Ora Locale

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Vento del Sud (seconda parte)

di Franco Piperno


Nel caso che a noi interessa, cioè la valutazione, ad esempio, del prodotto nazionale lordo, i calcoli sono approssimati con un margine non inferiore allo 0,5%. Sicché, quando ascoltiamo gli esponenti politici dibattere accanitamente sulla questione di quanto sia aumentato il prodotto nazionale, e il filo-governativo afferma che l'incremento è dell'1,2% mentre l'oppositore sostiene trattarsi appena dello 0,4%;si ha l'impressione di uno scontro tra " cioti " , tra persone prive di senso comune; perché, ignorando l'errore insito nella rilevazione,parlano a vuoto dal momento che non è possibile stabilire se quella cifra ha un significato reale o non lo ha.
Per sottolineare ciò che intendo dire, sfido chiunque di voi a fornire un qualche criterio per stabilire se la sua vita è migliorata di più l'anno in cui il prodotto nazionale lordo è aumentato del 1,2% rispetto all'anno in cui l'aumento era stato solo dello 0,4%. E' una manifestazione di puro feticismo, particolarmente grave perché appare interiorizzata come buon senso.
Un altro frutto avvelenato della falsa coscienza è quel sentimento di accidia con il quale finiamo col rappresentare a noi stessi la condizione di vita nel meridione. L'autodisprezzo ci impone di ricorrere agli altri per affrontare i nostri problemi; tanto più miserabili ci rappresentiamo tanto maggiore sarà l'aiuto che, pietendo, pretendiamo venga a noi dall'altrove, fosse Roma o Bruxelles, poco importa. Così abbiamo finito con l'abituarci a mentire, a mentire pubblicamente, che è una di quei comportamenti suicidi che mina la base stessa dell'agire collettivo. Tutti noi sappiamo che la menzogna privata è una sorta di diritto naturale come la legittima difesa; ma la menzogna pubblica ha tutta altra portata perché si finisce col credere alle proprie bugie.
Su questa storia della menzogna pubblica mette conto esemplificare: secondo i dati ufficiali della Regione Sicilia, la città di Enna ha un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 54%; così alto da rappresentare un record nella intera Comunità Europea. Se l'osservatore un po' smaliziato va a grattare sotto questa cifra, scopre che là, a partire dall'adolescenza, cioè dai quindici anni in su quasi tutti si iscrivono alle liste di disoccupazione ( avvertenza:forse oggi non è più così, dato che le mie informazioni si riferiscono alla situazione quale era nel " 99); ora è evidente che anche a Dortmund, nella Renania, se i ragazzi che vanno a scuola, a partire dai quindici anni, si iscrivessero nelle liste di disoccupazione, il tasso di disoccupazione giovanile di Dortmund risulterebbe allarmante. Perché nel Meridione si ha questa passione irresistibile per le liste di disoccupazione? Perché c'è l'idea che essere vittima di buon ora comporti un qualche diritto, a titolo di risarcimento, da esigere nel futuro. A tanto porta il credere alle proprie menzogne.
Da questa situazione, a mio parere, non se ne esce se non con una forte determinazione, che comporti la partecipazione e non solo la qualità della rappresentanza. Guardate, sono uno di quelli che pensa che la rappresentanza ha fatto bancarotta, non da ora ma da parecchio tempo e penso che il problema non sia la rappresentanza ma l'espressione, cioè la capacità di individuare la questioni rilevanti per la vita quotidiana e cercare delle soluzioni. Anche l'esperienza, per altro modesta, che ho vissuto al comune di Cosenza, mi conforta nell'idea che la vera questione sia la capacità di formulare le questioni ancor prima di avanzare le giuste soluzioni. Ma proprio questa scelta delle questioni è impossibile da effettuare senza la partecipazione dei cittadini.
