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La pari dignità costituzionale di

comuni, province, città metropolitane e regioni dopo

(ed alla luce del) la riforma costituzionale


di Silvio Gambino


1. Le brevi riflessioni che seguono si prefiggono, in modo esplicito, di non sostituirsi a chi sarà impegnato nella prossima legislatura regionale nell'oneroso compito di dare attuazione alla riforma co- stituzionale in materia regionale e locale, in unum con le nuove previsioni adottate dallo Statuto della Regione. In altri termini, a me pare che non si possa e non si debba dare per scontata la conoscenza della nuova architettura costituzionale disegnata dal legislatore di riforma, relativa non solo ai rami alti dell'ordinamento (rapporto Stato-regioni) ma anche a quelli (per così dire) bassi (rapporti fra regioni ed altri 'enti autonomi della Repubblica', fra cui soprattutto comuni e province, in ragione del ruolo centrale occupato dagli stessi nell'attuazione del principio di sussidiarietà verticale. Così, nella Regione Calabria (al pari di quanto dovrà avvenire nel resto del Paese), potremo conoscere una nuova stagione istituzionale solo e nella misura in cui il Consiglio regionale (per quanto di sua competenza nel proce- dimento legislativo e con particolare riferimento alle nuove competenze statutarie del Consiglio delle autonomie locali, di cui al Tit. VI dello Statuto) e l'Esecutivo regionale, s'impegneranno a dare attua- zione alle formule statutarie della "partecipazione degli enti locali all'attività legislativa e amministrati- va regionale", della promozione della cooperazione con gli stessi in funzione degli obiettivi della pro- grammazione, della valorizzazione e della promozione dell'esercizio associato delle funzioni fra enti locali, nonché della valorizzazione delle associazioni di rappresentanza degli stessi. Questi ultimi costi- tuiscono appunto principi ispiratori del nuovo Statuto regionale in materia di rapporti regioni/enti lo- cali, che potranno tradursi in comportamenti istituzionali coerenti solo e nella misura in cui gli stessi diverranno patrimonio condiviso di tutte le forze politiche regionali.

2. Come è ormai noto anche ai non addetti ai lavori, le recenti riforme costituzionali (ma soprat- tutto la l. cost. 3/2001) hanno riformulato il quadro costituzionale dell'articolazione della Repubblica, rimodulando implicitamente la stessa (previgente) nozione di 'interesse nazionale', con la previsione di istituti di garanzia posti a tutela di beni costituzionali, quali l’unità giuridica o economica, la tutela dei "livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali", l'incolumità e la sicurezza pubbli- ca, nonché il rispetto degli obblighi di derivazione comunitaria e internazionale.
Con riferimento al regionalismo italiano, d'ora in poi non si dovrà più parlare, correttamente, di una formula di Stato regionale quanto piuttosto di una 'Repubblica delle autonomie'. In tale nuovo modello di Stato, la novellata Costituzione ha operato una equiparazione fra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato, ancorché a tale equiordinazione dei 'soggetti autonomi della Repubbli- ca' non corrisponda una pari forza giuridica nella potestà normativa agli stessi conferita. E soprattutto, lo Stato si è riservata una competenza legislativa esclusiva per assicurare che, alla nuova e più raffor- zata distribuzione territoriale dei poteri (competenze legislative e amministrative), non corrispondano discriminazioni fra i soggetti nell'esercizio dei propri diritti fondamentali (civili e sociali).
In altri termini, nell’assegnare alla legislazione esclusiva dello Stato la materia/funzione della “de- terminazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, la novellata di- sposizione costituzionale (art. 117, II co., lettera m) si prefigge di assicurare la garanzia del principio di eguaglianza di fronte alla legge – che è da intendersi, soprattutto, come eguaglianza di fronte alla Costituzione – “su tutto il territorio nazionale”.
Il legislatore di revisione, inoltre, si muove in un quadro teorico-costituzionale nel quale si assume come definitivamente superato il modello (giacobino) dell’uniformismo e del centralismo al quale ha corrisposto, nella prassi, una legislazione regionale sostanzialmente omologa (legislazione ‘fotocopia’ e talora non sempre metaforicamente).
Al legislatore (statale e regionale) nonché al sistema autonomistico della Repubblica, nell’esercizio dei poteri normativi di cui sono attributari, e nel rispetto del principio di 'sussidiarietà' e di 'leale collaborazione', compete di assicurare la tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica ed in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescin- dendo dai confini territoriali dei governi locali, potendo lo Stato-Governo, in ogni momento, sostituir- si agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nelle ipotesi normati- ve fissate in Costituzione.

