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Elezione primarie e rappresentanza politica

di Silvio Gambino *


1. L'idea di avviare una riflessione (non solo teorica) sulle elezioni primarie come opportunità per la riqualificazione della rappresentanza politica ha origine nel dibattito, ormai risalente, sul tema della democrazia nei partiti alla luce delle scelte imposte anche dalla nuova legge elettorale.
Per richiamare sul punto una legittima preoccupazione già espressa da studiosi autorevoli di questa materia, voglio subito osservare che la riflessione non intende altro che proporre un avvio della discussione sulla praticabilità e sui vantaggi (ma anche sui rischi) insiti nell'adozione di una simile procedura di selezione della candidature, in assenza di una legge in materia. Anzi, conviene dire fin da subito che, in un contesto normativo così caratterizzato, più di una perplessità deve essere sottolineata.
Una simile scelta potrebbe essere adottata forse da quelle nuove forze politiche che non hanno uno stabile e definito insediamento sociale e che sembrano non ricercarlo nelle tradizionali forme associativo-organizzative, caratterizzandosi le relative politiche di selezione di classe politica e le stesse funzioni di rappresentanza piuttosto in base a tecniche di marketing politico. Ma per tali forze politiche, come è noto, il problema non si pone, attesa la decisione verticistica delle candidature da parte del leader riconosciuto di questa formazione politica. Per le altre forze politiche, che sono espressione di un importante sforzo di revisione programmatica e ideologica nonché di riallineamento delle strutture partitiche alle nuove esigenze rappresentative della società contemporanea (come può dirsi dello schieramento delle forze politiche coordinate nell'Ulivo), una simile strategia nella selezione della classe politica potrebbe forse risultare vincente almeno nel breve periodo, consentendo una concorrenzialità interna fra forze politiche di centro e di sinistra. E ciò mi sembra predicabile tanto per il livello nazionale quanto per quelli regionale e locale.
Il punto di partenza della discussione che potrà rendere credibile e fertile la discussione concerne, innanzitutto, la questione, centrale, della democratizzazione della vita interna dei partiti e una diversa disciplina dei relativi rapporti con gli organi e i poteri costituzionali dello Stato e delle assemblee rappresentative territoriali, da realizzarsi (quest'ultima) con una regolamentazione legislativa delle più significative attività a rilevanza pubblicistica svolte dai partiti politici.
Non è chi non veda, infatti, come i partiti si siano ormai trasformati, dagli inizi di questo secolo in modo embrionale ed in seguito, nella presente fase, ed in modo sempre più netto e definitivo, in macchine organizzative sempre più chiuse in sé, autoreferenziali, ossificate nelle relative strutture burocratiche. I fatti disvelati a partire dai primi anni '90 confermano come simili macchine abbiano ormai perso gran parte della relativa qualità rappresentativa, per concentrarsi su tecniche di ricerca del consenso secondo modalità che poco attengono alle funzioni proprie del partito, che sono quelle della rappresentanza degli interessi dei cittadini per assicurarne il concorso alla determinazione della politica nazionale.
Tuttavia, l'orizzonte di fondo in cui si inscrivono queste riflessioni, in evidente contrasto con talune tesi pessimistiche sostenute da autorevoli studiosi, per i quali la legislazione elettorale maggioritaria distruggerebbe di per sé i partiti di massa (così come li abbiamo conosciuto almeno nell'ultima metà del secolo scorso), è nel senso di ritenere tutt'altro che conclusa la funzione rappresentativa dei partiti a favore di modalità rappresentative di tipo personalistiche, assicurate dal ruolo assolto dalle leadership, che troverebbero il loro pendant costituzionale in prospettive di nuovi assetti presidenzialistici delle istituzioni di governo del paese (sia che si pensi a formule di governo semipresidenzialistiche, come è avvenuto nei lavori della Commissione bicamerale cd D'Alema, sia che si pensi alle inopinate proposte attuali di elezione diretta del Premier, come se gli effetti maggioritaristici dell'attuale sistema elettorale non bastassero già a fare 'come se' fossimo già in presenza di una elezione diretta del Premier).

