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La "nuova alleanza" tra scienza e movimenti

L'indeterminismo e la biopolitica

di Toni Alcaro


Trovo straordinario pensare come alcuni degli elementi più innovativi espressi dal movimento di contestazione ai processi di globalizzazione neoliberista (o più semplicemente movimento dei movimenti) possano trovare concordanze teoriche sorprendenti con la scienza indeterministica. Mi sembra molto strano che fino ad oggi nessuno ci abbia pensato. La scienza indeterministica costituisce una rivoluzione concettuale di portata straordinaria. Purtroppo, però, il mondo scientifico, e più in generale tutta la cultura occidentale, non ne ha assorbito per intero il messaggio, anzi ne ha accettato soltanto alcuni elementi superficiali. Ad esso si oppongono inevitabili e comprensibili resistenze. Infatti, la scienza indeterministica capovolge il rapporto tra l'uomo e l'universo, o tra l'uomo e la natura, rispetto alla visione espressa dalla fisica classica (o Newtoniana). Cercando di riassumere si potrebbe dire che la fisica classica è legata all'idea di una natura morta in quanto oggettivata, e dunque interamente prevedibile per un osservatore esterno (l'uomo, lo scienziato). Il rapporto tra l'uomo e la natura, o tra lo scienziato ed il suo oggetto di studio, è, di conseguenza, un rapporto di dominio. Il fine della scienza è controllare la natura, renderla schiava. Quando non ci riesce, lo scienziato classico rimprovera una mancanza di conoscenza sufficiente, o una eccessiva complessità del proprio oggetto. La scienza indeterministica sostiene invece che l'imprevedibilità è una caratteristica inerente alla natura, un suo tratto essenziale. Prigogine e la Stengers ci spiegano che "in termodinamica il carattere controllabile non è naturale, è il risultato di un artificio; la natura possiede una attività intrinseca per cui tende a sfuggire alla dominazione". Perché? Innanzitutto, perché la natura non è un oggetto, ma un essere in continuo divenire; in secondo luogo, perché l'osservatore (cioè l'uomo) non può considerarsi ad essa estraneo, come insegna la meccanica quantistica; in terzo luogo, perché il tempo è creativo. "La natura - scrivono Prigogine e Stengers - è slancio, continua elaborazione di novità, totalità creantesi in uno sviluppo essenzialmente aperto, senza finalità predeterminata" (Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La Nuova Alleanza, Einaudi, 1981).
Il rifiuto di una concezione deterministica e lineare della storia caratterizza la frattura principale fra i nuovi movimenti di contestazione della globalizzazione e la tradizione socialista (sia comunista che socialdemocratica). Ancora di più il movimento dei movimenti esprime il rifiuto di un unico modello di società da porre come punto di arrivo, finalità ultima dell'azione politica. Non esiste alcun modello assoluto di società, poiché la società non è qualcosa che è possibile trasformare pianificando. Viviamo infatti in un "mondo pluralistico che non può essere descritto in termini di schemi onnicomprensivi in un quadro concettuale universale ed unificante". La società, o meglio, le infinite società di cui è composto il mondo sono qualcosa di estremamente vitale e complesso, che non è possibile ridurre o controllare secondo schemi prestabiliti. Come la natura di Prigogine, anche la società possiede una attività intrinseca che tende a sfuggire alla dominazione. L'azione politica non deve dunque essere funzionale al raggiungimento di un obbiettivo esterno, ma alla valorizzazione e messa in pratica delle qualità intrinsecamente sovversive della società. Esistono infatti un'infinità di aspetti nei rapporti sociali che si sottraggono per intero all'ottica utilitaristica del mercato. La dimensione dell'affettività, per esempio, segue percorsi accidentati e non lineari che non possono essere mai interamente piegati agli imperativi della società globale di mercato. Inoltre, le varietà delle culture tradizionali e dei loro sistemi di valori resistono naturalmente alla devastazione livellatrice del pensiero unico. Dunque il problema politico principale non è quale tipo di società creare, ma come mettere in pratica quegli elementi della natura umana e della società che sono sotto attacco ed allo stesso tempo si ribellano all'ordine costituito, in modo da trasformarli in fenomeni politici.
Torniamo alla scienza, per dire qualche altra cosa sul rapporto tra l'uomo e la natura.
