Ora Locale

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Tratto da:
Pierre-Joseph Proudhon, L'accentramento,
in Mario Albertini (a cura di),
Il federalismo,

il Mulino, Bologna, 1993



[...] Il comune è per la sua stessa essenza, come l'uomo, come la famiglia, come ogni individualità o collettività intelligente e morale, un ente sovrano. In quanto tale il comune ha il diritto di governarsi da sé stesso, di amministrarsi, di imporsi delle tasse, di disporre delle sue proprietà e dei suoi proventi, di creare delle scuole per la gioventù, di nominarvi degli insegnanti, di costituire la sua polizia, di avere la sua gendarmeria e la sua guardia civica; di nominare i suoi giudici; di avere i suoi giornali, le sue riunioni, le sue particolari associazioni. i suoi magazzini, il suo mercuriale, la sua banca, ecc. Il comune prende delle delibere, emana delle leggi. Il comune ha la sua chiesa, il suo culto, il suo clero, liberamente eletto; esso discute pubblicamente, in consiglio municipale, sui suoi giornali o nei suoi circoli, tutto quanto attiene ai suoi interessi o accende le sue idee. Ecco che cosa è un comune, perché questa è la vita collettiva, la vita politica. Ora la vita è una, intera, piena d'azione, e questa azione è universale; essa respinge ogni impedimento, non conosce altro limite che sé stessa; ogni coercizione dall'esterno le è ripugnante e mortale. Che Laboulaye e i suoi correligionari politici ci dicano dunque come intendono accordare questa vita comunale con le loro riserve unitarie; come eviteranno i conflitti; come pensano di mantenere fianco a fianco la libertà locale e la prerogativa centrale; limitare questa e frenare quella, affermare contemporaneamente, nello stesso sistema, l'indipendenza delle parti e l'autorità del tutto. Che si spieghino, così che li si possa conoscere e giudicare.
Non c'è via di mezzo: il comune sarà sovrano o sarà una succursale, tutto o niente. Dategli una parte tanto bella quanto volete: ma poiché questa non dipende più dal suo proprio diritto, poiché riconosce una legge più alta; poiché il gran gruppo che si chiama la repubblica, la monarchia o l'impero, di cui esso fa parte, è dichiarato suo superiore, e non espressione dei suoi rapporti federali, è inevitabile che un giorno o l'altro si trovi in contraddizione con esso e che nasca il conflitto. Ora, quando ci sarà conflitto, la logica e la forza vogliono che sia il potere centrale a riportar vittoria, e questo senza discussione, senza giudizio, senza transazione, essendo inammissibile, scandaloso, assurdo, il dibattito fra il superiore e il subalterno. E noi dunque torneremo sempre, dopo un periodo di agitazione dottrinaria e democratica, alla negazione dell'esprit de clocher, alla centralizzazione, all'autocrazia. L'idea di una limitazione dello Stato, là dove regna il principio di una centralizzazione dei gruppi, è dunque un'inconseguenza, per non dire un'assurdità. Non c'è un altro limite allo Stato che quello ch'esso s'impone da sé medesimo lasciando all'iniziativa municipale e individuale certe cose di cui provvisoriamente esso non si cura affatto. Ma, la sua azione essendo illimitata, può succedere che esso voglia estenderla alle cose che in un primo tempo aveva sdegnate; e poiché esso è il più forte, poiché non parla e non agisce mai se non in nome dell'interesse pubblico, non solo otterrà quello che chiede, ma davanti all'opinione pubblica e ai tribunali avrà ancora ragione.



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