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Calabria.
Quando si incontrano partiti, intellettuali,movimenti

di Mimmo Rizzuti


Se, per dirla con Piero Bevilacqua, la storia, non è “un cimitero di cose accadute ma un terreno da dissodare” per trarne insegnamenti, rinvenire anche potenzialità non espresse, avere una fondata e attenta visione e lettura del presente, credo sia utile guardare alle vicende regionali di questa fase anche con un occhio attento agli ormai quasi sessanta anni trascorsi,dall’immediato dopoguerra ad oggi.
In quella fase, con due ondate successive (1944-1947 e 1949-1950) il movimento contadino meridionale, la CGIL, i partiti della sinistra, in un positivo e fecondo rapporto con tanta parte degli intellettuali italiani, divennero protagonisti di una stagione di lotte che segnò un passaggio d’epoca.
Produsse il declino delle vecchie elites agrarie, provocò un radicale spostamento di equilibrio nella coscienza di un mondo contadino caratterizzato da un marcato individualismo e familismo, da fatalismo e sfiducia, generando una nuova e non usuale solidarietà, fiducia nell’azione collettiva. Quelle lotte non raggiunsero ,se non in misura parziale e distorta, l’obiettivo di fondo della Riforma Agraria che le aveva mosse, ma operarono comunque un profondo cambiamento, anche nelle coscienze.
Come noto, la riforma agraria ipotizzata dai decreti Gullo, anche per la rottura dell’unità antifascista, cambiò segno.
La legge stralcio del 1950 divenne altra cosa rispetto alla riforma agraria rivendicata dal movimento e disegnata nei decreti del “ Ministro dei Contadini”.
Si perse, così, una occasione che forse avrebbe potuto consentire di sperimentare per il Sud e la Calabria un processo più autonomo di sviluppo.
Invece si sperimentò la “dipendenza”, attraverso varie tappe, da forme di modernizzazione e soprattutto di industrializzazione che, calate dall’alto e dall’esterno, a metà degli anni 70 erano già estenuate.
Ma quella fase di lotte e quell’inedito rapporto tra movimento, intellettuali e politica, diedero il colpo di grazia al blocco agrario che per un secolo aveva definito e garantito i rapporti del Mezzogiorno con lo Stato e con il Nord e aprirono la strada al passaggio dal dominio fondato sul controllo della terra a quello fondato sul controllo della spesa pubblica e le risorse dello Stato, con tutto quello che di positivo e negativo ciò ha rappresentato.
Dopo di allora, ed in particolare dopo la fine degli anni 70 del secolo scorso, in mancanza di iniziative di riforma di portata sociale analoga a quella appena ricordata,
si è determinata in tutto il Sud quella che Franco Cassano definisce una condizione depressiva generata dall’emorragia migratoria e connotata da individualismo, frammentazione, scarsa fiducia in se stessi e nei propri mezzi, attesa, nell’eterna posizione di inseguimento, di un modello di sviluppo che traeva proprio dai ritardi del Sud parte importante della sua vitalità.
Oggi siamo ad un altro passaggio di fase, in stadio già avanzato, e siamo però al contrario di allora dentro una crisi della politica che produce un impoverimento anche della società civile. Allora i partiti della sinistra con le Camere del lavoro e tanta parte dell’intellettualità erano alla testa del movimento.
Oggi in generale registriamo nel Mondo, nel nostro Paese e, nell’ultimo periodo nel Sud,(Scanzano, Melfi, Piano Lago, Acerra etc) una forte presenza e spinta di movimento unita, però, ad una scarsa capacità dei partititi di interagire con essa ed orientarne il percorso e ad una contestuale scarsa militanza civile degli intellettuali.
I mutamenti epocali e la espansione del movimento globale in atto mettono radicalmente in discussione l’idea stessa di sviluppo così come l’abbiamo concepita ed agita nel secolo scorso. Quella idea di sviluppo, appare ormai chiaro, collocata nei processi della globalizzazione liberista, marginalizza ogni giorno di più tutti i sud del mondo, genera come elemento strutturale della sua esistenza la guerra preventiva - permanente e si pone, con altri elementi, come terreno fertile di coltura per un feroce e dilagante terrorismo.
A fronte di ciò l’impegno civile degli intellettuali non appare adeguato e la politica appare in crisi profonda.
Si pone oggi, perciò con forza il problema dell’uscita dalla crisi della politica. E gli intellettuali possono dare un contributo rilevante se si pongono e si collocano sul versante dei movimenti. Il versante dei movimenti appare, infatti, il terreno più fecondo sia per l’uscita dalla crisi della politica che per la ricostruzione di un ruolo civile degli intellettuali.
E, per stare al nostro Paese e su questo terreno, sembra esserci oggi al Sud una condizione che può preludere a sviluppi positivi di grande interesse.
In questo anno di rallentamento, quasi fisiologico della spinta generale del grande movimento altermondista e, possiamo dire, di riflessione sulla sua strategia, nel sud del nostro Paese abbiamo assistito ad una forte rinascita di partecipazione popolare . Popolazioni intere ( per tutte Scanzano, Terlizzi, Acerra), hanno affrontato in maniera corale, con determinazione e capacità di resistenza da molti inaspettata, problemi decisivi per la qualità della vita di ciascuno, delle proprie comunità e dello “ sviluppo”, ottenendo significativi successi.