E questo non solo per le difficoltà intrinseche, di natura intellettuale; ma soprattutto perché - fortunatamente per noi - non siamo in un contesto sociale, o lo siamo sempre meno, in cui sia possibile dare ordini, comandare; viviamo immersi in una rete complessa di relazioni sociali dove la convinzione conta assai di più che il controllo o la repressione. E la convinzione richiede lo scambio comunicativo pubblico, cioè la discussione collettiva e quindi gli spazi pubblici a questa dedicati. Ora, è del tutto evidente, che da noi detti spazi, a dir poco, scarseggiano, mentre fioriscono a dismisura quelli destinati unicamente allo scambio di merci, che, per via della specializzazione, diventano dei non-luoghi. Sapete quali sono nell'area urbana gli spazi più frequentati? Il supermercato di Rende, quello di Zumpano e l'altro di Montalto.
E questo fatto la dice lunga sulla situazione della sfera pubblica nella nostra area. Notate che, in altri tempi, nella piazza del mercato sorgeva anche il palazzo comunale, la cattedrale, la casa madre delle confraternite etc. Oggi di questo non c'è più bisogno : dove si svolge il mercato non c'è un solo ufficio pubblico, fosse una garitta per il vigile urbano; solo un susseguirsi seriale e stucchevole di negozi. Così, gli spazi più affollati sono i luoghi meno pubblici. Da qui la necessità di promuovere immediatamente una politica architettonica che privilegi i luoghi pubblici e contenga lo straripamento di parcheggi, negozi e supermercati, questi non-luoghi che rendono la nostra vita uno scialo di cose tristi.
Per riassumere le questioni più urgenti da porre alla politica-intesa, secondo il significato originario del termine,come governo della città - sono la consapevolezza collettiva e la democrazia.
Il primo tema comporta, come si è già detto, un mutamento degli indicatori del benessere in modo da liberare il cittadino dai quei ceppi della mente che ne irretiscono tanto l'intelligenza quanto la capacità di agire. E non si creda che si tratti di problemi tecnici, riservati a degli improbabili esperti. Infatti, una delle ragioni della sconfitta delle sinistre in Europa è stata proprio questo porre al centro della lotta politica le stesse questioni avanzate dal padronato e dal pensiero politico liberista : l'unica differenza resta ancorata al tipo di soluzione che viene proposta. Gli indicatori attualmente in uso, tanto per la Confindustria, quanto per i Sindacati ed i partiti, privilegiano il raffronto in termini di prodotto annuo lordo e spingono alla competizione dei sistemi economici su questo terreno. Ma così la competitività non è un mezzo per vivere meglio; piuttosto l'aumento della produzione lorda si è svincolato, è divenuto autonomo, un fine in se e per se. Una volta l'investimento riverberava i suoi effetti positivi sull'occupazione. Oggi non è più così, dal momento che la maggior parte degli investimenti comporta un risparmio di mano d'opera. Si investe per aumentare il prodotto lordo senza che a questo aumento segua un qualche miglioramento della qualità della vita.
Abbiamo poi un problema di democrazia, designando con questo termine non la rappresentanza ma la partecipazione diretta dei cittadini. E per evitare il general-generico consideriamo la situazione che è sotto i nostri occhi: l'operato del sindaco che ha diretto, per quasi dieci anni, il governo della nostra città. Mi permetto di affrontare questo tema proprio perché questa stessa assemblea è stata convocata e si può svolgere grazie all'azione di amministratori nominati da Giacomo Mancini e da lui difesi contro i prefetti e i ministri dell'Interno, che han fatto di tutto per contrastarli o addirittura sospenderli.
Cosa ha significato, per la democrazia a Cosenza, l'azione del sindaco scomparso sette mesi fa? Certo, in termini di partecipazione diretta non è stato conseguito un gran risultato - questo giudizio, per altro, ha costituito uno degli argomenti di discussione tra me ed il sindaco, non già perché Giacomo affermasse il contrario; bensì per l'irrilevanza da lui attribuita alla questione della partecipazione.
