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Il sistema universitario e di ricerca e lo sviluppo della Regione

di Giovanni Latorre


Premessa
Il quadro politico e socio economico regionale in questi ultimi anni ha subito un ulteriore, visibile arretramento. La fase di costruzione del Programma di Sviluppo del Mezzogiorno, nel quadro della definizione di “Agenda 2000”, aveva sollevato aspettative e suscitato, anche nella Regione Calabria, grandi energie. Ampio è stato a suo tempo l’impegno dell’UniCal, che produsse sui temi dell’alta formazione e della ricerca, collegati in tanta parte allo sviluppo locale, una elaborazione di grande interesse che, purtroppo, non è stato possibile integrare nella programmazione regionale, in particolare nei "POR" di allora ma anche negli altri strumenti di programmazione negoziata che si sono succeduti (PIT etc).
L’UniCal, ma anche le Università Mediterranea di Reggio Calabria e Magna Graecia di Catanzaro si sono trovate ad agire fuori da un sistema regionale ed hanno dovuto realizzare, ognuna per proprio conto, una attività programmatoria e progettuale legata al PON (Programma operativo nazionale) della Ricerca ed agli altri strumenti nazionali e comunitari di sostegno allo sviluppo delle attività di alta formazione e ricerca. Questo limite del governo regionale ha impedito alla Calabria di collocarsi anche nell’ambito del coordinamento delle regioni meridionali per l’attuazione del PON Ricerca, riducendo pesantemente la capacità delle università e luoghi di ricerca di fornire ai propri programmi e progetti il valore aggiunto connesso all’azione "di sistema" che, tra l’altro, costituiva uno dei principale parametri di valutazione della Commissione per il finanziamento delle iniziative.
Si è persa, in buona parte, una occasione difficilmente ripetibile. Ciò che è testimoniato non solo dalla difficoltà nella spesa, quanto dal fatto che il prodotto interno lordo pro capite della Calabria, che "Agenda 2000" avrebbe dovuto far aumentare fino a portarci fuori dall’Obiettivo 1, ha subito negli anni scorsi incrementi modestissimi (+0,4% nel 2002): il termometro più eloquente della stagnazione economica della regione.

Guardare avanti, recuperare identità, rompere con la “dipendenza”
Occorre però guardare al futuro, creare le condizioni di un diverso sviluppo. Intanto, va sottolineato che, anche in un quadro regionale largamente inadeguato, le università e le strutture di ricerca hanno fatto in varia misura la loro parte. Due delle nostre università, nell’ultimo triennio, si sono distinte nei primi posti per qualità degli studi e dei servizi, nei rispettivi segmenti dimensionali, nell’indagine Censis - Repubblica. In particolare, l’UniCal si è aggiudicata, su base fortemente competitiva, finanziamenti per 20 milioni di euro sui PON del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), nonché tre centri d’eccellenza per complessivi altri 6 milioni di euro, finanziati, rispettivamente, due dal MIUR ed uno dal Ministero della Comunicazione, su temi molto innovativi come il Calcolo ad Alte Prestazioni, il Management della Conoscenza e le Nanotecnologie.
E questo è un fatto molto importante, per una regione che ha un bisogno pressante di rompere con una politica socioeconomica e culturale, e con una prassi amministrativo gestionale, fondata sulla dipendenza.
La Calabria, come il resto del Mezzogiorno, nel corso della sua storia post-unitaria, è stata oggetto, e lo è per tanti aspetti tuttora, di una politica assimilabile al modello classico di dipendenza: il colonialismo.
Si tratta di una dipendenza economica e culturale che ha condizionato pesantemente stili, modelli e aspettative di vita, le stesse impostazioni e prospettive di sviluppo economico (che oggi si traduce nell’accettazione, spesso acritica, della modernità), il paradigma dominante, che viene messo in discussione, come dimostrano molte interessanti ricerche, da una sempre più vasta schiera di grandi studiosi italiani e stranieri. A questa seria attività critica, da anni, stanno dando un importante contributo anche Ora Locale ed il suo direttore, che oggi ci propongono una prima traduzione di studi e analisi in proposte politico-programmatiche praticabili, da offrire ad una larga discussione per la costruzione di un programma regionale partecipato.
E’ chiaro che le radici della questione calabrese, e meridionale, non sono collegabili, né tutte né per intero, alla dipendenza, in particolare dal Nord. Vi sono, come è noto, fattori che precedono l’unità d’Italia: ma si può ben dire che, anche questi, sono successivamente confluiti nel contesto che si è strutturato con l’unità d’Italia. E’ con questo, dunque, che chiunque si voglia misurare con problemi di uno sviluppo che migliori qualità ed condizioni della vita delle popolazioni calabresi deve fare i conti.

