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Riformare il Mezzogiorno*
di Piero Bevilacqua
Come valorizzare l'area delle colline interne
Come altre regioni, non solo d'Italia, il Mezzogiorno soffre di uno squilibrio demografico-territoriale
abbastanza evidente. La maggioranza della popolazione si affolla lungo le fasce costiere
e tende a svuotare di presenze le aree interne. Ora, negli ultimi decenni le montagne, un tempo luoghi di economie povere e di insediamenti instabili,
hanno conosciuto una crescente utilizzazione grazie ai flussi del turismo sia estivo
che invernale. Le montagne dell'Abruzzo e del Matese, la Sila Calabrese, l'Etna ne
costituiscono alcuni esempi. Anche se ovviamente sono ancora molte le montagne del
Sud che attendono una adeguata valorizzazione. Ma un problema specifico è costituito
oggi dalla vasta area delle colline interne. Qui negli ultimi decenni si sono anzi
manifestati evidenti fenomeni di spopolamento e di abbandono. I centri di attrazione, insediati
sempre più nei fondivalle e lungo le piane litoranee, e la valorizzazione stagionale
delle montagne, ha progressivamente privato il territorio appartato delle colline di una sua specifica attrattività. [...] In questa vasta area territoriale si possono
impiantare economie produttive di prim'ordine. Si pensi all'industria forestale.
La Cassa per il Mezzogiorno ha realizzato in passato forme di forestazione che hanno
risparmiato alle popolazioni del piano non poche alluvioni e frane. Ma si è trattato
per lo più di forestazioni a scopi di difesa del suolo e di imbrigliamento dei corsi
d'acqua. Oggi occorrerebbe pensare a impianti di essenze di pregio. Il legno è ricchezza, possiede, com'è noto, una infinità di possibili usi. Perché, nelle aree suscettibili,
non dovrebbe sorgere una produzione forestale capace di alimentare attività artigianali
ed industriali del legno?
Ma attività produttive si possono immaginare anche in altri ambiti. Si pensi alla
creazione di vivai di piante che potrebbero animare una nuova e crescente produzione
di verde da destinare al consumo privato e pubblico. Ma poi quante di queste terre
non si prestano a un ripopolamento della fauna selvatica? Cinghiali, caprioli, lepri, fagiani,
ecc.? Qui sarebbe possibile rifornire una vasta domanda cittadina di carni pregiate
e rare, e al tempo stesso alimentare le attività di ristoranti, alberghi, rifugi,
ecc., che potrebbero acquisire, per questa via, una loro esclusiva tipicità. Non si
dimentichi che molti territori potrebbero essere segnati - e talora già lo sono -
da sentieri, itinerari naturalistici, in grado di richiamare un numero oggi crescente
di escursionisti. Il turismo primaverile-estivo potrebbe trovare una propria originale
forma di valorizzazione proprio grazie all'esaltazione di tale tipo di offerte. In
queste aree si trovano d'altra parte i corsi medi e alti di tanti fiumi e torrenti,
che potrebbero offrire percorsi di grande suggestione agli amanti della natura. Si tratta,
d'altro canto, di acque un tempo pescose - come attesta, ad esempio, l'Inchiesta
Murattiana del 1811, anche per una regione dotata solo di torrenti come la Calabria
- e che oggi potrebbero essere rese ancora più pescose con i sistemi dell'allevamento ittico
e dopo una vasta opera di disinquinamento. I laghi interni - come del resto quelli
costieri - potrebbero più efficacemente di quanto oggi non accada, diventare luoghi
di pesca capaci di animare economie produttive e commerci.
In queste aree di collina, d'altra parte, sono intercettabili i corsi d'acqua più
rilevanti dell'Italia meridionale. Ed è noto quale rilievo strategico viene assumendo
- e sempre più assumerà in futuro - l'acqua ai fini delle attività produttive, sia
agricole che industriali. Senza dire dei bisogni odierni di acqua potabile da parte delle
popolazioni meridionali. Ma in queste aree è oggi possibile praticare politiche assolutamente
nuove di conservazione e accrescimento della biodiversità, di allevamento di piante che l'agricoltura industriale tende a far scomparire dal territorio e che oggi
possono ritrovare un modesto ma non disprezzabile valore economico: penso all'albero
del gelso, del sorbo, del giuggiolo, del corbezzolo, ecc. Qui, d'altra parte, potrebbero sorgere anche laboratori scientifici che studino la macchia mediterranea, i suoi
dinamismi, e nuovi modi di conservazione e valorizzazione delle sue risorse naturali.
Perché la ricerca scientifica non dovrebbe trovare proprio in queste aree un proprio
originale terreno di radicamento?
Appare dunque perseguibile - grazie anche all'esistenza di un articolato sistema viario
che rende oggi raggiungibile anche i più interni paesi e villaggi - la possibilità
di ridare vitalità economica e valorizzazione sociale a molte aree che oggi appaiono
marginali e come fuori dai flussi e dai ritmi dello sviluppo. E' qui che si possono
sperimentare nuove forme di produzione della ricchezza capaci non solo di conservare
l'esistente ma di innovare lo stesso modo di produrre. Il territorio delle colline
interne potrebbe dunque diventare il luogo in cui sperimentare in forme diversificate
un'ampia economia verde in grado di attirare l'impegno, il lavoro e la creatività
di un numero crescente di giovani.
