Ora Locale

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Occorre un progetto
dai contenuti limpidamente alternativi

di Sandro Principe *


Partecipo molto volentieri al dibattito stimolato da Piero Bevilacqua dalle colonne di Ora Locale sulle prossime elezioni regionali. E' mia intenzione, però, svolgere, specificamente, il tema racchiuso nel titolo che la rivista ha coniato per l'articolo di Bevilacqua: "Per una svolta nella politica della sinistra in Calabria". E lo faccio sulla base di una storica e tradizionale appartenenza, delusa ed amareggiata dallo stato di crisi in cui versa il centro-sinistra nella nostra Regione, dando per scontati senza necessità di uno svolgimento, l'immobilismo dannoso, l'incapacità assoluta ad amministrare, il ruolo barbarico di saccheggio e desertificazione che caratterizzano la politica del centro-destra in Calabria. Ed, invero, è la politica del centro-sinistra il nostro problema: cosa fare, nei prossimi due anni, perché il centro-sinistra sia concepito dai calabresi come fattore determinante della rinascita della Regione - e non, come ora avviene, una inconcludente realtà che siede a latere del governo di centro-destra quasi volesse raccogliere, con una fiacca opposizione, le briciole che questo elargisce.
Innanzitutto, mi sento di condividere la prima considerazione di Bevilacqua. Al contrario di quanto affermano superficiali osservatori, i protagonisti della politica di oggi non sono il frutto di un allargamento della platea dei partecipanti: succede l'esatto contrario. Nei tristi tempi che viviamo la società dell'informazione ha ristretto drasticamente il numero dei reali partecipanti al confronto politico, con la esiziale conseguenza che ciò che resta dei partiti si caratterizza per essere una burocratica oligarchia, provinciale, regionale o nazionale, che gestisce delle sigle, dei simboli.
Purtroppo, questa decadenza si è accentuata, al punto di divenire strutturale, con l'introduzione del sistema maggioritario all'italiana, che ha favorito il rafforzamento del ruolo di "tappo" delle striminzite oligarchie dei partiti, poiché l'assenza di ogni forma di partecipazione dei territori alla scelta dei candidati ha conferito a queste un potere assoluto; ed, infatti, nei collegi uninominali il parlamentare non è scelto dagli elettori del collegio, ma dai partiti che impongono le candidature.
Non parliamo poi del sistema di scelta nella quota proporzionale, dove assistiamo all'elezione a parlamentare per grazia ricevuta dalla burocrazia di partito, che sa essere tanto generosa con pochi, per quanto è matrigna con i più, soprattutto se capaci. E' evidente che, se per la scelta del candidato Presidente della Regione, si intenderà perpetuare simili metodi, senza ricorrere a sistemi di scelta più democratici, come ad esempio le primarie, sarà la fine.
Questo stato di cose non poteva non causare l'inversione del rapporto tra ceto politico e classi dirigenti: mentre ieri era il ceto politico a porsi come avanguardia dei processi di rinnovamento e di sviluppo, oggi, a fronte di classi dirigenti che scalpitano nella loro propensione ad agire, il ceto politico rappresenta l'elemento frenante, spesso bloccante; e mi gratifica molto che il Prof. Bevilacqua abbia inserito i sindaci nei gruppi dirigenti e non nel ceto politico.
Fatta questa lunga ma necessaria premessa, sento di dichiararmi totalmente d'accordo con quanti propongono un'alleanza strategica tra le istituzioni locali, le università, le associazioni politiche e culturali, il sindacato riformista, le categorie produttive e sociali più illuminate ed anche i movimenti, se dialoganti e disponibili a non limitarsi a denunciare i mali della società e pronti a concorrere con quanti si prefiggono lo scopo di governare i processi, per ricondurli a contenuti democratici e di giustizia sociale. Questa alleanza strategica tra soggetti collettivi dovrebbe organizzare una forte presenza politica con iniziative tendenti a partorire un progetto Calabria dai contenuti limpidamente alternativi, immediatamente riconoscibili per essere diversi e distanti dall'azione politica del centro-destra.
