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Intervista ad Alain De Benoist
(seconda parte)

di Michelangelo Cimino


Signor de Benoist, i giudizi sul suo comunitarismo provenienti da intellettuali italiani, di destra e di sinistra, sono in parte analoghi. Il rilievo che più ricorre, nelle analisi di costoro, riguarda il suo carattere fortemente intellettualistico, ideologico, poco attento alla realtà del qui e ora. Altri invece (Luigi Cavallaro, in "il manifesto" del 27.12.2002), vedono nel comunitarismo di destra, sempre e comunque un qualche " corollario di intolleranze religiose e/o razziali". Per quale motivo?

L'accusa di "intellettualismo" sembrerebbe al tempo stesso ridicola e inappropriata. Ridicola perché rimproverare ad un intellettuale di essere un intellettuale equivale a rimproverare un fioraio di essere un fioraio! In quanto intellettuale io cerco di comprendere (e di far comprendere) il mondo nel quale vivo attraverso delle analisi teoriche, che mi sembrano pertinenti. Qualunque cosa ne pensino gli spiriti frettolosi, un tale lavoro è alla base di ogni pensiero. La teoria precede sempre la pratica: gli Enciclopedisti precedettero la Rivoluzione, Marx venne prima di Lenin, la teologia precede la pastorale o il catechismo, la ricerca di base la tecnologia. Ma questo rimprovero è ugualmente inappropriato. E' sufficiente leggere i miei lavori per constatare che non ho mai smesso di guardare con attenzione agli aspetti più concreti della vita politica e sociale: le forme attuali della globalizzazione, il rinnovamento del movimento associativo, le condizioni per l'esercizio di una democrazia di base, le forme pratiche di una economia alternativa ecc. Il mio metodo consiste in un andirivieni tra l'analisi teorica e l'attualità.
Luigi Cavallaro ha ragione a denunciare l'intolleranza religiosa e/o razziale. Tutta la mia vita ho lottato contro l'intolleranza. E' precisamente per questa ragione che ho sempre posto la lotta in favore delle differenze culturali e delle identità collettive in una prospettiva di apertura e di dialogo. L'ideologia del Sé tende ad interdire il dialogo e a trasformarlo in monologo collettivo. La differenza è la condizione stessa del dialogo. Quand'anche si allinei ad una credenza religiosa, l'intolleranza si basa fondamentalmente sulla metafisica della soggettività: è sempre sull'Io o sul noi che poggiano i criteri della verità. Il nemico non è pertanto più soltanto un avversario, ma un nemico assoluto, una figura del Male. George W. Bush e la sua crociata contro l'"asse del male", Bin Laden e la sua "Jihad" , gli islamofobi à la Fallaci che mettono in guardia contro uno "scontro di civiltà", che essi in realtà auspicano, ragionano tutti allo stesso modo: "chi non è con me è contro di me". E' l'esclusione del terzo. Per me, al contrario, non ci sono che terzi. E' la ragione per la quale mi riconoscono pienamente nell'imperativo dialogico di un Martin Buber.

Richiesto di un commento intorno al suo acceso paganesimo pre-cristiano, Marcello Veneziani sostiene che annullare venti secoli di civiltà cristiana, dalla quale discendiamo, "significa avere un'immagine molto astratta delle nostre radici culturali" (in "Ora Locale", V, 2). Lo stesso Pietro Barcellona definisce questo suo (neo) paganesimo "intellettualistico e cerebrale"; e lo apprezza soltanto "nella misura in cui coglie una contaminazione popolare tra folklore e rito, senso della storia e grande utopia" (ivi). Allora le chiediamo: perché ne ha fatto uno dei perni della costruzione teorica della Nuova destra? Per amore di tradizione e degli autori (pensiamo a Julius Evola) che l'hanno mantenuta viva?

Sarebbe davvero ridicolo da parte mia pretendere di "annullare venti secoli di civilizzazione cristiana"! Non annullo proprio niente. Sono infatti troppo cosciente dell'importanza del cristianesimo che rimane oggi, attraverso il complesso fenomeno della secolarizzazione, molto grande, almeno nelle sue forme negative e profane - se si ammette con Marcel Gauchet, che il cristianesimo può definirsi storicamente come "la religione dell'uscita dalla religione".
Il mio interesse per il paganesimo non ha nulla a che vedere con una "tradizione" che ognuno ricostruisce a modo proprio, e meno ancora con Julius Evola, il cui pensiero mi è completamente estraneo. Questo interesse è di natura esclusivamente storica e intellettuale. Sul piano storico, lo studio dei millenni che hanno preceduto il cristianesimo restituisce all'Europa una dimensione di profondità. Sul piano intellettuale, mi sento più a mio agio quando leggo Cicerone o Omero che quando mi costringo nella lettura di Origene o di Sant'Agostino. Al pari di molti altri autori credo che la teologia cristiana abbia introdotto una certa quantità di temi, che trasposti nella sfera delle cose umane hanno giocato, a mio avviso, un ruolo storico negativo. Nel proclamare l'unità di una umanità chiamata a percorrere uno stesso cammino in avanti Agostino getta già le basi della ideologia del progresso. L'individualismo moderno non si comprende se non riferendosi al postulato cristiano secondo cui ognuno è in relazione diretta con Dio, attraverso il tribunale della propria coscienza. Lo sviluppo della tecnoscienza, con tutti i suoi effetti distruttivi è stato reso possibile attraverso un "disincantamento" del mondo attribuibile al monoteismo. E che, dopo la svolta cartesiana ha legittimato la volontà umana a trattare come oggetto il mondo e la natura. Tutte le forme classiche di tirannia, dall'assolutismo monarchico fino ai grandi totalitarismi moderni, traspongono nella vita terrena l'onnipotenza del Dio unico. L'idea stessa di una divinità unica, contrapposta a ciò che Max Weber chiamava il "politeismo dei valori" genera intolleranza e si oppone al pluralismo.
Sono consapevole che questa sintesi non può essere esaustiva di una tematica immensamente complessa (la querelle tra Hans Blumberg e Karl Löwith ne è un buon esempio). Tutto ciò può certamente apparire molto "intellettuale". E' tuttavia a questo genere di "ricerca genealogica" che lo storico delle idee non può sottrarsi.

