sviluppo sostenibile per un naturalista-biologo come me, che si occupa di ornitologia e ha a cuore la natura e la conservazione della biodiversità?
Si tratta di un volume scritto da Tonino Perna dal titolo: Aspromonte. I parchi nazionali nello sviluppo locale, Bollati Boringhieri editore, 2002, pp. 239, € 16,00.
La prima impressione su questo "libricino" formato paperback è stata quella di dire tra me e me: ma cos'è, un racconto? Niente affatto! È bastato leggere la prefazione, per intuire che i contenuti erano ben altro [...]. Il libro è la testimonianza tangibile di come la presenza di un Parco Nazionale, posto in un'area periferica e in parte degradata come l'Aspromonte, rappresenti un'importante risorsa per risvegliare storie, culture, tradizioni, ed essere un vero e proprio laboratorio dello sviluppo locale autosostenibile.
Il testo nasce dall'esperienza di Tonino Perna come Presidente del Parco Nazionale d'Aspromonte; dai suoi rapporti con la Pubblica Amministrazione, con le persone, con i problemi, le iniziative e le strategie intraprese dall'Ente Parco per far uscire dalla marginalità la gente d'Aspromonte.
L'intenzione principale della ricerca di Perna è quella di "raccontare e riflettere sul valore di una esperienza di trasformazione di una realtà marginale, sui tentativi di gestire il territorio, introducendo innovazioni finalizzate a conseguire risultati migliori in termini sia sociali sia ambientali" (p. 18). Il primo capitolo tratta l'origine dei parchi naturali e la loro evoluzione fino ai tempi di oggi. Nella metà del 1800, in Europa, il processo di industrializzazione si diffuse molto rapidamente. Ma altrettanto rapidamente si fecero sentire i suoi effetti negativi, come la distruzione degli habitat naturali, la diffusione di sostanze inquinanti, l'uso dei corsi d'acqua per lo scarico dei rifiuti industriali, a cui la classe operaia non trovò il tempo per opporsi, perché troppo impegnata a far valere i suoi diritti di sopravvivenza. Tra i primi a riflettere sulle questioni ambientali e opporsi al sistema capitalistico furono, invece, i movimenti degli intellettuali e artisti, che in Francia, nel 1853, crearono la prima Riserva Naturale, quella di Fontainebleau. Accanto all'approccio inizialmente romantico, nell'istituzione delle aree protette, si sviluppò quello scientifico che vide impegnati gli studiosi angosciati per la riduzione della diversità biologica. In quest'ottica, fu istituito nel Nord America il primo Parco Nazionale al mondo, quello di Yellowstone (1872). Il Parco nacque, infatti, "per beneficio e godimento del popolo, allo scopo di proteggere per sempre questa eccezionale area naturale". Una veduta, questa, profondamente diversa da quella europea, dettata dalle necessità estetiche degli artisti e da una disapprovazione della società industriale capitalistica. In Europa, il primo Parco Nazionale a essere istituito fu quello dell'Engadina (Svizzera, 1914), nato per recuperare una zona fortemente degradata. L'esempio svizzero stimolerà, successivamente, il proliferare di altre aree protette, tra cui in Italia, il Parco Nazionale del Gran Paradiso (1922).
Tuttavia, "non basta l'istituzione di un'area protetta affinché la natura si salvi, perché - scrive Perna - la strapotenza della tecnica sussunta dal capitale scatena paure e ansie, anche motivate, e mette in discussione la stessa sopravvivenza di aree protette e la conservazione di santuari di biodiversità. Nessuno si salva. Non ci sono più santuari dove nascondersi, luoghi incontaminati che possano sfuggire alla globalizzazione della riproduzione tecnica della natura, come nessuno è riuscito a sfuggire completamente al processo di inquinamento globale. Nemmeno i pinguini dell'Antartide" (p. 45).
