Quella che segue è una cronaca: del Cantiere Meridionale come luogo in cui il molto
di nuovo che si fa nel Sud si è manifestato e incontrato. Non tutto, per la verità, è
andato come gli organizzatori si aspettavano: mancavano “pezzi” significativi delle
reti sociali meridionali, è stato assente il racconto della relazione movimenti –
territori.
Il Rettore, prof. Giovanni Latorre, ha introdotto la sessione plenaria. Dopo aver
salutato i presenti, ha voluto insistere sul carattere “ aperto” dell’Università della
Calabria, sottolineandone una peculiarità: quella di essere un “ luogo del pensiero
critico” che ha pagato, anche duramente nel corso degli anni, sulla base di ripetuti
tentativi di criminalizzazione, questo suo essere, per certi versi, luogo “ lungimirante”
sugli aspetti più radicali del pensiero.
Il Cantiere è andato avanti per due giorni, 23/24 Maggio 2003, uno di seduta plenaria, con
interventi introduttivi dei quali riportiamo ampi stralci, e uno di lavori di gruppi per
aree tematiche, per certi aspetti più proficuo, di cui daremo conto nei prossimi
numeri.
Da tutti gli interventi è comunque emerso il desiderio che il Cantiere divenga un
luogo di dibattito e organizzazione di cultura, punto di riferimento politico per il
Meridione, punto forte del territorio dell'altro Sud.
Abbandonando giaculatorie e perenni recriminazioni, una certezza è venuta fuori
leggera come i miracoli: la “questione meridionale” è finita. Perché tutto il mondo è
mercato, perché le ideologie lavoriste non intercettano più i desideri e i bisogni di un
sud che è cambiato anche nella sua composizione sociale, o solo perché termini come
“progresso – sviluppo” sono da tempo parole lisce come palle da biliardo.
Una buona parte di sinistra, oltre ad amministratori, a docenti e ricercatori e a
esperienze provenienti dall’azione sociale manifestatesi in questi anni al Sud, hanno
colto senza problemi la proposta del Cantiere.
Dunque magari solo un inizio, ma promettente.
La Torre si è soffermato sul radicamento di questa istituzione all’interno di una realtà
complessa come quella calabrese, che necessita dell’UNICAL non solo per questioni
legate alla formazione, ma anche perché i prodotti della ricerca si concretizzino in
possibilità di sviluppo, e perché si possa confidare in quelle risorse umane che
costituiscono il “ passaggio culturale”, nel naturale susseguirsi di generazioni.
Il Sindaco di Rende, On. Sandro Principe, ha esordito sottolineando quello che
deve essere, secondo la sua prospettiva, il tema vero su cui incentrare la realizzazione
di un progetto “realmente alternativo”: il coraggio, la messa in discussione, il
tentativo, quindi, di scongiurare la rassegnazione. E soprattutto la consapevolezza che
“in Calabria esiste una politica omologa, di appiattimento totale fra i due poli”.
Principe ha fatto riferimento a “ due nemici capitali del Mezzogiorno: uno esterno e
uno interno”. E’ paradossale, infatti, l’immagine che si profila davanti ai nostri occhi:
da un lato, “lo Stato berlusconiano sempre più accentratore”, dall’altro la tanta
discussa devolution, a proposito della quale, sarebbe bene, secondo Principe, che
l’intellighenzia italiana si pronunciasse con maggiore chiarezza, con maggiore
veemenza.
Il male interno è dato proprio da questa “Regione accentratrice”, e dall’idea generale
di istituti regionali qualificabili come “piccoli stati accentratori”, surrogati, in
definitiva, del vecchio Stato centralista.
Principe ha manifestato la sua fiducia nell’investimento delle infrastrutture, purché
questo si collochi in un quadro di rinnovamento, capace di fare uscire il Mezzogiorno
da quella condizione di allucinata prostrazione e di subalternità; per smussare, una
volta per tutte, quel “tappo” di cui ha parlato in altre occasioni il prof. Bevilacqua,
“costituito dalla classe dirigente meridionale”.