3. Rispetto a tale nuovo quadro costituzionale, un primo rischio di svalorizzazione delle nuove scelte costituzionali potrebbe essere costituito da una re-interpretazione (iper-)centralistica dell’interesse nazionale, tale da pregiudicare le stesse aperture (accolte negli artt. 114, 117, 118 e 123 Cost.) con riferimento alla pari dignità costituzionale degli enti autonomi costitutivi della Repubblica. Per ovviare a tale rischio e contrastare le letture ‘continuiste’ della riforma, che ne potrebbero even- tualmente derivare, il nuovo testo costituzionale ha previsto il principio della 'sussidiarietà' e quello del- la 'leale collaborazione' come vincoli da farsi valere specificamente nell’esercizio dei poteri sostitutori (di cui all’art. 120 Cost.).
Il nuovo quadro normativo, con riferimento alle autonomie locali, pertanto, non modifica l’assetto formale dei poteri normativi di cui gli stessi sono titolari. Rispetto al previgente art. 128 Cost., l’art. 114, II co., Cost. assicura la diretta garanzia costituzionale della potestà statutaria di tutti gli enti auto- nomi della Repubblica. Nell’art. 117, VI co., Cost., inoltre, si garantisce agli enti locali la potestà rego- lamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Tale potestà costituisce, a sua volta, un limite verso il basso per la stessa potestà regolamentare delle regioni (nelle materie di loro competenza concorrente e residuale/esclusiva).
Lo statuto degli enti locali conserva la sua natura giuridica di atto amministrativo generale; tutta- via, esso non trova più la sua fonte di legittimazione in una legge generale della Repubblica, che ne fis- sa i principi, bensì direttamente nella Costituzione. In tal senso, il Testo unico degli enti locali (adottato con D.Lgs. n. 267/2000), nelle parti non attinenti alla disciplina delle materie di competenza esclusiva statale (di cui all’art. 117, II c., lettera p, Cost.), conseguentemente, deve ritenersi viziato da incostitu- zionalità sopravvenuta, non rientrando nella competenza statale di intervenire in materia di ordinamen- to degli enti locali al di là delle tre sole materie che lo Stato si è riconosciuto (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane). Lo stesso TUEL, tuttavia, conserva una sua validità con riferimento alla legge regionale, ora competente a disci- plinare le parti dell’ordinamento locale che non rientrino nell’ambito della lettera p dell’art. 117, II co., Cost.. Tale legge regionale, tuttavia, non potrà che assumere la natura di legge di princìpi.
Tanto richiamato circa la natura e la forza giuridica dello statuto degli enti locali alla luce del no- vellato art. 114, II co., Cost. e dell'abrogazione dell’art. 128 Cost, s’impone ora di riflettere sulla se- conda potestà normativa riconosciuta agli enti locali (dall’art. 117, VI co., Cost.), nella parte in cui prevede che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. La disposizione ha ef- fetti su di un insieme di rapporti fra fonti: quello fra regolamenti locali e statuti locali, quello fra rego- lamenti locali e legge regionale, quello fra regolamenti locali e potestà regolamentare regionale, quello fra regolamenti locali e legge statale, ed infine quello fra regolamenti statali e regolamenti regionali. In ragione della tecnicità della questione, non si ritiene utile parlarne in questa sede, ma rimane conferma- to che il rispetto della pari dignità costituzionale del sistema autonomistico passa per la corretta inter- pretazione/attuazione di tale innovato sistema normativo.
Un profilo di discontinuità rispetto all’ordinamento previgente, in modo particolare, concerne i rapporti fra regolamenti locali e legge regionale. Il previgente ordinamento assegnava all’esclusiva competenza della legge statale l’intera disciplina dell’ordinamento delle autonomie locali. Tale legge, per assicurarne l’autonomia, si qualificava come legge di princìpi, rimanendo esclusa alla stessa ogni disciplina di dettaglio, la cui competenza ricadeva nella materia statutaria. Tema – quest’ultimo – non scevro di aspetti problematici, quando si rifletta: 1) all’incerta forza gerarchica della legge di princìpi, in un sistema normativo che non prevede leggi organiche o leggi cosiddette “di base”, con forza mate- riale e formale gerarchicamente sovraordinata alla fonte legislativa ordinaria, e 2) all’assenza di ade- guate garanzie costituzionali dell’autonomia locale e delle sue fonti rispetto alla (non astratta) ingeren- za delle leggi statali e regionali, che si atteggino come disciplina di dettaglio su materie di competenza statutaria. Il nuovo riparto normativo disegnato dalla revisione costituzionale capovolge tale assetto, re- siduando alla legge statale, come si è già detto, i soli ambiti materiali di cui alla lettera p dell’art. 117, II co., Cost..
Ne consegue, pertanto, che in ordine a tutte le altre componenti dell’ordinamento locale (ad es. regime dei controlli, forme associative, ecc.) è innovativamente ‘riconosciuta’ una competenza regio- nale di tipo residuale (sia legislativa che regolamentare), atteso che nell'ambito della legislazione con- corrente manca ogni riferimento competenziale alla materia dell’ordinamento locale.
I problemi di rapporto e di garanzia degli ambiti normativi costituzionalmente assegnati, rispetti- vamente, alla potestà regolamentare delle regioni e degli enti locali, si pongono con riferimento alla sussistenza di una competenza regolamentare regionale nella materia dello svolgimento delle funzioni ‘attribuite’ degli enti locali. In altri termini, a fronte della potestà regolamentare generale (residuale) delle regioni, pare doversi individuare lo specifico ambito materiale di competenza regolamentare loca- le (ai sensi del VI co. dell’art. 117 Cost.) nella “organizzazione e (nel)lo svolgimento delle funzioni lo- ro attribuite”, da intendersi come limitate al rilievo organizzatorio e funzionale interno all’ente mede- simo, ed in particolare con riferimento ai rapporti interni fra organi, fra uffici e con la popolazione. Al contrario, in riferimento ai rapporti esterni dell’ente, relativamente dunque ai rapporti inter- istituzionali, alla competenza statale può subentrare la competenza regolamentare della Regione, limi- tatamente alle sole materie di propria competenza.