2. La proposta di introdurre il sistema delle primarie per la designazione delle candidature all'interno dei partiti si pone l'obiettivo di assicurare il "concorso" dei cittadini alla potestà di iniziativa nella funzione elettorale monopolizzata finora dai soli partiti politici.
Tale esigenza appare ancor più evidente se si considerano alcuni importanti elementi che contribuiscono a caratterizzare il vigente sistema della rappresentanza e vale a dire: a) che tra gli obiettivi primari della riforma elettorale vi era quello di un riavvicinamento e un più stretto collegamento tra rappresentanti e rappresentati; b) che nell'ambito del sistema elettorale per il Parlamento il 75% dei seggi viene attribuito in collegi uninominali ristretti; c) che a livello locale la nuova legislazione elettorale prevede l'elezione diretta dei vertici degli organi esecutivi. (La Regione Calabria sta adottando uno Statuto nel quale le previsioni per la forma di governo, pur fondandosi su procedure di tipo simil-parlamentari, nella realtà, adottano un modello di elezione diretta del capo dell'esecutivo regionale (ma di questo potremo parlare più specificamente in altra occasione, se la Rivista lo vorrà) integrato da regole di iper-razionalizzazione parlamentare secondo il noto brocardo aut simul stabunt aut simul cadent).
Il sistema delle elezioni primarie per selezionare i candidati alle elezioni generali nei diversi livelli di governo nasce negli Stati Uniti e si diffonde soprattutto negli stati dove si era determinato un mono-partitismo effettivo, in cui le elezioni rappresentavano sostanzialmente un ratifica alle candidature scelte all'interno dei partiti. La disciplina dell'intero procedimento elettorale, di cui l'elezione primaria costituisce la prima fase, è affidata alle leggi dello stato e i legislatori statali hanno attuato nel tempo diversi modelli di primarie (aperte, chiuse, neutre) differenziando i requisiti per parteciparvi. Attualmente, in quasi tutti gli stati è adottato tale sistema di elezione dei candidati, sia per il livello di governo federale che per quelli statali e locali. Negli Stati Uniti, le primarie, sebbene aperte, rimangono primarie di partito; in Italia invece si andrebbero a configurare come primarie di schieramento, con tutti i problemi, non solo tecnici, ma politici, dell'organizzazione di primarie "non per un partito", ma per una coalizione che presenta al suo interno uno o più partiti politicamente e numericamente predominanti.
Poichè il sistema delle primarie separa il corpo elettorale in più aree di appartenenza, risulta indispensabile individuare criteri che consentano la ripartizione degli elettori per aree omogenee. Inoltre, mentre alla competizione elettorale effettiva possono concorrere liberamente tutti coloro che, in possesso dei requisiti richiesti e che adempiano le prescrizioni previste dalla disciplina elettorale (raccolta delle firme per la presentazione della candidatura, accettazione) intendano parteciparvi, alle elezioni primarie di un partito o di uno schieramento è indispensabile che partecipino solo soggetti legati da un vincolo di affinità se non più ideologico, certamente politico e programmatico.
Il problema è quello di definire, da un lato, il complesso di regole da utilizzare per individuare chi vota, chi viene votato e come si vota e, dall'altro, il grado di rigidità della regolamentazione, vale a dire se uniformare e definire compiutamente una puntuale disciplina normativa del sistema da adottare (sistema istituzionalizzato) ovvero fissare legislativamente principi di carattere generale e riservare all'autonomia di ciascun partito o rassemblement, in quest'ultimo caso sulla base di un accordo tra le parti della coalizione, le soluzioni di tecnica elettorale.
Con riferimento a quest'ultimo aspetto, va detto chiaramente che una disciplina legislativa organica di un sistema di elezioni primarie risulta oltremodo complessa e di non semplice attuazione, intrecciandosi per un verso con profili di carattere preminentemente politici relativi ai rapporti di forza politici tra i partners delle diverse coalizioni e, per un altro, con delicati profili di carattere giuridico e costituzionale inerenti al diritto di elettorato passivo e allo stesso diritto dei partiti (di natura privatistica).