E’ importante muoversi in questa direzione, perché ci si sollevi, perché
l’intellighenzia si esprima anche a proposito della questione del Ponte sullo Stretto,
che si cala in un ambiente caratterizzato da profonde carenze strutturali e
infrastrutturali.
Principe si è congedato, infine, con l’augurio che un’autentica presa di coscienza
rispetto a ciò che il Sud potrebbe essere, accanto ad un’analisi più lucida, con “un
progetto dai contenuti limpidamente alternativi”, diventino i grandi temi attorno ai
quali si possa ritrovare una rinnovata classe politica calabrese.
Ironico e pungente è risultato l’intervento di Pierluigi Sullo. Il Direttore di Carta è
stato uno degli ideatori di questa occasione, che ha voluto dedicare a Luigi Pintor, da
poco scomparso.
“ Una nuova internazionale potrà essere fatta di individui e non di atomi, che si
incontrano e si riconoscono quasi d’istinto, ed entrano in consonanza con
naturalezza.” Questo è ciò che Pintor aveva scritto nel suo ultimo editoriale. Ed
ancora: “La sinistra italiana per come la conosciamo è morta; con la sinistra è morto
anche il progresso”. Perciò, “si tratta allora di reinventare la vita, in un’era che ce ne
sta privando in forme mai viste”. Partendo magari dal Mezzogiorno, “che è uno degli
epicentri di questa privazione”. “Cosa c’è per il Sud dopo la fine dello sviluppo?” E’
questa la domanda cruciale. Perché “lo sviluppo è fallito, e dunque si tratta di
inventare”. E’ questo l’auspicio: che il Cantiere non si risolva in uno sterile
pronunciamento dal palco, ma che si concretizzi attraverso l’azione decisiva dei
gruppi di lavoro.
Mario Alcaro, direttore di OraLocale e docente UNICAL, ha proposto una lettura
divergente dai parametri statistici, con i quali vengono elaborate classifiche e primati,
della qualità della vita al Sud.
Partendo dal rilevamento di elementi positivi, perché anche questi si riscontrano nel
Mezzogiorno, si comprende quanto sia paradossale “ pensare che esista una cultura
da leggere solo in negativo”.
Nello stilare classifiche circa la vivibilità delle città meridionali, è necessario tenere
conto anche di alcuni dati quali 1)la durata media della vita - si vive più a lungo nelle
province del sud – 2)la natalità - si registra, nel Mezzogiorno, il più alto tasso di
natalità – 3)le condizioni di vita degli anziani – spesso curati all’interno della
struttura familiare - 4) la condizioni di vita dei giovani – per i quali la famiglia
costituisce un ammortizzatore sociale, soprattutto rispetto alla disoccupazione – 5) il
quoziente di suicidi – più basso rispetto al Nord e al Centro – 6) la percentuale di
frequentazione dei cimiteri - pari al doppio di quella che si registra al nord: segno di
un rapporto estremamente maturo ed interessante che si istituisce fra vita e morte – 7)
le pratiche di accoglienza nei confronti dei gruppi etnici stranieri - aspetto che
apporta benessere, sotto ogni profilo, anche quello economico.
Ed ancora ospitalità, pratica del dono, tensione solidaristica. “ Aspetti che vengono
per lo più criminalizzati, considerati fattori determinanti di fenomeni degenerativi.”
Alcaro ha poi sottolineato che tutto questo si richiama alla grande tradizione culturale
del Mediterraneo, che è sicuramente antinomica rispetto ai modelli imperanti di una
società capitalistica che miete le sue vittime, non solo a causa dei vistosi squilibri che
produce, ma anche rispetto a quegli aberranti processi di omologazione e
spersonalizzazione collettiva di cui essa è responsabile. Rispetto a questi modelli
capitalistici, quelli mediterranei non è improprio definirli una forma, forse
inconsapevole, di strenua resistenza, con il carico di potenziale eversivo che si
portano dentro.