La scienza classica "ha rivelato all'uomo una natura passiva e morta, una natura che si comporta come un automa, che, una volta programmato, segue eternamente le regole scritte dal suo programma". Nella fisica classica il distacco dell'uomo dalla natura lo rende padrone del mondo, ma allo stesso tempo anche terribilmente solo. "L'uomo moderno - scrivono ancora Prigogine e Stengers - è un uomo disincantato che si è svegliato dal suo millenario sogno per scoprire la sua solitudine completa, la sua estraneità radicale. Egli ora sa che, come uno zingaro, è ai margini di un universo che deve vivere". Come il personaggio di Kubrik in 2001 Odissea nello Spazio l'uomo moderno si è talmente emancipato dalle sue origini, ha eliminato ogni barriera ed ogni vincolo, che non gli resta altra strada se non vagare per un universo vuoto osservando se stesso. E' la realizzazione di un sogno che si trasforma immediatamente in un incubo. L'incubo si incarna perfettamente nella società americana figlia della filosofia del self made man (o, riportato in Italia, del berlusconiano farsi da solo). L'immagine ricorrente di questo incubo è quella di un uomo libero, libero di fare tutto quello che vuole, di inseguire tutto ciò che luccica e gli permette di essere libero. Quest'uomo lavora, compra , frequenta persone, gioca, ed è sicuro di se'. A guardar bene si vedono, però, chiari segni di un' angoscia sottostante, di un vuoto incolmabile. L'uomo moderno cerca disperatamente di trovare dei possibili bersagli su cui riversare la sua angoscia lacerante e a cui contrapporre dei rimedi: l'immigrato (con il divieto di accesso), il terrorista islamico (con la guerra), Erica ed Omar (con la psicologia ed il carcere), la depressione (con i farmaci), ecc. Non ci riuscirà mai fino in fondo.
La scienza indeterministica di Prigogine consiglia invece di riconsiderare profondamente il rapporto tra uomo e natura. Ovviamente Prigogine non è il solo, poiché questi temi sono patrimonio di culture sociali, religiose, filosofiche, ecc. diversissime tra loro eppure straordinariamente concordi su un fatto: l'uomo possiede un vincolo inscindibile con la natura, di cui è figlio. Il senso di appartenenza alla natura non è però qualcosa di cui rammaricarsi se la natura la si intende come "opera d'arte" (Platone), sorprendentemente creativa e produttrice di novità. L'irreversibilità del tempo, il divenire delle cose, la nascita dell'uomo e della sua capacità di osservare il mondo, produce ciò che Prigogine ha cercato di esprimere con il concetto di "Universo di partecipazione". L'uomo partecipa cioè continuamente, attraverso la vita e la sua capacità di osservare e comprendere, all'evoluzione dell'universo.
Come l'uomo partecipa all'evoluzione dell'universo allo stesso modo ogni uomo partecipa all'evoluzione della società. Ogni individuo per il fatto stesso di esistere e di avere delle relazioni con altri individui contribuisce alla costruzione della società. Se si vuole quindi avvicinare la politica alla società ed agli individui che la compongono bisogna pensare a come dar valore alla partecipazione. In altre parole, se Prigogine parla di universo di partecipazione, il movimento dei movimenti parla di politica di partecipazione (o democrazia partecipativa). La democrazia partecipativa è lo strumento attraverso cui trasferire la rivoluzione nella quotidianità, poiché ogni individuo produce, per il fatto stesso di partecipare, una rivoluzione nella collettività.
L'alternativa alla politica di partecipazione è la politica dell'esclusione. Negli ultimi anni è talmente cresciuta la distanza tra politica istituzionale e società che si teme purtroppo di aver raggiunto il fatidico punto di non ritorno. Il grosso guaio sta nel fatto che la politica dell'esclusione cresce e si afferma proprio contemporaneamente ad una erosione della società. La distanza dell'uomo dalla natura prospettato dalla tradizione della fisica classica diventa nella dimensione sociale postmoderna distanza dell'individuo dal corpo sociale, cioè assenza di relazione, impoverimento di ogni legame. L'individuo libero ed emancipato è colui che non dipende dagli altri perché non ne ha bisogno (se non per soddisfare alcuni interessi utilitaristici). In questo processo di dissoluzione l'illusione della libertà individuale coincide purtroppo con la distruzione dell'individualità stessa. Il rifiuto di ogni vincolo produce infatti una sorta di autismo narcisistico che condanna alla dipendenza assoluta nei confronti dell'infernale ciclo della produzione e del consumo, unica via per la realizzazione di se'.



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