Il ruolo centrale del sapere e della conoscenza. I sistemi universitari di ricerca ed istruzione: potenzialità e pericoli
Per quanto detto in precedenza il ruolo del sistema di istruzione, alta formazione e ricerca diventano centrali. E’ naturalmente allo stesso tempo richiesta molta attenzione, perché l’accettazione passiva dei canoni e dei paradigmi dominanti su cui si basano la società e l’economia della conoscenza, può ingenerare una nuova e più dura dipendenza unita ad un forte ridimensionamento dei diritti, alla mercificazione dell’educazione, della formazione, della ricerca, della conoscenza e delle stesse persone, ingenerando condizioni di “nuovo lavoro" e rapporti servili. Le stesse università, scuole e strutture di ricerca possono diventare lo strumento ideale di una simile operazione.
C’è quindi una duplice operazione da fare, per chi ha responsabilità di governo nel settore specifico nella regione e nel paese.
Pur riconoscendo giusta l’esigenza di qualificare la spesa del pubblico danaro, la prima operazione consiste nel sottoporre ad analisi critica le finalità che in questa fase ispirano le riforme della scuola, delle università, dei centri pubblici di ricerca, e i modelli istituzionali conseguenti, nei quali si trasferiscono meccanicamente, o si vorrebbero trasferire, logiche e sistemi operativo-gestionali e valutativi derivati dalla organizzazione delle imprese produttrici di merci o servizi.
La seconda operazione consiste nel disegnare un diverso rapporto tra università, scuola, ricerca e sviluppo, e tra università e territorio, che riprenda in buona parte, per restare nell’ambito della nostra realtà regionale, l’ispirazione originaria dell’Università della Calabria, intorno alla quale spesero, allora, grandi energie ed impegno, sia pure in una ampia articolazione di posizioni, tutto il gruppo dei docenti, ricercatori, personale tecnico ed amministrativo, studenti, il primo rettore dell’ateneo, prof. Beniamino Andreatta, e buona parte delle forze politiche e sociali.

Muoversi nel quadro della “ società e dell’economia della conoscenza”
Dentro questo schema di ragionamento si colloca la proposta che voglio sottoporre alla discussione. A ragione è stato scritto che “nel corso degli anni ’90, in particolare con lo sviluppo impetuoso dell’informatica e della microelettronica, divenute piattaforme tecnologiche diffuse in tutte le discipline e settori di attività, ma più in generale con una rapida accelerazione dell’innovazione, si è compiutamente realizzato un passaggio di portata strutturale: la transizione ad un modello economico in cui il valore aggiunto delle merci è dato in modo massiccio, e anzi in molti casi prevalentemente, dalla quantità di conoscenze in esso incorporate e/o necessarie a produrlo. La tendenza in atto, anche grazie all’elevato standard di efficacia tecnica dei processi produttivi, fa sì che la composizione del valore di un prodotto sia determinata in misura sempre crescente dal contenuto di innovazione, di tecnologia, e dunque di sapere incorporato. Anche in passato la quantità di conoscenza di una società rappresentava un fattore di vantaggio importante, ma il fenomeno ha raggiunto oggi un livello tale da trasformare il valore delle merci in senso immateriale, spostando la centralità del processo produttivo dal luogo fisico della produzione all’insieme dei processi di produzione e riproduzione delle conoscenze, che sono assunte come il fattore strategico fondamentale della competizione”, ma, aggiungo, che possono essere collocate anche in un’ottica che non è solo quella del mercato selvaggio ma di cooperazione, crescita solidale, tutela dell’ambiente, innesco di processi graduali di superamento dei grandi squilibri esistenti nel nostro Paese, ma anche a livello Nord-Sud del Mondo.
La nostra Regione, collocata al centro del Mediterraneo, può assumere un ruolo fondamentale in una visione euro-mediterranea, centrata su rapporti di cooperazione che assumono un significato decisivo per percorsi di pace, di nuovi rapporti tra le persone ed i paesi dell’una e dell’altra sponda.
Nel prendere atto di questa situazione bisogna aver chiaro, però, che la nuova centralità del sapere della conoscenza, della cultura, della formazione, è diventata il nuovo spazio d’investimento e controllo, di produzione ed imposizione di nuovi paradigmi e nuove visioni e divisioni del mondo, nonché delle conoscenze necessarie per nuove forme di dominio ed arricchimento.
La società della conoscenza si sta configurando, quindi come lo scenario più avanzato ed efficace nel quale realizzare i nuovi grandi investimenti, i nuovi paradigmi per leggere ed interpretare il mondo e le conoscenze necessarie per creare nuove forme di arricchimento e dominio: educazione, istruzione ed alta formazione sono spinte verso una impostazione tecno-scientista ed utilitaristica. Una concezione della scuola e dell’università utili alla formazione delle “risorse umane” necessarie al controllo del potere e della competitività sull’arena e sui mercati mondiali che può generare una nuova cultura improntata alla “esclusione” ed alla realizzazione di nuove forme di “apartheid globale”.