Perciò, “è importante delineare un modello alternativo di sviluppo”- ha concluso
Mario Alcaro – che si prefigga degli obiettivi volti innanzitutto alla difesa e alla
valorizzazione del territorio e del mare, attraverso un più appropriato utilizzo delle
risorse e l’elaborazione di idee; perché gli elementi positivi del Mezzogiorno
rientrino nei modelli di civiltà, per chi vuole rimanere persona, per chi non vuole
continuare a vivere in questa dimensione effimera e alienante, dove si vive e si muore
in solitudine.
“ Si deve uscire dalla gabbia interpretativa dello stereotipo che spiega il rapporto
nord-sud in termini di sviluppo e sottosviluppo, che non è altro che la premessa di
ogni processo di colonizzazione.” Queste parole le ha pronunciate Dino Greco,
segretario della Cgil di Brescia, che si è adoperato perché fosse possibile realizzare
questo “bizzarro” gemellaggio tra la Camera del lavoro di Cosenza e quella di
Brescia. Dino Greco ha tracciato una lucida e amara analisi delle condizioni di vita a
Brescia e in tutto il Nord-Est ritraendo, innanzitutto, il “teorema sviluppista”,
particolarmente diffuso al Nord, che si richiama a quella lettura tradizionale per cui è
necessario “coprire una distanza”, tra il Nord, sinonimo di ordine, benessere e
laboriosità, e il Sud, promotore di una quasi assoluta negatività, e “condannato, da
una sorta di sovradeterminazione etnica, a subire una discriminazione storicamente
determinata e insuperabile”.
Si tratta di guardare, con maggiore attenzione, al modello che si vorrebbe esportare:
quello, cioè, dello sviluppo industriale intensivo, che prevede che un’intera società
venga ad essere letteralmente fagocitata dal lavoro. E’ sintomatico, a tal proposito,
l’esempio – riportato dallo stesso Dino Greco- di “un piccolo grande paese”, come
egli lo ha definito, dove “il giudizio che riguarda l’integrità fisica e quindi morale di
una persona che ha le dita della mano al proprio posto è un giudizio critico”.
Basti considerare, per quel che concerne Brescia e provincia, “il dato relativo ai 6000
miliardi di vecchie lire bruciati in un anno nella speculazione finanziaria e, insieme a
questo, la descolarizzazione di massa: si lavora a partire dai quattordici anni, perché
le braccia sottratte al lavoro sono braccia sottratte al guadagno”. Si pensi, inoltre, “al
livello di cementificazione abnorme, al continuo sventramento di terreni agricoli, al
tasso di inquinamento dell’aria sempre più insostenibile, o ancora alla straordinaria
concentrazione di ipermercati, meta domenicale di gite di massa per famiglie”.
Ne emerge uno spettacolo sconcertante: ogni cosa, dalle persone alle risorse naturali,
viene travolta da questa perversa spirale di consumo, rispetto a cui pare nessuno
abbia il coraggio di interrogarsi. Uno spettacolo che, ha continuato Greco citando
Debord, è “ l’erede di tutta la debolezza del progetto occidentale, che fu pure una
comprensione dell’attività, dominata dalle categorie del vedere; così come si fonda
sull’incessante spiegamento della razionalità tecnica che è uscita da questo pensiero.
Esso non realizza la filosofia, filosofizza la realtà. E’ la vita concreta di tutti che si è
degradata in un universo speculativo”.
Una realtà, quella descritta da Dino Greco, in cui “il modello mercatocentrico è
pregnante”, in cui non esiste, di fatto, un’autentica coesione sociale, a meno che non
la si voglia intendere in termini di forza produttiva.
Il segretario della Cgil di Brescia ha riportato la sua esperienza politica diretta,
rispetto alla spinosa questione che riguarda l’articolo 18, “perché le imprese, per
crescere, non hanno bisogno di togliere di mezzo i diritti, di liquidare la giusta causa
dei licenziamenti collettivi”.
Il Cantiere può costituire, quindi, il tentativo utile per ricercare nuovi orizzonti,
attraverso cui riscoprire il senso profondo della pratica democratica, della
compartecipazione. Se si vuole operare in questa direzione, è indispensabile “che la
comunicazione non coinvolga solo élite di intellettuali, ma che diventi anche pratica
sociale”.