La destra italiana, ora al governo, sta dando vita ad una sorta di ircocervo politico-culturale. Da un lato essa tende alla valorizzazione dei corpi intermedi della società (la Chiesa, le comunità), per creare radicamento e identità; e dall'altro, con Forza Italia punta alla disarticolazione dei partiti, anch'essi organizzazioni intermedie, la cui funzione si ritiene superata. L'obiettivo, secondo alcuni (cfr. Gabriele Turi, in "il manifesto", 17.12.2002) è quello di instaurare una democrazia diretta che elimini le mediazioni dei partiti e crei un filo diretto tra popolo e governo. Non trova che si tratti di una strana miscela di comunitarismo e populismo?

Non ho l'impressione che l'attuale destra italiana si preoccupi molto di valorizzare i corpi intermedi! Ho piuttosto l'impressione che si dia da fare per servire con zelo e sollecitudine le esigenze della Forma-Capitale. Ma è vero che lo fa con uno stile relativamente nuovo. Il governo Berlusconi incarna alla perfezione un insieme, finora inedito, di ultra-liberismo economico, di atlantismo, di populismo e di xenofobia. Questa combinazione, che mi fa orrore, si manifesta anche in altri paesi. Essa è con tutta evidenza chiamata a perdurare nei decenni a venire.
Il termine "populismo", oggi alla moda, resta tuttavia un termine che può ingenerare molti equivoci, in ragione della stessa sua polisemia. Il populismo non è a mio avviso un'ideologia, ma uno stile. Come tale può combinarsi con qualunque tendenza politica (nazional-populismo, populismo di sinistra, populismo liberale ecc.). In verità, il populismo può essere la migliore come la peggiore delle cose. La migliore quando permette al popolo, che si sente abbandonato e disprezzato dalla Nuova Classe politico-mediatica, di prendere la parola e decidere per se stesso la maggior parte delle questioni che lo concernono. Un tale populismo implica una democrazia forte, l'applicazione a tutti i livelli del principio di sussidiarietà, delle comunità vive radunate intorno ad un certo numero di valori condivisi. Il populismo diviene, al contrario, la peggiore delle cose quando permette a governanti o capi di partito di moltiplicare le promesse più contraddittorie, di legittimare la xenofobia assecondando passioni primarie, di dare un abito nuovo alla demagogia. Il primo populismo favorisce una più grande partecipazione dell'insieme dei cittadini alla vita pubblica. In ciò si rivela più democratico del sistema parlamentare liberale, oggi minato a causa di una crisi di rappresentatività. Il secondo sottolinea al contrario un'evidente arretramento del punto di vista democratico: favorisce l'influenza della espertocrazia [o tecnocrazia, ndt ], la rinascita dell'autocrazia, lascia intatto il dominio dei mercati finanziari, che costituisce il principale motore della globalizzazione e, infine, deteriora ancora di più il tessuto sociale. Purtroppo è questo "secondo" populismo che vedo manifestarsi oggi.

Infine, vorremmo sapere come si pone di fronte a quello che Veneziani (in La cultura della destra, Laterza editori) indica essere il maggior mutamento avvenuto negli ultimi anni nell'universo culturale della destra: ovvero il "passaggio" da una cultura elitaria e aristocratica, in "costante conflitto con la democrazia di massa", ad una popolare e populista? Lo accetta? Lo combatte? Lo ignora?

Meno ancora della sinistra, la destra non è un fenomeno unitario. E' dunque difficile parlare di una mutazione che l'avrebbe colpita nel suo insieme. Che alcuni uomini di destra abbiano compreso la necessità di abbandonare la vecchia inclinazione statalista o elitaria potrebbe essere sicuramente una buona cosa. Credo nondimeno che ciò non tocchi che una frazione della destra. La gran parte degli uomini di destra non ha ancora inserito nel proprio bagaglio culturale una vera esigenza democratica e popolare. Essi rimangono attaccati all'ordine morale come al modello del mercato; difendono il capitalismo liberale; mettono sotto accusa tutti coloro che impediscono il sorgere di un nuovo ordine mondiale. Il delirio islamofobo si coniuga oggi in maniera rivelatrice, all'apologia della crescita e dello "sviluppo", a una adesione acritica alla logica del profitto. La parola d'ordine della destra resta essenzialmente: "sempre più!". E' la ragione per cui ogni volta che un partito di destra arriva al potere si vede progredire l'implacabile logica del sistema del denaro, con il suo corteo di miserie, ineguaglianze ed esclusioni. La sinistra classica si oppone sempre meno a tale sistema, essendosi anch'essa convertita al modello del mercato. Si potrebbe a tale riguardo parlare di "estremismo del centro" (Uli Bielefeld). Da parte mia preferisco il brasiliano Lula da Silva all'italiano Berlusconi. Ma preferisco ancor più coloro che sono attenti a ciò che viene. La vera vita è altrove.



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