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Leopardi e il sublime nell'ultimo libro di Raffaele Gaetano

di Giuseppe Muraca


L'interesse degli studiosi su Leopardi e il sublime si è quasi sempre limitato a indicare quanto la trattatistica antica e moderna sull'argomento abbia influito sulle idee poetiche coltivate e argomentate nello Zibaldone e in altri scritti teorici, tralasciando invece di esaminare e di illuminare in maniera approfondita l'altro aspetto, altrettanto significativo, riguardante gli effetti dell'applicazione del sublime (come categoria retorica derivante dal Pseudo Longino e come categoria estetica elaborata dalla ricezione settecentesca del Perì hypsous, che è da considerare un "testo-chiave della teoria ellenistica dell'arte, e caposaldo della storia filosofica e letteraria moderna") sugli esiti formali della poesia del recanatese e il rapporto tra le riflessioni teoriche dello Zibaldone e le scelte stilistiche dei Canti.
Si tratta di un tema di particolare importanza che Raffaele Gaetano, docente di Estetica alla Facoltà di Architettura dell'Università di Reggio Calabria, ha posto al centro del suo ultimo poderoso volume (Giacomo Leopardi e il sublime, Prefazione di Giovanni Lombardo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, pp. 503, Euro 15,00), da cui in futuro gli studiosi e i lettori più attenti di Leopardi difficilmente potranno prescindere.
E i meriti di questo libro sono davvero tanti; a cominciare dalla cura e dal disegno di carattere metodologico che lo sorreggono. Infatti, muovendo esplicitamente dal modello teorico che il grande filosofo francese Michel Foucault ha fissato nel suo libro L'archeologia del sapere, lo studioso lametino, che ha già alle spalle numerose pubblicazioni sull'opera leopardiana, ha cercato di ricostruire "le fonti del sublime leopardiano [e] l'articolato percorso che l'idea ha assunto nell'esperienza estetica del recanatese", nel suo continuo e serrato dialogo con il trattatello di Longino, con la retorica e l'estetica antiche, nel quadro storico-culturale del suo tempo e del dibattito teorico e letterario che si è sviluppato nel corso del settecento e nei primi decenni dell'ottocento in Europa e in Italia. Si tratta di un approccio metodologico molto originale e suggestivo, tanto è vero che leggendo questo libro viene proprio in mente la figura dell'archeologo che va alla ricerca di tutti quei segni e di tutti quegli indizi, anche i più trascurabili, che gli permettono di ricostruire nei suoi vari aspetti quelle antiche civiltà ormai cancellate dal tempo e dagli eventi storici successivi.
Il presupposto da cui muove il saggio di Gaetano sta nella ferma convinzione che quella del "sublime è un'idea-forza alla quale lo scrittore ricorrerà costantemente nel corso degli anni, una sorta di stella polare la cui luminescenza si fa sempre più abbacinante in coincidenza del maturare della sua riflessione teorica"; e dopo aver ricostruito la mappa delle letture che Leopardi ha effettuato sull'argomento nel corso della sua complessa e bruciante esperienza intellettuale ed esistenziale, lo studioso lametino ha esaminato criticamente, tappa dopo tappa, alcuni dei principali momenti dell'opera leopardiana (dal Discorso di un italiano sopra la poesia romantica, alle canzoni All'Italia e Sopra il Monumento di Dante, dallo Zibaldone a L'Infinito, alle Operette morali, ecc.) e alcuni termini-chiave del suo pensiero estetico (il sublime, appunto, il bello, la grazia, il genio, l'eleganza, ecc.).
L'indagine è stata condotta direttamente a Recanati, nella Biblioteca di Palazzo Leopardi, sui libri che il recanatese effettivamente lesse, e svolta su vari piani: filologico, stilistico, teorico e storico; mentre la fitta e intricata rete di rimandi e di rifrangenze che capitolo dopo capitolo viene istituita nel libro fra la figura del Leopardi e i suoi molteplici modelli e riferimenti teorici e letterari non solo sta a testimoniare la rara capacità dimostrata dall'autore di padroneggiare un argomento così complesso e una documentazione a dir poco immensa, ma anche la sua non comune sensibilità estetica e critica.
Giacomo Leopardi e il sublime è senza dubbio un'opera di grande erudizione, ma niente affatto noiosa, che all'analisi rigorosa e "scientifica" dei documenti unisce uno stile sempre vigile e limpido e che porta un prezioso contributo alla conoscenza del pensiero teorico ed estetico del poeta recanatese su alcuni aspetti poco indagati della sua multiforme attività letteraria. Da questo punto di vista particolarmente significative e stimolanti mi sembrano le pagine dedicate alla polemica tra "classici e romantici" e all'interpretazione del celebre canto L'Infinito.
In sostanza, dal discorso lucido e appassionato di Raffaele Gaetano emerge un ritratto del Leopardi in parte diverso, e sicuramente più ricco e più suggestivo da quello disegnato e diffuso dalle diverse tradizioni critiche; un discorso serrato che ci restituisce in tutta la sua complessità una delle figure centrali della moderna cultura italiana ed europea.



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