4. Un’ultima conseguenza della riforma è da individuarsi nella limitazione della potestà legislativa regionale ai soli princìpi relativi allo svolgimento delle funzioni proprie degli enti locali (‘legge leggera’ o limitata “ai sommi princìpi”). Di conseguenza, rimane preclusa alla legge regionale ogni possibilità di disciplina di dettaglio, pena l’incostituzionalità per lesione della sfera di autonomia locale.
Questione del tutto particolare è la vexata quaestio delle funzioni degli enti locali ‘fondamentali’, ‘proprie’, ‘attribuite’ e ‘conferite’ sulla base della lettera del nuovo testo costituzionale, con riferimen- to all’ambito materiale di normazione locale.
L’art. 118 Cost. (letto in combinato con l’art. 117, II co., lett. p, Cost. e con l’art. 117, VI co., Cost.) origina importanti problemi interpretativi che impongono tanto uno sforzo ricostruttivo della dottrina, tanto una vera e propria negoziazione fra centro e periferia, tanto, ed ancora, una chiarifica- trice giurisprudenza costituzionale, che, tuttavia, rischia di dover 'riscrivere' la stessa riforma costitu- zionale con riferimento alla spettanza delle funzioni amministrative.
Le interpretazioni prevalenti delle funzioni ‘fondamentali’ degli enti locali si basano su una possi- bile equazione fra funzioni ‘fondamentali’ e funzioni ‘proprie’. La dottrina ha notato come tale equa- zione assegni alla legge statale la determinazione di tali funzioni, spettando alla legge regionale l’assegnazione delle sole funzioni ‘conferite’. Tale orientamento, tuttavia, non trova il conforto dell’art. 118, II co., Cost., che identifica la competenza legislativa in materia di funzioni ‘conferite’ tanto alla legge statale quanto a quella regionale. Rispetto a tale ipotesi ricostruttiva, più conforme al dato positivo costituzionale appare la lettura che vede nelle funzioni “fondamentali” quelle caratteriz- zate dalla indefettibilità, risultando debitrice in tal senso della caratterizzazione storica e funzionale de- gli enti locali, ed ascrivibili a “ponderate scelte di politica legislativa” (per come storicamente consoli- date, evolute e modificate nel tempo).
La questione, come si vede, rileva soprattutto in ragione del fatto che le diverse e possibili letture che si daranno delle funzioni “fondamentali” da parte del legislatore statale sono tali, nel fondo, da portare ad un ridimensionamento sostanziale dell’ambito di potestà legislativa regionale, costituendo una sorta di ‘titolo abilitativo trasversale’ di interferenza e di condizionamento della stessa.