Le scelte e la programmazione in Calabria, fuori da questo contesto
Qui ritornano i temi iniziali, che per un verso rappresentano un’altra occasione fallita, ma per altro verso continuano ad essere il contesto in cui collocare una proposta efficace per far cambiare passo alla realtà calabrese. Ma perché ciò avvenga occorre una scelta netta: intervenire in maniera strutturale sul rapporto tra università, ricerca, istruzione e qualità dello sviluppo e della vita nella regione; e collocare nel solco di un serio intervento strutturale il recupero delle risorse, anche comunitarie, che si dovessero rendere disponibili nell’immediato, in sede di verifica e riprogrammazione degli interventi del quadro comunitario di sostegno 2000-2006.
Dubito che oggi ci siano le condizioni per avviare un intervento di tale natura. Credo che valga la pena avanzare una proposta aperta, da mettere a punto in un confronto ampio che investa tutta la realtà regionale: una politica regionale che punti ad un diverso sviluppo e ad una diversa qualità della vita deve partire da alcuni dati oggettivi che per comodità sintetizzo.
Oggi, anche volendo restare totalmente ancorati ad una visione che pone al suo centro la “competitività” tra aziende e paesi, dobbiamo prendere atto che il confronto non è più sulla quantità e qualità dei prodotti, dei loro costi di produzione e di mano d’opera. Viceversa, assistiamo a processi di de-industrializzazione segnati da difficoltà a riconvertire risorse ed attività, mentre emerge, come caratteristica della nuova economia, la progressiva smaterializzazione e la delocalizzazione delle attività produttive, in un quadro in cui l’euro ha cancellato ogni forma di competitività legata alla svalutazione monetaria.
E’ urgente quindi puntare ad una nuova politica della istruzione e della ricerca, ad un nuovo rapporto fra l’amministratore pubblico e la comunità scientifica, rispettando le singole autonomie ma in una visione di sistema, avendo ben presente che l’intervento pubblico è centrale in una economia della conoscenza, nella consapevolezza che la ricerca non può sostituire le politiche industriali ed economiche di una regione e di un paese. In ogni caso è di grande importanza spezzare, anche, l’autoreferenzialità della comunità scientifiche e rafforzare la valenza sociale della ricerca.
Sul come, non partiamo da zero. Abbiamo anche in Italia esperienze concrete; che hanno già dato frutti interessanti, dalle quali trarre spunto per un intervento di qualità nella nostra regione che punti, da un lato, a mettere a sistema le tre università, gli enti ed i centri di ricerca pubblici e, laddove esistano, quelli privati, il sistema scolastico ed educativo–formativo, dall’altro a collocare attivamente la Calabria nel contesto delle regioni meridionali.
Ricordo in proposito che il 20 ottobre 2000 fu siglato un protocollo d’intesa tra l’allora MURST (ministero università e ricerca scientifica e tecnologica), oggi MIUR ( ministero Istruzione,università e ricerca), e le Regioni dell’obiettivo 1, per l’attuazione del Programma Operativo Nazionale Ricerca (PON Ricerca), che, da un lato, individuava, in relazione ai fabbisogni di ricerca, sviluppo tecnologico ed alta formazione dei sistemi economici e produttivi regionali, i settori prioritari d’intervento [analisi e monitoraggio del rischio ambientale; trasporti; biologia avanzata e sue applicazioni; produzioni agroalimentari; conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali ed ambientali; nuove tecnologie per le attività produttive; tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ICT]. Dall’altro, puntava a realizzare un sistema di alta formazione e ricerca del e nel Mezzogiorno attraverso “la realizzazione di reti tematiche, di centri di eccellenza e centri di competenza, valorizzando le strutture che hanno maturato significative esperienze e competenze nella ricerca e nello sviluppo tecnologico e, ove necessario, creando le opportune integrazioni ed implementazioni della rete stessa.” (art. 5 del citato protocollo). Quel protocollo, che poneva le basi per la costruzione dei sistemi regionali e di un sistema meridionale di alta formazione e ricerca, è stato totalmente ignorato dalla nostra regione.
Nelle altre regioni dell’obiettivo 1, con l’eccezione della Campania, sul cui modello ritornerò, pur esprimendosi una progettualità maggiore, un più stretto rapporto tra singole università o enti di ricerca ed interventi dei governi regionali, cui ha fatto seguito una maggiore acquisizione di risorse, si è comunque rimasti nell’ottica tradizionale, fuori dalla visione di sistema ipotizzata dal protocollo citato.
Dove il protocollo ha avuto una sua interessante e dinamica applicazione è stato in Campania. Ed i risultati ottenuti in quella regione non richiedono ulteriori commenti sulla validità dell’impostazione: “Crescita del PIL dell’1,9% ( media nazionale 0,4%); 1550 nuovi occupati nel settore high tech nel biennio 2001-2002; rapporto università impresa: il 40% delle risorse del PON MIUR ASSE 1 (ricerca e sviluppo tecnologico nell’industria assegnato ad aziende campane); potenziamento dell’alta formazione: il 40% delle risorse del PON - MIUR ASSE III (rafforzamento ed apertura del sistema scientifico e di alta formazione) assegnato ad iniziative campane; forte integrazione delle politiche di innovazione nazionali e regionali- attivazione della filiera dell’innovazione.