Nel secondo capitolo si "entra nel merito dell'evoluzione culturale e politica dei parchi, in particolare dei parchi nazionali" (p. 19). Quelli americani, nati in un clima euforico e di grande crescita economica, hanno rappresentato, per moltissimo tempo, un modello per la creazione di nuovi parchi nazionali, nonostante l'evidente approccio razzista nei confronti degli indigeni, costretti a vivere nelle riserve con limitazioni sul patrimonio naturale con cui vivevano da sempre. Nell'istituzione dei parchi nazionali europei, invece, non si poteva certo applicare lo stesso approccio del modello americano. Non si potevano allontanare le popolazioni orgogliose della propria cultura, storia e tradizioni, come invece è avvenuto per gli indiani del Nord America o le comunità africane dei Masai e dei Makuleke. In questo capitolo, inoltre, l'autore fa una panoramica di parchi e riserve nell'area del mediterraneo, analizzandone diversi aspetti. La IUCN (International Union for the Conservation of Nature) porta a conoscenza che il numero di aree protette si è più che raddoppiato a partire dal 1992, passando dal 5 all'11% delle terre emerse nel 2001. Un grande successo per le associazioni ambientaliste che lottano per la tutela ambientale, e ci si aspetta che tale numero possa crescere in futuro. Ma negli ultimi tempi, si osserva un attacco ai parchi mai registrato prima, con gravi tagli ai fondi di gestione. È l'azione della cultura neoliberalista [...]. E i parchi più vecchi del mondo, quelli americani, "le wilderness per eccellenza", iniziano a bruciare. Nell'autunno del 2001, infatti, migliaia di ettari di boschi del Parco di Yellowstone sono andati in fiamme in poche settimane. Sono i sintomi di una crisi sia a livello culturale sia politico. Le riflessioni di Tonino Perna sono più che legittime: "che senso ha un parco in un mondo sempre più inquinato? Come è possibile resistere all'aggressione economica contro i parchi nazionali?" (pp. 46-47). Se è vero che il numero di aree protette è in crescita, è altrettanto vero che "diminuiscono i vincoli ambientali fino al punto che si svuota di senso la stessa definizione di Parco Nazionale o area protetta" (p. 75). Molte sono le cause: l'aumento dell'inquinamento atmosferico, i prodotti OGM, la clonazione di animali e vegetali, l'aumento del PIL e il turismo di massa sono solo alcuni esempi. Tutti concorrono a modificare, in certi casi in modo irreversibile, i delicati ecosistemi. Un esempio locale dell'indifferenza delle istituzioni è dato dalle riserve naturali "Tarsia-Crati" (Prov. CS). Istituite nel 1990 dalla Regione Calabria, queste importanti aree umide ornitologiche non vedono, ad ora, applicato né un progetto di restauro ambientale né di tutela. Pratiche illegali come caccia, pesca, incendi, taglio degli alberi, prelievo di sabbia e scarico di rifiuti, regnano sovrani. Lascio immaginare a ognuno le conseguenze future di queste azioni. Se da una parte, il governo regionale non investe molte energie nella conservazione della natura, dall'altra, quello italiano non è da meno, incentrando la sua politica sulle grandi opere come la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina e la modificazione della legge quadro sulla caccia (157/92) che permetterà ai cacciatori di sparare perfino nei parchi nazionali! Il terzo capitolo prende in esame la pianificazione di un Parco Nazionale. Tema di tipo multidisciplinare perché prevede la sinergia di diverse competenze, che spaziano dalla Zoologia alla Botanica, dalle Scienze della Terra all'Architettura, ecc. Si parla degli indicatori sociali, economici e ambientali. Ovviamente, le competenze dell'autore lo portano a soffermarsi di più su quelli di tipo socio-culturale. Si affrontano argomenti come la perimetrazione dei parchi e la contrattazione tra enti locali e Ministro dell'Ambiente.
Nel quarto capitolo si discute di gestione del territorio, di esperienze e risultati di attività di un'area periferica come l'Aspromonte. L'autore affronta importanti questioni ambientali come gli incendi, i rifiuti, le alluvioni e le alternative possibili per contrastare tali "emergenze". Si occupa, inoltre, del problema dei cacciatori, descrivendone il mutamento sociale e relativo impatto ambientale. Nell'ultimo capitolo si tenta di rispondere al quesito: un altro Sud è possibile? È fattibile uno sviluppo locale autosostenibile in una realtà marginale come l'Aspromonte? Ma in realtà, che cos'è questo sviluppo sostenibile? La Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo ha definito lo sviluppo sostenibile come "uno sviluppo che soddisfa le esigenze del presente senza compromettere le opportunità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni". Per seguire questo principio occorre una "rivoluzione culturale nuova". La realizzazione di una concezione comune, come metodica fondamentale per la tutela dei beni ambientali. In altri termini, per perseguire lo sviluppo sostenibile, bisogna che si superi la "visione economicistica della realtà". L'autore sottolinea, difatti, la minaccia che proviene da un concetto di Parco che ne riduce la funzione fondamentale a quella di "volano per lo sviluppo" perché, "se il parametro su cui giudicare il successo di un Parco (regionale o nazionale che sia) è solo quello economico, la battaglia per la tutela ambientale è già persa in partenza" (p.158). Basta che qualcuno presenti un investimento a elevato impatto ambientale (per esempio una strada a scorrimento rapido) e sono annullate tutte le sostenibilità di cui molto si parla. Per concludere l'autore espone alcuni progetti ed esperienze promosse dall'Ente Parco, nel campo dell'arte, della cultura, della storia e dell'alta formazione scientifica.



Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


L'edizione on-line di Ora Locale e' ideata e progettata da
Walter Belmonte