5. Alla luce di queste nuove premesse costituzionali, sia in Calabria che nelle altre regioni del Pae- se, si tratta di porre mano ad un progetto di riordino delle competenze del sistema regionale/enti locali. Ma ciò che più rileva ai fini del rispetto dei principi costituzionali della 'leale collaborazione' e della sussidiarietà è che, nel farlo, le regioni devono previamente convenire con gli enti locali sui contenuti materiali dell'allocazione dei poteri amministrativi a valle della Regione.
In tale riallocazione territoriale dei poteri amministrativi ("conferimento" di funzioni am- ministrative) – che non significa più, come nel previgente ordinamento costituzionale, mera de- lega delle stesse – la Regione dovrà perseguire l'obiettivo istituzionale/costituzionale di ritagliarsi quelle sole competenze che ritiene necessarie al fine di assicurare l'unitarietà di esercizio delle stesse (dunque, diremmo, le sole competenze di programmazione, indirizzo e alta vigilanza). Nel farlo, tuttavia, la Regione, non potrà trascurare che, a fronte dell'esercizio di questo potere, cui è chiamato dalla riforma costituzionale, essa deve partire dal rispetto della previsione costituzio- nale che riconosce il Comune come l'ente sussidiario primario, in quanto più prossimo al citta- dino. Pertanto, le altre funzioni che la Regione conferirà ad enti come la Provincia e le città me- tropolitane, ma anche alle Comunità montane ed alle Unioni dei comuni, dovranno rispettare i principi costituzionali che vincolano la Regione in tale funzione riallocativa di poteri, che sono appunto i principi della sussidiarietà, della differenziazione e dell'adeguatezza degli enti destina- tari del conferimento. La Regione non dovrà parimenti trascurare nella allocazione dei poteri gli altri enti di autonomia funzionale; ciò anche al fine di dare vita ad un sistema territoriale ade- guato allo svolgimento delle funzioni dello sviluppo economico e della gestione dei servizi. A tale finalità, la Regione è chiamata anche in ossequio all'art. 7 della l. 131 del 2003, di attuazione del- la revisione del Tit. V Cost.
L'esito complessivo di tale riordino dei poteri territoriali, come si vede, dunque, è quello di una revisione generale della mappa dei poteri locali rispetto al previgente regionalismo praticato nel Paese e nella nostra Regione, finalizzata ad una nuova idea di regione di tipo 'leggero', impe- gnata nelle legislazione ed ormai 'alleggerita' dagli oneri amministrativi' (tranne quelli che per esigenze di garanzia di unitarietà di esercizio saranno considerate di spettanza regionale). Il perseguimento di tale obiettivo, tuttavia, dovrà avvenire in un contesto istituzionale che impone una nuova cultura politica, che è quella dell'accordo con il sistema autonomistico, un ac- cordo che, peraltro, è formalmente previsto nella richiamata legge di attuazione del riformato Tit. V Cost., da realizzarsi in sede di Conferenza Unificata, relativamente alla definizione delle politiche di trasferimento delle occorrenti risorse (umane, materiali e finanziarie).
Come si vede, dunque, il primo step di una politica regionale orientata a dare attuazione alle nuo- ve disposizioni costituzionali riguarda l'esercizio della legislazione di attuazione del sistema integrato territoriale (regioni/enti locali/enti funzionali). Infatti, non si potrà immaginare una compiuta attuazione della legislazione costituzionale in materia senza l'esercizio della legislazione di conferimento di fun- zioni, che, unitamente, determini i beni e le risorse finanziarie, umane e strumentali e organizzative da trasferire. Ciò deve dirsi per quanto concerne la prima applicazione della legge e comunque fino alla definizione costituzionale delle nuove regole in materia di attuazione dell'art. 119 Cost., che darà at- tuazione all'autonomia finanziaria del sistema regionale e locale (enfaticamente anche denominato fe- deralismo fiscale).
