Mario Alcaro nell'ultimo numero di "Ora locale" ricordava l'idea di fondo da cui prese le mosse la rivista, la convinzione cioè che lo sviluppo capitalistico sia ormai entrato in una "fase regressiva, involutiva, di senescenza". Il che non vuol dire ritornare a teorizzare il crollo del capitalismo ma avere coscienza della fine della sua
"fase ascendente, progressiva", del prevalere del dominio sulla capacità di direzione morale e intellettuale che pure la crisi irreversibile del socialismo reale sembrava conferire al modo di produzione capitalista.
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Note
(1) A.Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di V.Gerratana, Torino, Einaudi,1975, p. 2165
Il tema per alcuni aspetti riguarda storicamente e culturalmente la stessa tradizione rivoluzionaria del secolo scorso, l'idea del socialismo come governo operaio dell'organizzazione del lavoro capitalista e come capacità di massima estensione dello sviluppo delle forze produttive.
D'altronde il metodo Ford anche a Gramsci era sembrato "razionale", era il punto più avanzato di un processo iniziato con lo stesso industrialismo, certo una fase più "intensiva" più "brutale" delle precedenti, ma che sarebbe stata superata con la creazione di un nuovo "nesso psico-fisico" differente e di "un tipo superiore" (1).
Affermazioni che, insieme ad altri passi dei Quaderni, attribuiscono, al capitalismo, come d'altra parte fa Marx, una funzione "civilizzatrice", all'americanismo il maggiore sforzo collettivo attuato, con una coscienza del fine mai vista prima, per creare un nuovo tipo umano.
Oltre la riflessione teorica, il modello industriale prodotto dal capitalismo ha orientato la ricerca del "recupero" che ha caratterizzato in profondità le stesse rivoluzioni radicali del ventesimo secolo. Il socialismo si configurava come un capitalismo senza capitalisti, come sviluppo accelerato delle forze produttive che conservava dell'ordine dominante soprattutto il culto per la disciplina, per la gerarchia, per l'organizzazione del lavoro capitalista.
Solo inizialmente e successivamente solo nel pensiero di alcuni intellettuali il socialismo è stato interpretato come il prodotto dello sviluppo di una reale capacità di autogoverno. Elemento che non sfugge a Gramsci per il quale la questione di fondo è pur sempre quella della riappropriazione collettiva del processo decisionale in ambito politico e produttivo che è poi la condizione perché il socialismo porti a compimento lo sviluppo tecnico e scientifico ereditato dal capitalismo.
Ma al di là delle peculiarità del pensiero gramsciano, il socialismo reale ha costruito la sua identità sulla capacità di "recuperare", in quanto anche vittima della polarizzazione (2), contribuendo ad alimentare una pedagogia dell'innovazione economica e sociale che ha assunto a riferimento gli idealtipi della modernizzazione capitalista. Un fenomeno in primo luogo culturale che Piero Bevilacqua sintetizza nell'espressione "paradigma emulativo"; che è stato assunto anche a bussola di navigazione storiografica e indica "quel fondo di razionalità indiscussa, quell'insieme di criteri di valori con cui, da quando esiste la storia dell'economia, gli storici giudicano - comparando una realtà materiale sulla base della logica binaria avanzato-arretrato, sviluppato-sottosviluppato, efficiente-inefficiente, antiquato-moderno, ecc.". Ovviamente "il metro di giudizio per applicare una tale logica intrinsecamente comparativa, valida per tutte le realtà prese in esame, è costituito dall'area sociale che ha realizzato per prima determinate innovazioni tecnico-produttive" (3).
Una vera e propria letteratura emulativa ha creato un circuito di comunicazione internazionale, costituendo il lievito culturale, lo stimolo permanente che ha spinto prima i paesi occidentali e successivamente quelli socialisti e le ex colonie, a inseguire i territori che si erano mossi più avanti sul terreno dell'innovazione economica e tecnologica.
Da questo punto di vista anche "la cosiddetta questione meridionale - vale a dire la tradizione di analisi e di denuncia della diversità meridionale e della sua arretratezza rispetto al resto d'Italia - non è che una pagina, certo carica di altre specifiche ragioni, soprattutto di ordine politico e statale, di questa ideologia emulativa che ha percorso l'Occidente nell'età della sua trasformazione capitalista". In tanta letteratura meridionalista è rintracciabile "un frammento di quello sforzo generale di fare assomigliare le aree ad economie tradizionali a quelle trasformate dalle innovazioni tecniche e produttive e dai mutamenti sociali indotti dal capitalismo trionfante"(4).