Per quanto riguarda l'individuazione di chi vota, le elezioni primarie possono suddividersi in due grandi categorie, le primarie chiuse, vale a dire limitate ai soli iscritti all'organizzazione, oppure primarie aperte che prevedono la partecipazione di soggetti e/o gruppi di non iscritti e che necessitano pertanto di una più articolata regolamentazione. Nel caso delle primarie chiuse, sarebbe opportuna una chiara e precisa individuazione dello status di iscritto al fine di evitare artificiose e troppo tempestive campagne di adesioni pre-elettorali al solo malcelato scopo di condizionare le scelte delle candidature.
Qualora, invece, s'intenda estendere la partecipazione alle primarie anche ai non iscritti alla organizzazione, come suggerisce peraltro la tendenza verso la formazione di coalizioni di partiti emersa a partire dalle elezioni (politiche) del 1994 e ulteriormente consolidatasi in occasione delle successive tornate amministrative, la soluzione più appropriata parrebbe/appare quella di primarie aperte, in modo che sia garantita la partecipazione e il voto anche ai non iscritti che intendano parteciparvi uti singuli o in qualità di appartenenti ad associazioni esterne, movimenti o gruppi collaterali riconosciuti come portatori di interessi e valori comuni, che la coalizione ritiene di dover rappresentare.
Nel caso delle primarie aperte il problema che si pone è pertanto quello di garantire che ogni elettore partecipi alle primarie di un solo partito o di un solo rassemblement. Negli Stati Uniti, dove tale sistema ha trovato applicazione in magna pars delle competizioni elettorali, la sua funzionalità viene garantita da una consolidata sperimentazione fondata, da un lato, su un sistema politico rigidamente bipartitico cui fanno capo praticamente tutti gli eletti o i candidati a cariche pubbliche nazionali o locali e sulla funzione di garanzia svolta dagli stessi partiti verso i partecipanti alle primarie sia riguardo alla loro effettiva appartenenza all'area politica del partito sia riguardo al rispetto degli accordi impliciti nella partecipazione alle primarie, dall'altro, sulle procedure di tipo autoselettivo utilizzate dagli elettori che per partecipare alle primarie di un partito o di un altro devono registrarsi preliminarmente.
Non rinvenendosi nel vigente sistema politico-istituzionale alcuna di tali condizioni e, nel caso di auto-iscrizione, considerata la situazione di privilegio di cui godrebbero le collaudate organizzazioni dei partiti di massa ai fini della mobilitazione e della registrazione degli iscritti, la soluzione alternativa potrebbe essere rappresentata dal rilascio di una sorta di pre-certificato elettorale a tutti gli elettori, utilizzabile in una sola elezione primaria al fine di impedire la partecipazione dello stesso elettore a più primarie, anche se va precisato che tale previsione non garantisce affatto la fedeltà dell'elettore stesso, vale a dire che alle primarie di un partito o di un'area politica votino esclusivamente elettori che effettivamente alle elezioni sceglieranno quella formazione politica. Come si può osservare, un qualche profilo regolativo (legale o convenzionale ma sanzionabile almeno politicamente) si rende assolutamente necessario per la praticabilità delle primarie.
In tale quadro, il problema di chi vota nelle primarie, pur con il rischio di qualche inquinamento, appare, almeno sul piano della tecnica elettorale, facilmente risolvibile.
Certamente più complessa risulta l'individuazione di chi viene votato. Se il sistema politico è fortemente strutturato in senso bipartitico si avrà un livello molto elevato di apertura per quanto riguarda le singole candidature, in quanto è lo stesso partito a garantire il sistema di accordi su cui le primarie si basano e dei centri di mobilitazione di risorse per le campagne elettorali.
Di contro, con particolare riferimento all'attuale configurazione del sistema politico italiano, l'attenzione andrebbe/va incentrata verso un sistema di primarie aperte alle quali partecipino diversi partiti, gruppi e movimenti compresi in una coalizione politico-programmatica ed elettorale. In tal caso, rispetto al primo modello descritto si registrerà, verosimilmente, una forte chiusura a livello di candidature in quanto ciascun partito della coalizione tenderà a presentare un solo candidato per accrescere le possibilità di successo alle primarie. In altri termini, nell'ambito di primarie di coalizione che coinvolgono più partiti la scelta avviene sulla base di meccanismi con una minore apertura concorrenziale e di competitività.
