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Un grande socialista

di Emilio Cozza


Il carattere che ha contraddistinto di più la figura del politico Giacomo Mancini è stata la capacità di tradurre i progetti in realtà. L’altro grande merito è stato quello di saper cogliere il nuovo ed il diverso che la società esprime attraverso forme di ribellione al vecchio che solo alcuni “esploratori” riescono a percepire. Un esempio è stata la campagna elettorale del 1975 per le amministrative di Cosenza, il cui risultato permise di dare vita alla prima Giunta di sinistra nel Mezzogiorno. Ebbene, G. Mancini, dopo un accesissimo confronto con il sottoscritto, prima delle elezioni, in presenza di un esterrefatto prof,. Walter Pedullà, si fece convincere della possibilità di vincere il confronto con la potente DC dell’epoca, che era padrona assoluta della Cassa di Risparmio e di tutti i centri di potere locali e nazionali.
Io avevo avvertito e cavalcavo subito un grande desiderio di cambiamento, presente soprattutto nei ceti popolari, rispetto a questo strapotere della DC, ma altri compagni, molto vicini a Giacomo, mi indicavano come un esaltato estremista di sinistra che sognava ad occhi aperti, giacché indicavo nei comizi una ipotesi di sinistra che era contro l’evidenza dei rapporti di forza che sembravano, ai loro occhi, essere immutabili. Il risultato mi dette ragione, anche perché Giacomo, dopo una lite, si convinse delle mie appassionate motivazioni, fece propria la battaglia ed utilizzò subito tutte le armi della sua esperienza per vincere quella sfida “impossibile”. Questo era l’uomo, assertore delle proprie convinzioni sino all’inverosimile, ma capace di modificarle facendo proprie le sfide più ardue. Il 1972, al Congresso di Genova, denunciò le trame che i Servizi Segreti e altri apparati deviati dello Stato avevano messo in atto per fermare qualsiasi spinta riformista di cui i Socialisti erano i principali artefici, anche a costo di dare vita ad un colpo di Stato, preceduto dalla strategia della tensione.
In quell’occasione, ascoltando i suggerimenti di Piero Ardenti, Giacomo ebbe il coraggio di denunciare quelle nefandezze nel modo più incisivo possibile e tale fu la sua risposta politica alla campagna scandalistica del “Candido”, manovrata dal presidente della Montedison e dai Servizi Segreti deviati.
Ho citato questi significativi esempi per dire che il politico Mancini era capace di ascoltare, comprendere e fare proprie le idee anticipatrici e la sensibilità di alcuni suoi consiglieri, per poi “tradurle” in una realtà politica generale, nelle forme incisive che solo i grandi uomini riescono ad esprimere.
Il suo presunto “provincialismo” o meglio la sua “calabresità”, se intesi quali limiti della sua azione politica, sono una offesa alla sua grandezza di politico socialista e realmente riformista.
Molto di più è stato Giacomo Mancini e la storia gli riconoscerà i meriti che gli spettano; in quanto al grandissimo attaccamento alla sua terra, esso rappresenta l’aspetto umano e la sensibilità sociale di un figlio della Calabria che ha dimostrato con i fatti di esserne stato un degno alfiere. Per un secolo milioni di calabresi sono emigrati prima della stagione del Centro Sinistra, iniziata nel 1963. Oggi, anche grazie a lui, noi calabresi abbiamo nelle nostre mani la chiave di un futuro accettabile che, sono certo, sapremo migliorare anche senza di lui.
La sua vita e il suo esempio sono la vera eredità con cui si dovranno misurare le generazioni presenti e future; erede sarà colui che agirà con l’identico giovanile entusiasmo, che lo ha animato sino alla fine, unito ad una incrollabile volontà. Chi avrà questo filo tesserà la tela politica socialista e riformista in Italia e in Calabria.



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