Tuttavia, nel farlo, il Consiglio regionale e l'esecutivo regionale (per quanto riguarda la rela- tiva iniziativa legislativa) non potranno più seguire gli orientamenti e le prassi (previgenti) di decisioni calate dall'alto, senza una previa consultazione e l'accordo degli altri livelli istituzionali del governo territoriale. In altri termini, occorre che, al modello previsto dalla legislazione stata- le (che rinvia a questo fine alla definizione di accordi in sede di Conferenza unificata), corri- sponda, al livello regionale, un omologo procedimento che coinvolga istituzionalmente (e dunque politicamente) le rappresentanze delle istituzioni territoriali diverse dalla Regione.
Lo strumento finalizzato a realizzare tale scopo istituzionale (accordi) è stato innovativamente previsto nel nuovo Statuto regionale (nel Tit. VI, relativo ai rapporti fra Regione ed enti locali). Si tratta, in tal senso, di avviare, fin da subito, un dibattito nel sistema autonomistico al fine di definire le linee istituzionali che, in conformità allo Statuto, diano immediata attuazione, con legge regionale, al Consiglio delle autonomie locali (art. 48 St.) e, in seguito, assumano i relativi pareri nell'ambito del procedimento di formazione della legge regionale. Tale nuovo organo re- gionale, secondo lo spirito ed i dettami del nuovo Statuto regionale, dovrà, infatti, esprimere pa- reri in materia di "determinazione o modifica del riparto delle competenze tra Regione ed enti locali … (di) istituzione di enti regionali, (di) conferimento o delega di funzioni e relative risor- se, (di) documento di programmazione economica finanziaria, di bilancio e di programma regio- nale di sviluppo" (art. 48, IV co., St. reg.). E' vero che il parere del Consiglio delle autonomie è concepito (e non poteva essere altrimenti) come obbligatorio ma non vincolante nel procedimen- to legislativo ma è altrettanto vero che esso consentirà di rendere possibile, in un innovato e ma- turo quadro delle autonomie territoriali, di ricercare e perseguire quella necessaria negoziazione legislativa, nel che si concretizza formalmente e materialmente, la ricerca di accordi e di intese nel sistema territoriale complessivamente considerato.
La prossima legislatura regionale, per tutte queste ragioni, qui solo accennate, non può che avere una natura ed una funzione realmente 'costituente' di un nuovo e più maturo regionali- smo/autonomismo.
Solo inserendosi nella nuova filosofia costituzionale, che ha ridisegnato l'architettura costituzionale del nostro Stato, sarà possibile al ceto politico (regionale ed autonomistico) di conseguire gli obiettivi attesi di un superamento dei ritardi storicamente accumulati nella Regione, dando vita, innovativamen- te, ad un nuovo e più maturo protagonismo della Regione nella legislazione e nell'alta amministrazione, riconoscendo, promuovendo e valorizzando ciò che già il legislatore costituzionale ha riconosciu- to/promosso/valorizzato in tema di nuovi rapporti fra regioni ed enti locali, ma facendolo mediante una legislazione di principi che impone che gli attori istituzionali del sistema sappiano calarsi nella nuova architettura costituzionale, dandovi coerente ed adeguata attuazione.
Chi sarà chiamato a questo compito deve essere conscio delle nuove sfide della sussidiarietà, che significano flessibilità, dialogo, concertazione, intesa e accordi fra Regione, enti locali ed enti funzio- nali. Solo ex post potremo dire se alla sfida hanno corrisposto pari impegno, cultura politica ed istitu- zionale nonché rispetto della pari dignità costituzionale degli enti che oggi compongono la Repubblica. Un forte auspicio di buon lavoro e di successo a chi sarà chiamato a dare un contributo fondativo della nuova Repubblica delle autonomie anche nella nostra Regione!



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