Il segretario della Cgil di Cosenza, Massimo Covello, ha insistito sulla necessità di
intendere il Cantiere innanzitutto come “luogo del fare”, capace di raccogliere
istanze, di elaborare nuovi propositi e, sulla base del confronto, sottoporli a verifica
critica.
Partendo da Cosenza, che si è riscoperta orgogliosa, civile, “con delle forti energie
politiche e culturali”, bisogna che nel Cantiere “affermare una dialettica che stimoli
il rilancio del modello democratico, in un contesto in cui persiste una generale
situazione di diritti negati”.
“In Calabria, infatti, prevale una logica di sfruttamento delle risorse, che è coerente
con il modello economico imperante nel mondo.”E’ oltremodo fondamentale
adoperarsi, affinché la Calabria, “terra di dissesto geologico, di urbanizzazione
scriteriata, di montagne e di mare non valorizzati” si orienti verso una politica che le
consenta di riconvertirsi, attraverso anche la riorganizzazione dello stato sociale.
È stato poi il turno di Franco Piperno, docente UNICAL e Assessore al Comune di
Cosenzache è intervenuto nella discussione introduttiva affermando di provare
sconcerto nell’ascoltare il Rettore dell’università e il sindaco di Rende affermare che
l’Unical deve divenire un volano di sviluppo per il territorio, quando perfino negli
USA si è visto che i luoghi della ricerca e i luoghi della produzione industriale
divergono totalmente: la catena informatica, nata in gran parte sulla costa
dell’Atlantico si è poi sviluppata industrialmente da tutt’altra parte, sul Pacifico.
Piperno ha insistito su quanto sia ingenuo pensare che l’università di per sé possa
creare impresa, a meno che “non si intenda ciò che fanno molti professori universitari
che invece di fare didattica hanno trovato il modo di intercettare fondi da qualsiasi
parte essi provengano, frequentando ambienti manageriali e riducendo l’università al
rango di una azienda che produce mano d’opera più o meno qualificata”.
Ha poi proseguito sottolineando come il guaio principale del sud è “quell’attitudine
all’autodisprezzo che ci viene dal processo unitario e che ha fatto nido fra i
meridionali stessi divenendo nel tempo, più che un problema politico, un aspetto
sentimental – psichiatrico”. Secondo Franco Piperno bisogna partire dal
capovolgimento dei canoni di povertà e bellezza. Il Sud non più come un luogo di
miseria e tristezza la cui qualità della vita viene misurata da molti politici ed
economisti con gli strumenti della statistica economica (reddito procapite, pil ecc).
“E’ un’impostazione che va rovesciata essendo un portato della modernità cui non
abbiamo partecipato: l’industria è la modernità ma oggi siamo in una fase che noi
indichiamo con un termine privativo come post –modernità e con il quale definiamo
lo sviluppo e l’affermazione di tutte quelle tecniche, anche di produzione, che hanno
sostanzialmente radici ed elementi irriducibili alla merce. Noi viviamo già in una
condizione di eccedenza, di ridondanza, di abbondanza. È rispetto alle prospettive
che lo sviluppo delle nuove tecnologie e delle nuove fonti energetiche consegnano
anche al Sud che dobbiamo confrontarci, non sul PIL o su altri astratti parametri
statistici”.
Il Cantiere Piperno lo intende come il luogo dove si cerca la via per rinominare,
trovare altre parole che indichino la condizione in cui vive realmente il Sud, luogo
nel quale si creano le condizioni per un esodo semantico da parole che, a cominciare
dal binomio “progresso – sviluppo”, provengono direttamente dalla fase
industrialista, figlia di ideologie ottocentesche da cui bisogna liberarsi rapidamente
perché profondamente inadeguate se rapportate ai desideri e ai bisogni dei cittadini di
oggi. “Dunque uno degli obiettivi – ha continuato Franco Piperno - è mettere i luoghi
al centro dell’attenzione. Il protagonismo sociale prima che con i partiti si manifesta
attraverso i luoghi, le città e i municipi soprattutto, intorno ai quali abbiamo la
possibilità di ricostituire senso e significato sociale”.