E, tuttavia, anche da questo punto di vista, l'azione politica dell'on. Mancini ha costruito come una pre-condizione per affrontare, in termini non ideologici, la questione della partecipazione. Mi spiego meglio : uno dei tratti distintivi della amministrazione cosentina nel decennio trascorso è stato quello stile dell'agire, al di là del contenuto, che ha conseguito una sorta di risarcimento del luogo, cioè della nostra città. Voglio dire che quella felice miscela tra "sangue e giudizio", tratto distintivo della personalità del sindaco, ha fatto sì che la città riconquistasse la potenza perduta - nel senso che, in questi dieci anni, nel bene e nel male, quasi tutte le decisioni riguardanti la vita della nostra Città sono state davvero prese a Cosenza. Non v'è, quindi, alcuna esagerazione nel dire che la Città ha recuperato, con Giacomo, la facoltà d'agire; che è prima di tutto la capacità di individuare i problemi più significativi per assicurare ai cittadini una buona vita quotidiana.
E questa è la via su cui noi dobbiamo continuare: i cittadini devono imparare ad agire nel luogo nel quale vivono, cioè ad impostare e risolvere i loro problemi, ancor prima di discettare sulle cose che riguardano l'universo mondo.
Anche a questo proposito, vale la pena chiarire con un esempio. Ho un pregiudizio favorevole verso questo movimento chiamato impropriamente " no global" .
Ma non posso nascondere che mi vien da ridere quando sento quegli slogan dove si contrappongono, al mercato, globale i diritti universali degli esseri umani. E quando mai queste cose sono state contrapposte?
Non c'è stato mai un mercato che non sia stato un mercato regolato da diritti.
Tutti voi sapete, per esperienza diretta, che il mercato richiede il diritto all'uguaglianza: se io ho mille lire devo poter comprare quanto un altro che possiede la stessa somma. Questa è un'esigenza assoluta, senza cui il mercato non si dà. Non si tratta, quindi, del fatto che le multinazionali calpestano i diritti e, invece, i miei amici "no global" li riaffermano.
Lo scontro ed il conflitto non avvengono certo su questo terreno; semmai, a mio parere almeno, su quello dove si gioca la compatibilità delle diversità versus l'integrazione omogeneizzante. La razionalità mercantile tenta di unificare gli stili e le forme di vita del pianeta, di rendere Napoli una copia di Detroit. L'incubo che si prepara è quello di un mondo conforme: sarebbe veramente una iattura ritrovare dovunque le stesse cose, come in uno spazio omogeneizzato. Noi dobbiamo puntare sulla migliore tradizione del movimento socialista: garantire a ciascuno il suo, premiare la diversità e la differenza, valorizzare la peculiarità degli stili di vita, degli stili di sviluppo; non c'è, infatti, uno sviluppo unico. Cosenza non deve inseguire Brescia o Bergamo; Cosenza e il Sud hanno un proprio modo di essere al mondo che viene dalla storia, dai saperi impliciti accumulati, dalle tecniche tradizionali-un patrimonio attorno al quale promuovere il nostro sviluppo; senza per questo cadere nel tradizionalismo, ma piuttosto scegliendo nella tradizione ciò che è vivo e ciò che è morto.
Uno dei difetti maggiori è la diffusa tendenza a concepire la politica come mestiere specializzato; di conseguenza, prevale l'attitudine a delegare che si accompagna, non a caso, ad un giudizio morale negativo su coloro che esercitano questo mestiere.
Si badi : non si tratta certo di un difetto di rappresentanza, giacché niente è più diffuso nel Sud che i ruoli di rappresentanza - andando per strada, è pressoché impossibile non imbattersi in qualcuno che non sia o non sia stato o non sia sul punto d'essere un presidente di qualche organismo, spesso un po' peregrino; o comunque un rappresentante di qualcheduno altro inconsapevole rappresentato.