Una proposta per la Calabria
Quel sistema indicato nel protocollo ed attuato in Campania può rappresentare la chiave per una svolta radicale anche in Calabria.
Intanto, perché, nel realizzare le condizioni che aiutino il paese a collocarsi sul terreno dell’economia della conoscenza come strategia di sviluppo nazionale, i governi regionali hanno un ruolo centrale. Le regioni, infatti, sono in una posizione di vantaggio per valutare sia i punti di forza che di debolezza delle industrie, dell’agricoltura, dei settori produttivi nell’accezione più ampia, sia della rete dei saperi locali, compresi quelli informali, che sono stati alla base, negli anni scorsi, del successo dei distretti industriali nel centro nord, e anche in qualche area del sud. Le regioni rappresentano il livello istituzionale migliore per definire il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
In un quadro istituzionale di questo tipo è relativamente agevole collocare in un ruolo fondamentale l’attività di ricerca, che peraltro evolve sempre più verso una organizzazione in équipes interdisciplinari sempre più specializzate, organizzate in strutture altamente complesse, che operano su reti informative estremamente evolute e diffuse, non condizionate dal fattore spazio, in grado quindi di fare massa critica in maniera adeguata .
C’è quindi la possibilità e la necessità per le Regioni di passare dalla logica dei distretti industriali a quella dei distretti tecnologici indispensabile per rilanciare sia l’attività dei primi sia per sostenere le attività produttive nel rispetto del territorio, dell’ambiente e di diverse relazioni e rapporti umani, sociali e civili anche nelle realtà come la nostra che hanno di fatto saltato la fase dello sviluppo industriale classico.
Per operare in quest’ottica, ai diversi livelli istituzionali competenti, occorre dotarsi di un modello di finanziamento adeguato, sviluppare ricerca di frontiera e non contingente, favorire la nascita di imprese hi- tech, dare opportunità ai ricercatori, valorizzare il ruolo delle università e degli enti pubblici di ricerca, favorire l’ingresso di una nuova leva di ricercatori.