L'alleanza strategica a cui penso non è il cosiddetto "Terzo Polo", anche se questo può essere agitato come deterrente per ricondurre alla sua ragione di esistere il centro-sinistra calabrese e, soprattutto, la sua ala sinistra. Personalmente, concepisco questa alleanza come un centro-sinistra nuovo e diverso, non burocratico, non autoreferenziale, non oligarchico, ma denso di pulsioni culturali e di una forte identità politica, determinato a voler rappresentare l'altra Calabria, pregno di rigore nel rifiutare qualunque compromesso con il centro-destra, forte nell'avere fiducia nella nostra terra, certo di poter scuotere le brancolanti coscienze, all'insegna del motto che anche noi calabresi ce la possiamo fare ad essere cittadini del mondo. Un centro-sinistra diverso che compone in Calabria la squadra da far scendere in campo ed, all'interno di questa, sceglie con il metodo delle primarie, il suo candidato Presidente. Il primo obiettivo da centrare è costringere il centro-sinistra ufficiale a misurarsi sui contenuti del progetto Calabria, sulla "politica delle cose", come diceva Pietro Nenni, e sulle metodologie di selezione della classe dirigente, democratiche e non burocratiche. Un'azione politica di questo tipo, ove avesse successo, avrebbe il grande merito di rinnovare e mobilitare il centro-sinistra in una sintesi veramente alta di uomini e di programmi. Se così non sarà a nulla varrebbe, a quel punto, il richiamo all'unità per battere la cosiddetta Casa delle Libertà, perché alla Calabria non serve un centro-sinistra piatto, imbelle, burocratico, oligarchico e, tutto sommato, omologo al centro-destra.
A questo punto forse è opportuno, ma solo per immagini, provare ad individuare, tanto per avviare la discussione ed il confronto, qualche contenuto per il progetto Calabria. In primo luogo, è necessario proporre un ruolo dell'Ente Regione che tenti di recuperare la vera essenza della Regione, così come immaginata dai Padri Costituenti e dai legislatori che nel 1970 diedero attuazione al dettato costituzionale; un recupero che, tra l'altro, metterebbe la Regione in sintonia con i tempi. Il centro-sinistra deve assumere il preciso impegno con gli elettori che è arrivato il tempo di dire basta con una Regione accentratrice, piccolo Stato "Hag", che del vecchio Stato centralista surroga i peggiori vizi, mirando, in definitiva, a tenersi ben stretto un ruolo di pura gestione. Ed, a ben vedere, sta proprio in questa pratica, sempre più opprimente, che incombe come una spada di Damocle sulla Calabria, la ragione del progressivo scadimento della classe politica regionale, nella quale non possono che emergere gli incolti, ma scientificamente efficienti, gestori del più bieco e rozzo clientelismo, al di là ed al di sopra di ogni regola e di ogni legge.
Il centro sinistra si deve impegnare affinché la Regione sia restituita al suo ruolo di Ente di legiferazione, programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo, attribuendole, se proprio si vuole, un semplice potere sostitutivo per il caso dell'inerzia dei titolari dei poteri trasferiti. Spogliata di ogni potere gestionale la Regione si ovvierebbe alla mancanza di un "comune sentire" che evidenzia la società calabrese e che precipita nella vera e propria sordità a livello di burocrazia regionale, come afferma il prof. Piperno; mentre un minimo di "comune sentire" potrebbe recuperarsi se alla definizione degli atti di programmazione regionale fossero chiamate a contribuire, per dettato statutario, le autonomie locali, le categorie produttive, i sindacati e gli ordini professionali.