Ciò di cui abbisogniamo fortemente è l'abitudine alla partecipazione diretta alla vita politica cittadina. Sarebbe importante, per fare un esempio di rilievo, che Cosenza avesse sette municipi, al posto delle sette Circoscrizioni attualmente esistenti. Noi dovremmo fare in modo che la gente possa partecipare, e non solo in occasione delle elezioni, alla vita pubblica urbana; e questo può avvenire, su larga scala, solo a partire dalla dimensione del quartiere; dimensione che consente ai cittadini di fare una vera e propria esperienza di autogoverno : contribuendo alla formulazione delle regole e delle decisioni comuni, il cittadino acquista potenza nell'agire, perché diviene consapevole della natura convenzionale, propriamente linguistica, della legge; nonché di quel procedere per " tentativi ed errori " che è la via maestra percorsa dal tutte le forme di vita per autoorganizzarsi.
Dare predominanza al locale vuol dire, innanzi tutto promuovere l'autogoverno; e questo, per quel che ci riguarda, implica una rinuncia di alcuni dei poteri esercitati da Palazzo municipale a favore dei quartieri. La cosa, del resto, non è poi tanto strana; così come le regioni chiedono di avocare a sé delle potestà dello stato centrale; ed i comuni, a loro volta, rivendicano una parte di questi poteri-stendiamo un velo pietoso sulle Province, questi enti inutili che andrebbero immediatamente sciolti per far posto a libere associazioni tra i comuni - allo stesso modo, il federalismo impone che il comune deleghi delle sue facoltà, ed i mezzi finanziari necessari per renderle operative, ai quartieri. Va da sé che le attuali circoscrizioni, concepite come meri strumenti di decentramento, non hanno la spessore politico indispensabile per esercitare questi nuovi poteri - è questa una osservazione che l'on.Mancini soleva ripetere spesso; e penso che avesse ragione. Si tratterà, nella prossima sindacatura, di por mano ad una profonda ristrutturazione delle circoscrizioni o forse anche di concepire, in via sperimentale, dei nuovi organismi amministrativi. Quello che è certo è che esiste un vuoto enorme nella nostra democrazia municipale dovuto alla circostanza che i quartieri non si possano amministrare da sé, non possano crescere facendo i loro errori-- tanto l'accentramento non ci preserva, con ogni evidenza, dagli errori; la storia, anche quella più recente, di Cosenza lo dimostra ampiamente.
Le condizioni in cui era Cosenza quando Giacomo ha cominciato il suo mandato dimostrano che la centralizzazione non è garanzia di buona amministrazione; e perfino alcuni aspetti dell'amministrazione Mancini testimoniano nello stesso senso. Ecco, e mi rivolgo qui soprattutto ai miei amici "no-global" , mentre il salario garantito sul piano planetario è solo un incubo da impotenza travestito da utopia, costruire sette municipi a Cosenza, al posto di uno solo, è una concreta possibilità d'azione qui e ora; non dico che possiamo realizzare la cosa domani, ma certo rientra nel nostro orizzonte d'azione.
Mi avvio, ora, a chiudere questo intervento senza poter concludere, con alcune note al margine della questione del "locale e del globale ". Il globale, come il locale, non è una apparizione recente, c'è sempre stato. A Marsiglia nel museo archeologico ci sono piatti di ceramica fatti in Grecia e portati là dai Fenici, attorno al '900 a.C. ; il grano con cui si alimentavano i cittadini di Pompei, all'epoca della grande eruzione del Vesuvio, veniva dalla Libia. Il mercato, anzi, i mercati mondiali ci sono sempre stati. Quello che, semmai, risulta proprio alla nostra epoca è l'unificazione del mercato a livello planetario - ciò è accaduto con il crollo dell'Unione Sovietica, che era una specie di zeppa, posta là ad impedire il mercato unico globale; del resto noi, sia detto per inciso, quando eravamo giovani, attribuivamo all'URSS la qualità sovversiva di impedire l'unificazione del mercato mondiale; e questo avveniva indipendentemente dal fatto che là ci fosse o meno un vero regime socialistico; infatti, si trattava di un limite obiettivo posto al mercato mondiale.