I prodromi di questa ripresa di partecipazione popolare, si potevano già cogliere nella grande, civile ed orgogliosa manifestazione di Cosenza del novembre 2002, in risposta agli arresti effettuati sulla base di un di castello di accuse che ha teso a trasformare una importante vicenda di impegno,politico, sociale ,culturale e civile, nella quale già si manifestavano i sintomi della ripresa di un più largo movimento di massa e popolare nel Sud, in una sequela di attività criminose. Mi piace ricordare che in quell’occasione nacque e si concretizzò con l’incontro interessante di “CARTA” ed “ORA LOCALE” l’idea del “Cantiere Meridionale” che aprì i suoi lavori, tuttora in corso, nel Maggio 2003 nell’Università della Calabria .
E’ sembrato rompersi, come negli anni 50 nel mondo contadino, quel tratto di individualismo e familismo, di fatalismo e sfiducia, che è un tratto ricorrente nelle popolazioni delle aree geografiche che vivono in condizioni di dipendenza, ricreando anche in questa fase, una nuova e non usuale solidarietà e fiducia nell’azione collettiva.
La Calabria, ora come allora, è attraversata da questo fermento e ne rappresenta un punto significativo.
Diversamente da allora, però, vive una condizione di cui i tratti di maggiore novità e significato sono costituiti da un sistema universitario, in alcune sedi e discipline, di grande qualità e di un elevato livello che regge ampiamente il confronto con i migliori centri italiani ed europei e di alcune esperienze di governo del territorio,come il parco dell’Aspromonte, considerate , nel loro campo all’avanguardia nel mondo.
Queste esperienze le offrono la possibilità di diventare un laboratorio interessante sia sul versante della ricerca per il superamento della crisi della politica, sia su quello del rapporto politica- movimenti- intellettuali e sia ancora su quello della costruzione dei programmi, della democrazia partecipata, della qualità dello sviluppo nell’attuale globalizzazione liberista che ,come noto, è un meccanismo micidiale di inclusione-esclusione.
Un meccanismo che mentre valorizza alcune risorse in ristrette aree, in altre , la stragrande maggioranza, crea voragini di emarginazione ed abbandono.
Una globalizzazione che marginalizza ed esclude i sud del mondo e distrugge diritti, alla quale è possibile però, opporre un modello universale fondato sulla valorizzazione del territorio e delle culture.
Ed appunto intorno da questa idea di valorizzazione del territorio in questa precisa fase, dalle discussioni del cantiere meridionale e dall’ ampio e appassionato dibattito di “Ora Locale”, è nato “Progetto Calabrie”, come terreno di incontro, ideazione, condivisione progettazione, messa in atto di tutte le azioni necessarie a rendere praticabile e ad attuare il progetto.
Su questo terreno abbiamo incrociato ed intercettato la scadenza per le elezioni regionali del 2005 ed abbiamo ritenuto che fosse indispensabile misurarci in modo nuovo con la politica, con i partiti, i grandi nodi del governo della regione, forti di questa convergenza inedita tra mondo delle associazioni sociali, culturali,professionali, sindacali, di movimento, intellettuali, partiti o parti ed aree significative degli stessi.
Questo è “Progetto Calabrie”.
E per questo sfugge alla comprensione di chi, a prescindere dal partito o dal sindacato in cui si colloca, continua ad attardarsi su una concezione “bottegaia” della politica.
L’attenzione che si è creata intorno a questa esperienza che sta mettendo in rete gran parte dell’interessato e variegato mondo dell’associazionismo calabrese, ma anche di parte importante dei partiti della GAD, che registra una sempre più larga presenza di persone di ogni ceto e condizione, è indicativa di una felice intuizione e di un bisogno reale di partecipazione, di costruzione di inedite forme di governo, di progetti arditi che incrocino le scelte migliori delle stesse politiche comunitarie per avviare un percorso capace di togliere la Regione da una soffocante dipendenza assistita, utilizzando il grande potenziale dei suoi uomini e donne, del suo territorio, delle sue esperienze migliori delle sue università e della loro capacità di produrre conoscenza, trasformarla in competenza e trasferirla ai soggetti impegnati a realizzare una diversa qualità della vita nel proprio territorio ed a realizzare grandi progetti di cooperazione nella macro area mediterranea che rappresenta l’unica via per uscire da una marginalità mortificante ed insostenibile. Le elezioni regionali in quest’ottica sono una occasione importante per cambiare rotta. E per questo sono disponibili idee uomini e donne.
Ma la proiezione di “Progetto Calabrie” va ben oltre perché si fonda su idee verificate insieme e progetti costruiti insieme tra tante associazioni, movimenti ,singole persone, intellettuali, che ne condividono l’ispirazione di fondo condensata nella carta dei principi fondamentali costitutiva dell’associazione e hanno scelto di lavorare per realizzarla comunque, partendo dal basso e sostenendola anche con il conflitto.



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