Oggi gli elementi "progressivi" di quella tensione e di quell'inseguimento si sono indeboliti o sono scomparsi. Di fatto l'economia non necessariamente trascina con sé esiti di progresso, siamo di fronte a resti in frantumi di un meccanismo che sembra essersi spezzato, si è consumata la frattura tra crescita economica e progresso, è sempre più evidente il carattere problematico del nesso sviluppo economico - occupazione, la polarizzazione sociale a livello planetario, la messa in crisi degli equilibri ambientali e il deperimento delle risorse.
C'è di più, lo sviluppo capitalistico, come è stato più volte sottolineato, riconduce alla sua logica l'insieme delle attività sociali e ogni ambito vitale; un fenomeno graduale e secolare che ha dissolto ogni legame sociale e oggi non lascia intravedere alcuna possibilità di ricomposizione, anzi la disintegrazione sembra essere l'esito di un movimento di riproduzione della ricchezza astratta, che necessita di ridurre ogni relazione sociale a rapporto di scambio, un processo così invasivo che giunge a colonizzare, a reificare e mutilare perfino il tessuto relazionale da cui dipende l'integrazione sociale.
"Fare società", produrre socialità non resa merce, diventa impegnativo soprattutto per quelle aree, come il Meridione d'Italia, che hanno conosciuto gli effetti più devastanti di una modernizzazione che non è andata oltre la disarticolazione delle tradizionali reti di solidarietà.
Una risposta a tale stato di cose Alcaro la individua in una rivalutazione delle culture locali, nella riscoperta e "reinvenzione delle "radici storiche comuni"" (5). Un'"opera collettiva di recupero, di risanamento e di restauro" (6), questo perché Alcaro non "vuole certo sminuire la gravità delle storture e le profonde degenerazioni di gangli vistosi dell'organizzazione sociale e politica del Mezzogiorno". Storture che "non vengono più interpretate come risultato meccanico dei valori della cultura tradizionale" (7), ma come esito della sintesi nient'affatto virtuosa tra "modernità e tradizione" che attinge spesso al peggio delle due forme.
E' una proposta politica che intende indicare un possibile orientamento a coloro che sono impegnati nell'impresa di rinnovamento della realtà del Sud; non c'è traccia di elitismo democratico ma si tratta di alimentare il processo di rinnovamento della classe dirigente meridionale attraverso la costruzione di una democrazia partecipativa.
Ma l'evidente senilescenza del sistema impone di capovolgere il rapporto economia/società, di partire dalla qualità sociale per favorire lo sviluppo economico. La crisi pone all'ordine del giorno la questione di ripensare i termini dello sviluppo, capovolgendo il rapporto economia/società, di ripartire dalla qualità sociale. Occorre curvare il concetto di crescita economica verso la definizione di sviluppo umano; puntare a esaltare la promozione delle capacità degli individui, e a porre quest'ultima come fine della prestazione economica. Propositi che richiamano, tra l'altro, i temi dell'istruzione e della formazione, di un rinnovamento di tali istituzioni e processi sottratto però alle logiche della mercificazione, proprio nel momento in cui la globalizzazione si afferma anche come appropriazione privata di saperi collettivi.
(2) Con il termine polarizzazione facciamo riferimento all'approfondirsi continuo del divario - in termini di sviluppo materiale - fra i centri del sistema mondiale capitalistico e le sue periferie. Per Samir Amin ((si tratta di un fenomeno nuovo nella storia dell'umanità, giacché in due secoli l'ampiezza di questo divario è diventata incommesurabile rispetto a ciò che l'umanità aveva potuto conoscere nel corso dei millenni della sua storia precedente (S. Amin, Oltre il capitalismo senile, Milano, Edizioni Punto Rosso, 2002, p.6)
(3) P. Bevilacqua, La "storia economicae l'economia", in Storia economica d'Italia, in Storia economica d'Italia, a cura di P. Ciocca e G. Toniolo, Editori Laterza, Roma- Bari, 2000, p. 161
(4) P. Bevilacqua, Riformare il Sud, in "Meridiana", 1998, n.31, p. 21
(5) M. Alcaro, Sull'identità meridionale, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p.3
(6) Ibidem p. 4
(7) Ibidem p. 12