“Se è vero che il problema alle nostre latitudini non è economico ma di mentalità –ha
concluso Piperno - è indubbio che ci tocca affrontare la struttura distorta dei consumi.
Credo infatti che seppure a Cosenza il reddito diventasse uguale a quello di Brescia,
ciò non inciderebbe sul tipo e la qualità dei consumi, anzi assisteremmo molto
probabilmente ad un aumento a dismisura di automobili e cellulari. Possiamo reagire
dal basso? È possibile avere un’innovazione, un mutamento dei consumi dal basso, è
possibile che i nostri cittadini invece di consumare merci investano in relazioni
sociali, in opere artistiche o culturali, in azioni sociali perfino in pettegolezzi,
equitazione, scienze, musica o che altro? Credo di sì, a patto che si smetta di dire che
il principale problema per il Sud è la mancanza di lavoro. Credo si debba piuttosto
mettere l’accento sulla difficoltà, per i nostri giovani, a gestire il tempo liberato dal
lavoro, che oggi è noia. Dobbiamo intervenire sul tempo libero che hanno a
disposizione i giovani, che è energia creativa di cui abbiamo tutti bisogno per favorire
partecipazione attiva alle scelte che riguardano il buon vivere urbano”.
Piero Bevilacqua, storico e docente alla Sapienza di Roma, nel suo intervento è
partito da una riflessione generale: l’agricoltura industriale, nel mondo, attraversa un
momento di crisi profonda, testimoniata anche da uno studio di recente uscito negli
USA che ne dà un quadro puntuale e disastroso. Bevilacqua ha sostenuto che
l’agricoltura industriale consuma di gran lunga più energie di quanto non ne fornisca
in termini di beni e prodotti alimentari: per un solo kg/caloria di carne di manzo,
occorrono circa 200 kg/calorie di mangimi innovativi di tipo chimico–sintetico che
danno comunque impulsi decrescenti alla produttività, dovendo utilizzare agenti
chimici e pesticidi sempre più potenti per via della specializzazione che i parassiti
sviluppano, e dovendo accollarsi dunque costi sempre maggiori di
approvvigionamento di sementi e prodotti chimici.
Secondo lo storico “ l’agricoltura industriale è una macchina ormai di distruzione
delle risorse naturali. Diserbanti e pesticidi, concimi di sintesi e in particolare l’azoto,
che almeno dalla II guerra mondiale in poi hanno costituito la leva dell’incremento
della produttività, oggi appaiono come fattori responsabili dell’inquinamento della
falde acquifere, come riconosciuto da importanti organizzazioni internazionali ”. Di
fronte ad una macchina sempre più costosa ed insostenibile, come esito produttivo si
ha il paradosso di prodotti sempre più scadenti, privi di qualità e rischiosi per la
salute umana. Al contempo questo modello di agricoltura ha svuotato le campagne e
spinge sempre più a sostituire il lavoro vivo con macchine e dispositivi tecnici.
“L’aspetto grave – secondo Bevilacqua - è il tentativo di trasferire questo modello di
agricoltura industriale nei paesi in via di sviluppo, dimenticandosi che ciò
significherà uccidere il pianeta, provocando l’allontanamento dai campi di milioni di
individui, spingendoli in immense metropoli con esiti disastrosi per l’ambiente delle
campagne ma anche per la qualità della vita delle città”. Questo modello si deve e si
può invertire perché vi sono tendenze in atto che bisognerebbe favorire ed
accompagnare da parte delle istituzioni mondiali e locali. Oggi è necessario che si
pensi “ad un ritorno alle campagne in modo nuovo, perché le vecchie forme di
agricoltura tradizionale abbandonate e dismesse, bollate come arcaiche ed arretrate,
possono ricostituirsi come modelli di agricoltura organica, biologica e sostenibile. Si
deve tornare alla campagna con i nuovi saperi, con le nuove strumentazioni, con
quanto di buono è possibile ricavare dalla fase storica dell’agricoltura industriale, il
ritorno alla campagna è possibile perché si possono produrre beni e prodotti di qualità
dando anche, per questa via, una possibilità di affermazione di mercato alla piccola
agricoltura”.