La partecipazione dei candidati alle elezioni primarie di uno schieramento politico, da un lato, corrisponde a un contratto preliminare implicito per la formazione di un'alleanza (o coalizione) elettorale, dall'altro, definisce i termini di una gara tra i contraenti, in cui prevarrà la personalità che avrà il compito di rappresentare effettivamente la coalizione alle elezioni. Risulta evidente che, per reggere tale accordo, deve necessariamente fondarsi su un gentleman's agreement tra tutti i candidati alle primarie, con l'impegno da parte degli sconfitti a rinunciare a presentarsi alle elezioni effettive e di assicurare comunque una leale collaborazione al candidato risultato vincente.
Tuttavia, al fine di rafforzare le garanzie di serietà delle candidature e di impedire la presentazione di candidati di disturbo appare opportuno/necessario istituire un collegio di garanti che sottoscriva le diverse candidature. Tale previsione potrebbe essere rafforzata dall'obbligo di presentazione per ogni candidatura di un certo numero di firme e dall'imposizione di prestazioni di carattere finanziario da destinare in parte alla campagna elettorale del singolo candidato all'elezione primaria e in parte alla campagna elettorale della coalizione alle elezioni effettive.
Le soluzioni ora prospettate lasciano tuttavia ancora irrisolto quello che si ritiene il nodo centrale del procedimento di selezione delle candidature, vale a dire la determinazione di un sistema di vincoli idoneo a limitare il potere condizionante dei vertici degli apparati partitici e, all'interno della coalizione, l'influenza dei partiti più forti e più efficacemente organizzati.
L'orientamento prevalente, del resto, correla il livello di affermazione del ruolo dei partiti all'interno del sistema politico-istituzionale anche alla previsione di meccanismi procedurali e di una legislazione elettorale che ha indubbiamente favorito la configurazione della vigente forma di governo verso un sistema di Parteienstaat (Stato dei partiti) e lo strapotere degli apparati partitici nei processi di selezione della rappresentanza. A questo proposito, non può sottovalutarsi l'influenza della normativa e dei criteri adottati per la presentazione delle liste sia per le elezioni politiche che per quelle amministrative. In particolare, nel corso del primo quarantennio repubblicano, si è assistito in materia ad un profondo rivolgimento che, da una concezione individualistica e molecolare, propria dello Stato liberale che ignorava del tutto il ruolo dei partiti politici e riservava la presentazione dei candidati ai gruppi elettorali, ha via via condotto ad individuare nei partiti politici i soggetti legittimati a proporre le candidature, esentando i partiti rappresentati nelle assemblee parlamentari dall'onere della raccolta delle sottoscrizioni. Tale previsione è stata abrogata solo di recente con l'emanazione delle leggi n. 276 e n. 277 del 1993 per l'elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, che hanno disciplinato la materia in modo da conseguire nella fase di presentazione delle candidature una par condicio tra tutti i candidati, sia nell'ambito dei collegi uninominali, che nell'ambito delle liste per l'attribuzione della quota proporzionale alla Camera dei Deputati.

3. Si è già rilevato come l'adozione di un sistema maggioritario, o quantomeno prevalentemente maggioritario, mal si concili con le obsolete prassi della cooptazione e del cursus honorum che rendevano automatica per i dirigenti di partito la candidatura e, il più delle volte, l'elezione nelle assemblee rappresentative nazionali o locali.
La soluzione potrebbe allora essere rappresentata dalla previsione di una incandidabilità assoluta rivolta agli inquisiti per reati specifici, come corruzione e concussione e violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti e di una incandidabilità relativa per i vertici locali e regionali dei partiti e coordinatori di organizzazioni elettorali di partito o di coalizione (ad esempio responsabili locali e regionali), vale a dire per tutti coloro che, in virtù delle cariche rivestite nel partito o nella coalizione, possono influenzare le designazioni delle candidature.