La centralità di un sistema regionale universitario e di ricerca
Centrali, comunque, divengono i Sistemi universitari e di Ricerca che, senza smarrire neanche per un attimo la loro missione di garantire una formazione critica e l’acquisizione di elevate competenze ai giovani ed ai cittadini, rendano possibile la creazione e lo sviluppo di sempre nuove e più avanzate conoscenze. Questa formazione e questa ricerca può e deve integrarsi con le esigenze dello “sviluppo” territoriale. E la Regione in concorso con le Università, gli Enti Pubblici di Ricerca, i sistemi produttivi e dei servizi, le organizzazioni sociali deve garantire la traduzione dei risultati della ricerca in prodotti e processi innovativi.
La situazione specifica della Calabria, fortemente deficitaria sul versante del tessuto produttivo e dei servizi, con una predominanza della piccole imprese, qualche significativa presenza di imprese e strutture di servizio di media dimensione e, comunque, la grande potenzialità del porto di Gioia Tauro, del sistema di trasporto su ferro che attraversa le zone interne, in particolare nelle province di Cosenza e Catanzaro, dell’agro – alimentare etc.. richiede ancora un forte impegno sul versante dell’offerta pubblica di ricerca, innovazione e formazione.
Le nostre università ed i centri di ricerca, se messi in condizione di sviluppare al massimo le necessarie sinergie, possono essere il motore di una grande operazione di rinascita che punti ad un diverso sviluppo e qualità della vita nella regione.
Sarebbe necessario, quindi, dar vita da subito:
- ad un Osservatorio tra sistema universitario e di ricerca e sistema agricolo, industriale, dei servizi, per le tematiche strategiche di medio-lungo periodo;
- ad una rete per la gestione dei flussi di conoscenze tra ricerca, industria, agricoltura, servizi;
- a strumenti legislativi ed amministrativi adeguati per la gestione dei rapporti tra i soggetti sopra richiamati;
- alla individuazione di una ipotesi di realizzazione di un sistema di distretti produttivi, agricoli e industriali (un discorso attento sull’agricoltura investe tra l’altro direttamente tutte le questioni delle zone interne, della tutela del territorio e dell’ambiente, del recupero produttivo della collina e della montagna e di un suo intelligente collegamento con i nodi di scambio e l’intera zona costiera);
- all’approntamento di strumenti finanziari dedicati;
- alla realizzazione di centri di competenza e reti di eccellenza; queste strutture costituiscono il centro nevralgico del sistema, in quanto presuppongono;
- la messa in rete di tutte le articolazioni del sistema universitario, di formazione e di ricerca regionali (e non solo regionali, laddove necessario);
- l’impegno delle singole strutture universitarie e di ricerca, in base alle specifiche competenze e specializzazioni scientifiche e disciplinari su precisi progetti, quali articolazioni di un più generale programma regionale;
- il trasferimento al “centro di competenza” (struttura che non ha bisogno di nuove sedi ed edifici) delle conoscenze specifiche prodotte dai singoli dipartimenti universitari, centri di ricerca pubblici e, laddove esistono, privati, per essere trasformate in competenze e trasferite alle singole imprese (industriali, agricole, di servizio) per innovare processi e soprattutto prodotti delle diverse filiere.
Sulla struttura e l’organizzazione di questi “centri di competenza”, indicati già nel 2000 dal protocollo d’intesa MURST (oggi MIUR) - Regioni dell’obiettivo 1, ci dovremo fare carico di promuovere l’organizzazione di uno o più momenti di riflessione, approfondimento e confronto.



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