Ritornare alla campagna è possibile dunque anche per prospettive non utopiche ma
concrete di mercato: negli USA stanno risorgendo i mercati contadini, si assiste ad
una tendenza, da parte dei cittadini, ad acquistare non più o non solo negli
ipermercati ma nelle piazze che periodicamente vengono adibite a mercato contadino.
Per Piero Bevilacqua “il fenomeno è interessante: la piccola agricoltura rinasce alla
periferie delle città, riutilizzando anche aree industriali dismesse per impiantarvi orti
che riforniscono di beni agricoli freschi le città. Negli USA dall’inizio degli anni ’90
c’è stato un incremento del 15-20% annuo dei prodotti dell’agricoltura organica,
divenendo il settore più dinamico, e lo stesso si può affermare per l’Europa e l’Italia”.
L’intervento di Gianni Fabbris, rappresentante forum contadino-altragricoltura
ha rappresentato un contributo di informazione ma anche di proposta : Fabbris ha
infatti dato notizia della costituzione di un forum sociale mediterraneo a Barcellona,
(marzo 2004), frutto di un processo concreto, in atto, di iniziative di lotta e
appuntamenti di riflessione sulle pratiche sociali del movimento in tema di
agricoltura, energia, ambiente e flussi migratori.
Secondo Gianni Fabbris, Barcellona sarà il luogo dove non solo ragionare sulle forme
del “capitalismo globalizzato che ha cambiato le carte in tavola attuando un processo
di trasformazione di questo pianeta, giungendo a ridisegnare la geografia, ma
costituirà anche l’occasione per avviare il tentativo di rinominare la condizione di
vita del nostro sud come tutti i sud inserendola all’interno di un percorso collettivo
che nel mondo stanno facendo i movimenti sociali”.
Fabbris si è chiesto che senso abbia oggi parlare di stati nazionali di fronte alla
organizzazione mondiale del commercio, all’abbattimento delle tariffe, allo scontro in
atto per trasformare il pianeta in un unico mercato delle merci globali e alla de-
strutturazione dei servizi e dei diritti.
Alla luce di queste grandi modificazioni, “io credo – ha continuato il rappresentante
di Altragricoltura - che un percorso nel Mediterraneo sia per noi un terreno nel quale
poter compiere un tentativo di rilettura del nostro ruolo, delle questioni che ci
riguardano, un tentativo per costruire un senso ed uno spazio”.
Dal 2005 al 2010 in Europa e nel Mediterraneo si tenterà di costruire con
l’accordo Euromed, uno spazio aperto alla circolazione delle merci, governato dalle
leggi del mercato ma negato alla circolazione delle persone, uno spazio politico che
militarizza i territori, che garantisce il primato dell’economia sui soggetti. Questo
processo preparato da decenni sarà la frontiera verso cui volgersi, per ricollocare il
senso del nostro essere sud, per capire le nostre realtà sociali assieme alla Turchia,
all’Egitto, al Marocco, alla Spagna, alla Grecia, un’opportunità per fare convergere
gli sforzi sinora prodotti, in maniera separata/segmentata, seppure con grande
volontà. Fabbris ha concluso sottolineando l’importanza “di individuare dei terreni
comuni per ridefinire che cos’è nell’epoca della globalizzazione neoloberista lo
spazio del Mediterraneo e questo sud. Secondo
La nuova scommessa del sistema economico mondiale è sulla sicurezza, anche lo
sviluppo dei settori industriali è legato alla sicurezza”. Secondo Perna, dunque, non
basta aver scoperto che lo sviluppo ha fallito ma è necessario capire le ragioni del
fallimento, e dove sta puntando il sistema che conta.