L'adozione di tale meccanismo andrebbe limitata ai collegi uninominali per Camera e Senato (la riflessione per il livello regionale andrebbe modulata con riferimento alla nuova legge elettorale regionale, ancora in corso di elaborazione), mentre potrebbe prevedersi una riserva di una quota di candidati di partito nella lista rigida per la ripartizione proporzionale, che andrebbe, tuttavia, completata ed eventualmente integrata e modificata attraverso lo strumento delle primarie.
La dinamica della legislazione elettorale ha registrato, peraltro, profondi mutamenti anche per quanto riguarda la disciplina della legittimazione elettorale passiva, attraverso una previsione divenuta sempre più dettagliata e complessa riguardante i casi di ineleggibilità e di incompatibilità, con rilevanti conseguenze ai fini della definizione dei meccanismi di selezione della classe politica, soprattutto di quella locale.
Il processo di articolazione democratica culminato nella crescita degli istituti rappresentativi e partecipativi ai diversi livelli, verificatosi soprattutto a partire dagli anni '70, ha comportato un aumento considerevole delle cariche elettive, rendendo sempre più estesa ed intricata la problematica relativa ai casi di ineleggibilità ed incompatibilità. In tale quadro, si è resa sempre più opportuna una regolamentazione della materia e l'introduzione di controlli sempre più incisivi, al fine di impedire condizioni di captatio benevolentiae e di metus potestatis nei confronti degli elettori o di conflitto di interessi nell'esercizio delle cariche elettive.
In tale quadro, considerata la particolare valenza costituzionale di ogni limitazione al diritto di elettorato passivo, soprattutto qualora s'intenda procedere in tempi brevi all'introduzione di un sistema di elezioni primarie che avvii un processo di redistribuzione e di riqualificazione della funzione di rappresentanza politica, appare preferibile ricorrere (pur nell'ambito di una auspicata disciplina normativa che stabilisca principi generali validi per tutte le organizzazioni politiche che partecipano alle elezioni) un sistema non istituzionalizzato, di autoregolamentazione dei criteri di limitazione delle candidature alle primarie, concordato all'interno di ciascuna coalizione dalle diverse componenti del rassemblement e che, da un lato, si adatti alle esigenze di ciascun raggruppamento, ma che soprattutto non implichi sul piano legislativo una limitazione del diritto di elettorato passivo. Un'ulteriore limitazione alla possibilità di candidarsi potrebbe riguardare quei soggetti già appartenenti ad organismi rappresentativi o ad esecutivi locali o regionali e la cui eventuale candidatura ed elezione rendesse necessarie elezioni suppletive. Il riferimento è in particolare al c.d. "partito dei sindaci": la ratio della l. n. 81 del 1993, fondata sulla legittimazione diretta del vertice degli esecutivi locali e sul principio del governo di legislatura quali condizioni indispensabili per il completo svolgimento dello schema classico della responsabilità politica, appare in stridente contrasto con l'ipotesi di candidature, certo già positivamente sperimentate nell'ambito di elezioni dirette e dunque collaudate sul piano della rappresentatività e della efficacia elettorale, ma che aprirebbero intollerabili vuoti istituzionali mettendo a repentaglio il rinnovato rapporto tra cittadini ed istituzioni locali rinsaldato dalla nuova legge sull'elezione diretta dei vertici degli esecutivi dei comuni e delle province.
Il problema, peraltro, non è solo quello di costruire una rete di limitazioni od esclusioni, ma anche quello di delineare criteri di accesso alle candidature che premino la rappresentatività e intessano solidi collegamenti con la società civile e con la comunità che il candidato aspira a rappresentare.
In tale chiave, dovrebbe prevedersi, nella scia del modello americano, la ricandidabilità alle primarie per i detentori del seggio eletti nel collegio uninominale e, nel caso delle elezioni amministrative e regionali, per i vertici degli esecutivi uscenti, vale a dire per quei soggetti che hanno già ricevuto una investitura popolare e il cui operato politico-amministrativo, secondo il pieno svolgimento del principio della responsabilità politica, deve essere in qualche modo sottoposto al giudizio degli elettori e all'esercizio del loro potere di premio/sanzione che, nella fattispecie delle elezioni primarie, verrebbe ad esplicarsi all'interno di un collegio elettorale speciale.