Con la caduta dell'URSS il mercato si è effettivamente unificato; e ciò ha comportato il moltiplicarsi dei non-luoghi, che soffocano i luoghi; un non luogo può essere il supermercato di Rende, o l'aeroporto di Lamezia, o il Palazzo dell'ONU a New York; sono tutti dei non-luoghi che, in genere, impediscono o quanto meno ritardano la possibilità di sviluppo dei luoghi.
Si tratta quindi di affrontare i problemi della vita quotidiana collocandoli nello scenario del luogo; e sforzandosi di entrare in contatto con" il genius loci ".
Così il reddito garantito, questo nuovo diritto di cittadinanza, deve scaturire da una decisione della città; e non da una disposizione della Comunità Europea o , tanto meno, dell'ONU. Questo vorrà dire, probabilmente, che dovrà aumentare il carico fiscale sui cittadini; perché la libertà comporta responsabilità e ci deve pure essere un rapporto tra servizi erogati ed imposte percepite. Un Comune deve la sua legittimità alla capacità di essere autonomo finanziariamente; senza questa capacità, l'autorità comunale è senza fondamento.
Il concetto di locale, come terreno privilegiato dell'agire politico, che emerge da queste mie schematiche considerazioni, ha una stretta connessione con la molteplicità : diminuire il disordine aumentando la complessità cioè la qualità dell'organizzazione sociale; ovvero moltiplicare i soggetti decisori collettivi. E' questa una prospettiva particolarmente intrigante per Italia, paese dalle cento città che vanta una tradizione urbana tra le più antiche al mondo. Pensate : Cosenza, la piccola città dove viviamo, ha una traccia, storicamente documentata, lunga oltre 2350 anni. Certo, può capitare anche a noi, quel che accade ai nostri concittadini gitani : ignorano di provenire dall'India, di discendere dal popolo che ha scoperto la lavorazione dei metalli, di parlare una lingua nel cui lessico risuonano le parole sacre del Sanscrito; cosicché si autodisprezzano sol perché han perduto la memoria. Capita anche ai nostri cittadini di ignorare la storia del luogo che abitano; e di sentirsi sprovveduti, in balia del nuovo, come se fossero nati ieri. Ma basta apprendere a ricordare, ed ecco, come su uno schermo,per incanto, vengono evocate le possibilità di riprendere quel lungo cammino, interrotto dalla modernità, che non insegue il reddito ma punta alla qualità della vita : meno macchine e più cavalli per strada, meno soldi e più servizi, meno lavoro coatto espletato per guadagnare e più attività autogratificante, cioè lavoro-gioco.
Solo così possiamo affrontare l'assurdo paradosso delle società opulente dove i giovani, educati all'etica del lavoro, di un lavoro divenuto socialmente superfluo, trascorrono la vita in attesa di una occupazione; nel frattempo, quel tedio di vivere, che rode le loro giornate, rischia di compromettere la capacità desiderante e con essa ogni possibilità d'esprimersi.
A fronte di tutto questo, il locale si presenta come il terreno della liberazione, dove è possibile apprendere ad oziare anziché a lavorare; e questa crescita dell'interiorità dell'individuo si riverbera in un enorme impulso dato alla diversità e molteplicità delle forme di vita e dei luoghi che le ospitano; rifuggendo come una sventura l'omogeneizzazione e l'accentramento; non solo quello nazionale, che ben conosciamo per averlo già subito; o quello regionale, dai contorni spettrali come la risata di Bossi; ma, soprattutto, quello europeo, mellifluo ed infido come il viso di Prodi.



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