Naturalmente, il trasferimento dei poteri di gestione non dovrebbe avvenire solo in direzione delle Municipalità; tra l'altro pensare di "sciogliere la questione regionale nella questione urbana" significa non tener conto del fatto che le aree urbane in Calabria sono una parte marginale, seppur trainante, del territorio regionale, che è punteggiato da centinaia di piccoli comuni. Svolgere un ruolo trainante non significa affatto considerarsi onnicomprensivi. Inoltre, ci sono altri servizi importanti e delicati per la stessa vita del cittadino che sono estranei alla competenza dei Municipi. E non mi pare opportuno continuare ad avere una Regione che incombe con la sua pessima gestione in tanti settori al di fuori della sfera istituzionale dei Comuni. A titolo di esempio, basti pensare al settore della sanità. Mi chiedo perché, una volta definito il quadro di programmazione regionale, con la metodologia di cui prima si diceva, non debbono essere gli operatori sanitari, i medici, gli infermieri e gli amministrativi che vi lavorano ad essere protagonisti della gestione delle ASL e delle Aziende Sanitarie. Non v'è dubbio che una simile ipotesi di autogestione debba veder coinvolti, a livello di indirizzi di dettaglio, in attuazione della programmazione più generale, i rappresentanti eletti delle istituzioni locali e gli ordini professionali. Ma certamente è impensabile lasciare la gestione della sanità affidata a burocrati di nomina regionale; grigi ed incompetenti bacchettoni, che dovrebbero capire di tutte le branche dello scibile umano e che lasciano solo terra bruciata sul loro cammino, con una costante: essere ubbidienti, sempre e comunque, al padrone di turno.
Per chiudere vorrei, per un attimo, ritornare sul ruolo delle Municipalità. Condivido un protagonismo dei Municipi in tutte quelle attività e servizi " in grado di allargare l'interiorità e la coscienza dei cittadini"; sperando di costruire una società che lasci sempre più spazio a quelle attività che arricchiscono l'umanità delle persone. Sono convinto che una società ideale deve sottrarre sempre più tempo alla schiavitù del lavoro; ma di questa schiavitù non riusciremo mai a liberarci completamente. E, comunque, questo è un problema di chi un lavoro ce l'ha. Ma una società degna di questo nome deve anche costruire opportunità di lavoro per tutti; soprattutto per chi il lavoro non ce l'ha.
Ecco che, quindi, sfuggendo necessariamente al sogno, il protagonismo dei Municipi deve spingersi anche a costruire le condizioni per lo sviluppo o come diavolo vogliamo chiamarlo. Ma anche in questo campo si rende necessaria una riforma dell'Istituto Regionale. Il protagonismo dei Municipi, in materia di sviluppo economico, può estrinsecarsi solo ricorrendo alle Associazioni tra Comuni, per fare massa critica, essendo la Regione priva di grandi città. Gli strumenti attuali che renderebbero i Municipi protagonisti della programmazione concertata dal basso (PIT, Patti Territoriali, PSU, ecc.) sono continuamente svuotati di contenuti dalla Regione accentratrice, che è cinicamente impegnata a decretarne il fallimento. In un quadro internazionale di economia globalizzata e nazionale di devolution senza solidarietà, l'impegno per uno sviluppo locale è l'unica strada da seguire per dare speranza alle future generazioni, soprattutto laddove si ha la possibilità di puntare sulle università e sull'innovazione. Anche queste opportunità fanno registrare una Regione sorda e brutalmente impegnata a combattere ogni azione, ogni impegno tendente a valorizzare le nostre energie umane e territoriali, ogni tentativo di sconfiggere la rassegnazione e la omologazione ad altri modelli, estranei alla nostra storia ed al nostro essere calabresi. Si ritorna sempre, insomma, al cuore del problema calabrese. Mi auguro che il dibattito suscitato da Bevilacqua possa rappresentare il punto di partenza per ritrovare il centro-sinistra; quello vero, che Vezio De Lucia, rivolto ai suoi compagni di partito, invitava a "riprenderci", come fattore di riscatto per le nostre Comunità, che se ben stimolate potranno ritrovare quella fierezza, capace di farle uscire dallo stato di subalternità, nel quale la cattiva politica le ha precipitate.

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* Sindaco di Rende (Cosenza)



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