Qualora si consolidasse l'orientamento per l'adozione di primarie aperte, un altro circuito preferenziale ai fini della selezione delle candidature andrebbe individuato per coloro che abbiano avuto una designazione da parte di organizzazioni collaterali non partitiche, ma ricomprese nell'area politico-culturale della coalizione e portatrici di interessi e valori comuni da rappresentare.
Infine, un altro aspetto da considerare è quello dell'individuazione di un circuito di selezione di candidature e di rappresentanza delle donne nelle assemblee elettive che, tenendo conto sia dell'orientamento recentemente espresso dalla Corte Costituzionale (sent. n. 422) sull'illegittimità costituzionale dell'art. 5 della l. n. 81 del 1993, sia della recenti revisioni costituzionali (art. 117, VII co. e art. 51 Cost.) favorisca, fin dalla fase della candidatura, una parità di condizioni nell'esercizio e nel godimento del diritto elettorale passivo tra uomo e donna. A questo proposito la Corte costituzionale ha rilevato che la previsione di quote, costituzionalmente illegittime se imposte per legge, possono essere invece valutate positivamente ove liberamente adottate dai partiti politici, associazioni o gruppi che partecipano alle elezioni, anche con apposite previsioni dei rispettivi statuti o regolamenti relativi alle modalità di presentazione delle candidature. È peraltro interessante osservare che il Parlamento europeo, con la risoluzione n. 169 del 1988 ha rivolto ai partiti e non ai governi o ai Parlamenti nazionali l'invito a stabilire quote di rappresentanza riservate alle donne.
Se, come suggerisce la più recente tendenza alla formazione di schieramenti coalizionali contrapposti, è preferibile indirizzarsi verso primarie aperte il problema più complesso, sul piano metodologico, appare quello di definire le modalità di votazione (come si vota), in modo da garantire tutte le componenti della coalizione e ridurre l'influenza dei gruppi più forti e organizzati. Alla luce di queste osservazioni, che trovano la loro origine nel processo di difficile riallineamento in atto nel sistema politico, pertanto, occorre inquadrare il tema in esame nell'ambito del ruolo costituzionale dei partiti politici e dei principi costituzionali sulla partecipazione politica, intesa sia come libertà, che come procedura democratica fondata sul principio di uguaglianza elettorale.
Il problema delle regole inerenti alla partecipazione di partiti e candidati alle primarie, a causa della particolare valenza politica della questione e della necessità di differenziare i sistemi di votazione a seconda dei diversi livelli di elezione a cui le primarie sono destinate, impone una necessaria elasticità della relativa regolamentazione, con l'esclusione di standardizzazioni e rigide imposizioni dall'esterno, pur nel quadro di sicuri e semplici principi di fondo (criteri di individuazione dei votanti, estensione del metodo delle primarie a tutti i partiti e/o coalizioni, voto personale, uguale e segreto, rigide procedure di controllo delle candidature). L'adozione delle primarie appare peraltro altrettanto auspicabile per la scelta dei nominativi da inserire nella lista bloccata per la Camera dei Deputati nell'ambito della quota proporzionale (per l'attribuzione del 25% dei seggi). La previsione di una lista rigida si espone, infatti, a forti perplessità in quanto l'elezione dei candidati in base all'ordine di presentazione in lista appare contraddittoria rispetto allo stesso obiettivo della riforma elettorale di ridurre l'influenza degli apparati partitici sulla scelta delle candidature e degli eletti. La ratio di tale meccanismo appare oltremodo chiara: si tratta del tentativo di mantenere un residuo vantaggio per i candidati di apparato, che se non eletti nel collegio possono sempre sperare in una elezione "imposta" dall'ordine di presentazione nella lista della circoscrizione deciso dai vertici del partito o della coalizione, qualora l'accordo politico sia così solido da indurre i partiti a presentare una lista unitaria anche nella quota proporzionale.