“Per questo – ha affermato Perna - se non possiamo parlare più della questione dello
sviluppo del Mezzogiorno, è necessario soffermarci sugli scarti dello sviluppo, di
cosa succede cioè quando il processo di sviluppo capitalistico si arresta lasciando sul
campo, come è facile osservare dalle nostre parti, rovina, disastri ambientali, genocidi
culturali. In ogni caso lascia qualcosa. E’ questo qualcosa che bisogna riprendere e
trasformare a nostro vantaggio: parlo della possibilità di mettere a disposizione
esperienze, di condivisione di tempi e spazi, fra chi è povero di tempo e di spazio (e
la società di Brescia come ci è stata descritta stata descritta potrebbe essere un
esempio) e chi è ricco di tempo e di spazio come nelle nostre società meridionali.
Come è possibile questo? Attraverso una rete che connetta saperi ed esperienze”. Per
Tonino Perna si tratta di avere la capacità di creare progetti, in loco, sviluppare una
progettualità che dimostri la capacità del sud di innovare se stesso, di ri–pensare se
stesso.
A questo proposito il Presidente del Parco dell’Aspromonte ha riportato l’esperienza
fatta con un gruppo di sindaci dell’Aspromonte che hanno elaborato e portato in giro
per l’Italia la Carta della Civiltà in cui al primo punto c’è l’ospitalità come valore, al
secondo l’amicizia e al terzo la convivialità: “questo documento ha destato
l’attenzione e soprattutto riscosso un successo inaspettato se non altro perché era
forse la prima volta che qualcuno dal sud non fosse lì a chiedere un prestito a fondo
perduto ma a sostenere quale fosse la propria idea di civiltà”.
Perna ha poi dato notizia della costituzione di una società pubblica di energia eolica,
che entrerà in produzione entro l’anno, attraverso la collaborazione di 9 sindaci di
Comuni ricadenti nell’area del Parco, un esempio di come sia possibile mettere
insieme intelligenze e capacità di impresa sociale. Secondo Perna è dunque
“necessario innanzitutto creare opportunità, iniziativa, sviluppare delle progettualità
partendo dalla specificità dei luoghi, tenendo in considerazione una componente
essenziale che è quella del legame sociale e la necessità di creare un centro che
connetta le forme di cooperazione decentrata nord-sud.
È stato poi il turno di Alba Sasso, parlamentare dei DS, che riconoscendo
l’innovatività con cui sono state affrontate questioni circa i paradigmi con i quali è
cresciuta una parte anche grande della sinistra, primo fra tutti lo sviluppo, ha
affermato che oggi “un nuovo terreno di scontro si apre sulla formazione, sul
tentativo di assoggettare la scuola alle leggi del mercato rischiando di far diventare la
formazione terreno di nuove e più profonde forme di esclusione sociale.
La parlamentare diessina si è soffermata sul pericolo che attraverso le direttive
dell’organizzazione mondiale del commercio si arrivi ad espropriare i governi e i
parlamenti di ogni decisione, arrivando ad inserire negli accordi commerciali beni
primari quali l’istruzione e la sanità: “in questo modo, se istruzione e sanità non
saranno diritti di tutti diventeranno beni acquistabili solo da chi se lo può permettere,
verrà meno l’obbligo degli stati di ridistribuire risorse, di garantire diritti, di
rimuovere condizionamenti sociali, culturali, territoriali che limitano le condizioni
per una effettiva uguaglianza di opportunità”.
Alba Sasso ha infine paventato il rischio di immaginare la scuola e il sistema dei
saperi come un percorso di addestramento, lasciando il lavoratore inerme di fronte al
cambiamento. Se è giusto ripartire dai luoghi, sarà indispensabile valorizzare le
scuole civiche di formazione permanente e “soprattutto investire nel sapere e nella
competenza perché tale investimento può svolgere un ruolo importante per la
coesione sociale, per l’identità delle persone, per una crescita di tutti. A ciascuno
spetta una ruolo, l’istruzione e la formazione hanno l’obbligo di fornire a tutti le
risorse di cultura e di conoscenza necessarie per ogni successivo apprendimento”.
![]()