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Contro la guerra:
cooperazione e solidarietà, dialogo fra soggetti uguali e distinti

di Maria Carmen Caruso


Ci troviamo in un momento in cui l'intelligenza umana sembra sia divisa fra coloro che avevano presagito una guerra "coloniale", un "terzo conflitto mondiale", quasi fosse una fase congiunturale, di aggiustamento naturale di un settore trainante della vita odierna - l'economia - e coloro che considerano i tratti costituenti la civiltà occidentale un modello di felicità e libertà realizzabile e dunque sicuramente esportabile ovunque. In questa forbice si consumano e si susseguono analisi ed allusioni, teorie, progetti, istruzioni per l'uso.
Amyarta Sen è intervenuto sul Corriere della Sera dell'1.04.2003 sostenendo che la globalizzazione è un processo irreversibile e ormai consolidato, evidentemente penetrato nelle cose di ogni giorno e nelle abitudini di tutti, essendo non solo il prodotto di scelte economiche ed istituzionali ma un meccanismo di consenso intersoggettivo che si esplica a più livelli, attraversando forme di legislazioni e legittimazione, forze di pressione sociale, investendo e orientando storie comuni e destini condivisi. Di fronte a questo scenario, ciò che realmente spaventa è il vuoto, la vacuità di processi di riconoscimento ed interrelazione fra le strutture politiche e le moltitudini, le istituzioni e i nuovi attori sociali, indubbiamente portatori di bisogni e nuovi diritti.
Nonostante la corsa alla stesura di nuove carte dei diritti: umani, dei cittadini, dell'ambiente ecc., si rintraccia un motivo conduttore che sembra frutto di una nevrosi volta a legiferare all'infinito, non tanto per creare o rintracciare formule di relazioni di cittadinanza e di rispetto delle differenze, quanto volta a generare vincoli e costrizioni che limitano la libertà e la democrazia in tutti gli ambiti. Maldestro tentativo di stravolgere gli strumenti condivisi e di convivenza della comunità.
Queste sono le premesse necessarie per comprendere la ricchezza di cui è portatore il movimento che si oppone alla guerra, e che anche nella nostra regione è ampio e diffuso. Un movimento che si mostra con il volto di un' opinione pubblica sensibile, con le azioni dirette e non violente, con i gesti concreti di disobbedienza, con una alta capacità di porsi domande e cercare di fornire adeguate risposte. A Cosenza la mobilitazione contro la guerra, e le sue forme, ha forse definitivamente mostrato la crisi di rappresentanza, ma anche di riflessione e di analisi, dei partiti tradizionali, incapaci ormai anche su temi così vasti di creare la benché minima occasione di discussione e mobilitazione. Tutte le iniziative svoltesi a Cosenza hanno visto i partiti accodarsi stancamente, come se si trattasse di dover timbrare un cartellino di presenza. Eppure la partecipazione di giovani, studenti, cittadini, è stata formidabile e qualitativamente interessante. Il movimento cosentino, e probabilmente calabrese, non solo si è posto il problema interamente politico di opporsi alla guerra, ma è già in una fase di creazione di nuove opportunità: di confronto, di interlocuzione, di giustizia.
Da qui la parola d'ordine che questa nuova mobilitazione lancia a partiti, associazioni, cittadini e soprattutto amministrazioni locali: cooperare. Perché solo dall'incontro si pongono le basi per evitare gli scontri, solo dall'ascolto si produce comprensione. Lavorare insieme, far fluire tutte le domande e le diverse prospettive in una capacità propositiva, in progetti che diano senso e significato al lavoro politico, istituzionale e all'interazione sociale. Ancora una volta in una parola: cooperazione. E, si intende, ciò vale sia per gli aspetti interni (rinnovamento dei ceti politici, capacità di inventare politiche e nuove forme di rappresentanza), sia per le risposte da dare alla omologazione di culture e linguaggi e alle guerre preventive in corso, Iraq e Palestina in primis.
Proprio dall'esperienza dei movimenti, infatti, partiti e forme organizzate della politica tradizionale potrebbero da una parte prestare ascolto agli elementi di protesta alla base delle mobilitazioni e dall'altra mutuare, fare propria la capacità di proposta e di iniziativa messa in campo.
All'Università della Calabria, un gruppo di lavoro misto, di docenti, giovani ricercatori, collettivi studenteschi, associazioni cittadine, ha creato "Terra di Pace", una rete che ha coinvolto in gesti concreti di solidarietà e cooperazione - accoglienza profughi, scambi di studenti, analisi di esperienze, progetti di formazione professionale - oltre 15 comuni dell'entroterra cosentino che hanno già mappato la disponibilità all'accoglienza e agli scambi delle comunità locali.
In città una rete di associazioni, cattoliche e di movimento, è già all'opera per gemellaggi con città palestinesi e del Kurdistan, iniziativa che prevede scambi dal basso (assistenza per la creazione di imprese agricole e nel settore dell'artigianato), e interventi dall'alto ( raccolta di firme per delibere del Consiglio Comunale che impegni la Giunta a destinare piccole ma significative quote del bilancio alla cooperazione con le città del Medio Oriente). Ancora, sono in corso, sia all'Università che nelle scuole, proiezioni di film, rappresentazioni teatrali ed artistiche, mentre il Comitato "Fermiamo la guerra" ha svolto e continuerà a svolgere campagne di boicottaggio dei prodotti delle multinazionali e delle banche armate che finanziano la guerra.
Una adeguata sensibilità politica dovrebbe orientare i partiti politici calabresi a capitalizzare e a tradurre in percorsi politici, decreti e atti amministrativi l'energia che manifestano i movimenti e loro capacità propositiva e di azione concreta. In questo momento in cui anche in Calabria è vivace il dibattito su autonomia e decentramento solidale, sarebbe significativo che i partiti della sinistra si battessero, nelle prossime sedute del Consiglio Regionale, affinché nel nuovo Statuto della regione Calabria, oramai divenuto strumento giuridico costituzionale, siano contenuti principi e norme che legittimino pienamente la regione a concorrere ad esercitare funzioni di pace positiva nel più ampio contesto delle relazioni internazionali.



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