In tale chiave, la determinazione dei nominativi da includere nella lista bloccata non può prescindere da procedure democratiche di selezione e di controllo che innalzino la capacità rappresentativa dei candidati. Qualora la scelta delle candidature riguardi, come nel caso già prospettato per la ripartizione dei seggi nella quota proporzionale per la elezione della Camera dei Deputati, ma anche per la formazione delle liste regionali che concorrono con sistema maggioritario all'attribuzione di 1/5 dei seggi del Consiglio regionale (art. 1 della legge n. 43 del 23 febbraio 1995), liste di partito o di coalizione, le ipotesi possono andare da liste del tutto aperte, con il numero di posti disponibili ricoperto progressivamente dai candidati più votati o, in subordine, da liste di nominativi interamente designati dalle dirigenze dei partiti e/o della coalizione, ma suscettibili di modifiche, cancellazioni ed integrazioni nel corso di elezioni primarie.
La prima soluzione può favorire i gruppi più numerosi interni al partito o a ciascun partito della coalizione che presentino un alto livello di coesione e capacità di alleanza ovvero determinare un livellamento nella concentrazione delle preferenze, con esiti molto squilibrati con candidati che superano la soglia con pochi voti, mentre la seconda ipotesi, quella della lista interamente predeterminata, rende difficilmente realizzabile la possibilità per gruppi esterni alla organizzazione di partito di poter apportare modifiche sostanziali (attraverso cancellazioni e/o aggiunte) alla lista stessa.
Una soluzione intermedia che riuscirebbe a contemperare le esigenze di rappresentanza dei gruppi dirigenti e visibilità dei partiti che compongono la coalizione con quelle di partecipazione democratica nei processi di selezione delle candidature, potrebbe essere configurata, come già accennato, dalla predisposizione da parte delle forze politiche di liste di nominativi di apparato che coprano solo per metà il numero di candidature disponibili, con la possibilità di procedere attraverso le primarie sia all'integrazione del numero di candidati delle liste stesse che ad eventuali cancellazioni o modifiche.
Sul problema, in apparenza squisitamente tecnico, ma a forte valenza politica, delle modalità di espressione del voto è stato proposto di ricorrere a forme di rappresentatività statistica, attraverso l'utilizzo delle sofisticate tecniche di sondaggio o il metodo del campione. È incontestabile che tali strumenti renderebbero impraticabile qualsiasi tipo di mobilitazione organizzata o di pressione da parte degli apparati a favore di candidati di partito, tuttavia, va ben evidenziato che la tecnica del sondaggio presenta elevati rischi di imprecisione sia con riguardo alla individuazione degli effettivi sostenitori del partito o della coalizione che, ancor di più, in caso di scarti minimi tra i candidati (si pensi a questo proposito al deludente rendimento degli exit poll in occasione delle recenti elezioni).
Ma la remora più rilevante all'utilizzo delle tecniche statistiche per l'espressione del voto alle primarie è costituito dal grave rischio di un surplus di personalizzazione - già di per sé insito nel sistema delle primarie (come conferma la esperienza nord-americana) - e che potrebbe trasformare uno strumento di cui si auspica l'adozione per la sua capacità di accrescere il livello di partecipazione e di dibattito nel circuito politico in un moltiplicatore delle tendenze alla personalizzazione nell'ambito del confronto politico e della contesa elettorale. Non può sottacersi, infatti, come la tecnica del sondaggio applicata alle primarie svilirebbe le potenzialità di rigenerazione e di apertura verso l'esterno della "forma partito" attribuite a tale meccanismo, riducendole a mera procedura di designazione del candidato più gradito, senza alcuna attenzione alle esigenze di riflessione, di confronto e di dibattito sulle opzioni e sui programmi di cui i singoli candidati sono portatori e che di contro costituiscono elementi determinanti della funzione di concorso individuata dall'art. 49 Cost.
Discutiamone senza mitizzazioni eccessive e senza demonizzazioni di principio.

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* Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università della Calabria



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