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Sulle primarie per le elezioni regionali

di Damiano Guagliardi


Sulla introduzione delle primarie come elemento di selezione e di qualificazione dei candidati mi sembra opportuno differenziare preliminarmente i soggetti proponenti in due blocchi fra essi differenti, se non alternativi.
Il primo, nato dentro il centrosinistra, ha come portavoci autorevoli personalità dei Democratici di sinistra e, in qualche caso, della Margherita; il se condo, sulla scia del dibattito aperto dal prof. Gambino su Ora Locale, è espressione della sinistra diffusa e articolata che, tendenzialmente, si identifica con il recente progetto dei Cantieri meridionali.
Per chi conosce la geografia degli schieramenti politici e l’articolato dibattito sulla crisi politica, sa che i due blocchi sono culturalmente e politicamente alternativi se non contrapposti rispetto all’idea di democrazia interna ai partiti.
I primi partono dall’esigenza di dare sbocco definitivo alla difficoltà di scegliere per le prossime regionali un candidato a presidente adeguato a contrastare quello delle destre. Una ennesima mediazione pasticciata, che non scioglie il nodo vero che esiste nel centro sinistra tra le voglie egemoniche dei partiti più grossi e le legittime spinte di pari dignità dei partners minori. Siamo di fronte ad una proposta di estrema ipocrisia che sottolinea le difficoltà del vecchio centrosinistra a chiudere il cerchio delle alleanze, e sottoli nea pesantemente la debolezza di chi aspira a governare la coalizione, ma sente di non avere l’autorevolezza del consenso comune. Ciò mette a nudo la difficoltà di dialogo e di lavoro comune tra i vari livelli di rappresentanza istituzionale - parlamentare, regionale e delle autonomie locali - di questo schieramento politico.
Ben più articolato e complesso è il ragionamento del blocco legato ad Ora Locale, che vede nelle primarie il momento conclusivo del processo di riforma della democrazia bipolare. In questa prospettiva il dibattito non subi sce il condizionamento della scelta contingente, ma guarda in avanti dentro uno scenario più ampio di funzionamento della democrazia rappresentativa e della formazione della classe dirigente. Cerca, in sostanza, non solo di sganciare il sistema delle rappresentanze dalle lobbies interne dei partiti, ma di trovare soluzioni efficaci nella formazione delle classi dirigenti politiche, soprattutto, meridionali.
E’ del tutto evidente che ritenendo negativo l’attuale sistema elettorale maggioritario e presidenzialista - dai sindaci ai governatori regionali - non posso essere d’accordo con l’introduzione delle primarie che è una soluzione efficace e necessaria laddove esiste un maggioritario autentico e un bipolari smo realizzato.
Questa mia riflessione, ovviamente, non scaturisce da posizioni ideologiche, bensì si basa sulla spinta di un bilancio, a distanza di dieci anni dall’introduzione del maggioritario, sullo stato della democrazia bipolare e del ruolo dei partiti nel sistema politico italiano, all’interno del quale, nel giro di poche settimane, nascono e muoiono contenitori di voti. Una sorta di clinex del consenso, usa e getta, in funzione temporanea del contingente e del particolare che si esaurisce in una sola tornata elettorale, ma da cui, purtroppo, si genera povertà culturale e ideale.
Molto schematicamente, per esprimere un giudizio più avanzato sul ricorso allo strumento delle primarie, che è indispensabile laddove una carta costituzionale e una legislazione elettorale maggioritaria autentica hanno già realizzato un consolidato sistema bipolare, penso sia necessario sciogliere alcuni nodi fondamentali sullo stato delle rappresentanze in Italia.
a)- Alla luce della crisi della globalizzazione e del pensiero unico, della rinascita dei movimenti sindacali e sociali, della spinta fortemente innovativa del movimento dei movimenti, la democrazia bipolare e la via al presidenzialismo, propedeutici al ricorso delle primarie, possono essere ancora considera ti la soluzione migliore della nuova democrazia rappresentativa? Io penso di no, anche in considerazione della forte conflittualità politica che esprime l’aspra contrapposizione parlamentare tra la Casa delle libertà e il Centro sinistra, e che si proietta con pari intensità anche nelle assemblee regionali.
b)- Quale ruolo diamo ai partiti? Possono continuare ad essere i luoghi della costruzione del consenso, della elaborazione dei progetti complessivi e alternativi, della selezione dei gruppi dirigenti per come lo erano i vecchi partiti di massa? Oppure i partiti devono essere strumento del conflitto sociale, della critica democratica, della organizzazione delle diversità e strumenti di rappresentanze di diritti e di bisogni, per come aspira una forza politica come quella in cui milito? O, infine, i partiti devono tristemente avviarsi ad essere le sede delle candidature, tutori di interessi particolari e indistinti, di controllo delle istituzioni attraverso la delega plebiscitaria ai capi degli esecutivi?
In altre parole il vero problema è quello di stabilire se in Italia siamo avviati verso un irreversibile sistema totalmente maggioritario, oppure se l’esperienza ci induce a riflettere sulla attuale assenza di democrazia nelle assemblee rappresentative e riposizionare le leggi sulla forma di governo.



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