Cosa fare del mare?
Naturalmente, guardare alla natura come una risorsa da rigenerare produttivamente,
potrebbe consentire esiti economici rilevanti soprattutto nel caso del mare. Circondato
da mari, il Sud peninsulare e insulare, oggi fornisce all'intera Italia il grosso
della produzione ittica. Ma esso è sicuramente ben lontano da uno sfruttamento realmente
economico di tale risorsa fondamentale. L'allevamento ittico costituisce ancora una
attività limitata, mentre la mitilicoltura è praticata solo in pochi centri costieri,
soprattutto nelle Puglie. Ma quella che appare assolutamente inadeguata alle possibilità
è l'industria della trasformazione. E' questo un settore dove le molte attività famigliari
- soprattutto di salagione e conservazione del pesce - potrebbero essere spinte verso forme di artigianato cooperativo e di piccola industria. Ed è qui che appare
prezioso un eventuale intervento esterno: di coordinamento organizzativo, di raccordo,
di messa in comunicazione con i mercati. Non lo si sottolineerà mai abbastanza: uno dei problemi originari e fondamentali del Sud è di organizzazione, di creazione
di reti di cooperazione, di solidarietà operativa.
Il mare, infine, non lo si può dimenticare, costituisce la risorsa base più importante
dell'industria turistica meridionale. Ma essa è destinata a rimanere una Cenerentola,
se la politica turistica rimane - come fino ad ora è avvenuto - nelle mani di amministratori privi di ogni cultura e, di fatto, in balia degli appetiti disordinati e
senza scrupoli dei privati. Molte coste del Sud sono state devastate da costruzioni
edilizie abusive. In Calabria esistono e resistono palazzine costruite sugli scogli.
Credo a questo proposito che costituirebbe un atto di giustizia, ma anche una forma di
pubblicità altamente simbolica, incominciare ad abbattere questi edifici che deturpano
le bellezze delle nostre coste, offendono il nostro sguardo e hanno inflitto danni
incalcolabili all'immagine e all'economia di tante regioni.
Perché l'industria turistica diventi una economia degna di questo nome occorre rendere
lunga almeno tre mesi la stagione estiva attraverso una politica di differenziazione
dei prezzi, favorendo la creazione di strutture collettive di ricezione (villaggi
turistici, parchi, alberghi e simili), offrendo spiagge pulite e acque incontaminate,
villaggi non invasi dalle automobili e dai motorini, garantendo una pluralità di
offerte (escursioni, servizi culturali, ecc.), mettendo a disposizione dei clienti,
a un livello realmente dignitoso, i piatti unici e altrove introvabili della cucina tradizionale.
E per realizzare una tale politica si rendono necessarie non solo buone amministrazioni,
capaci, ad esempio, di far funzionare i depuratori, di far rispettare la quiete pubblica nei villaggi turistici, di far conoscere le proprie offerte, ecc. Ma
occorre una diversa cultura imprenditoriale da parte dei privati, che guardi alle
bellezze spesso uniche delle coste del Sud come un patrimonio da salvaguardare: una
fonte di attività economica perenne proprio nella misura in cui rimangono incontaminate, e
costituiscano il punto di partenza di altre offerte di qualità.
Quale industria?
[...] Oggi l'agricoltura meridionale primeggia soprattutto nelle colture ortofrutticole.
E le sue capacità produttive sono giunte a tal punto che la produzione agricola rappresenta
oggi il 7% del volume globale della produzione europea, quasi il doppio di quello dell'intera Grecia, non distante da quello dell'Olanda (8,1%) e neppure troppo
lontano dalla percentuale dell'Inghilterra (9,3%).
Certo, si tratta di un settore che non manca di problemi, soprattutto in relazione
alla dimensione delle aziende. Ma non è ciò che interessa rammentare in questa sede.
La cosa fondamentale da sottolineare è invece che l'agricoltura meridionale può oggi
rappresentare la base formidabile per una grande espansione dell'agrindustria, vale a
dire della trasformazione manifatturiera dei prodotti agricoli.
Quello della trasformazione dei prodotti agricoli è infatti un territorio ricco di
straordinarie possibilità. Per avere una idea delle sue potenzialità basti pensare
al fatto che oggi, negli USA, vale a dire nel più grande Stato industriale del mondo,
esso rappresenta il più importante settore economico: contribuisce infatti al Pil con
il 22% e occupa ben 20 milioni di lavoratori.
Si tratta dunque di una base produttiva per lo sviluppo industriale che presenta un
insieme straordinario di vantaggi. Intanto essa potrebbe utilizzare le forme di oligopolio
naturale offerto dalle condizioni irriproducibili del clima, dell'irraggiamento solare, della salubrità dell'aria, ecc. Tutte quelle prerogative del suo habitat che
hanno storicamente protetto e favorito le agricolture meridionali. E' difficile che
il Sud possa mai competere in futuro sul terreno dell'elettronica, ma la trasformazione
industriale di frutta e verdure possono offrire condizioni vantaggiose di presenza
nella divisione internazionale del lavoro e delle produzioni. La trasformazione manifatturiera
inoltre potrebbe avviarsi e crescere - come in molti casi è avvenuto - sulla base di un saper fare tradizionale locale. Quante sapienze popolari si esprimono ancora
oggi nei modi di manipolazione, trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli
che potrebbero conoscere uno sviluppo artigianale e perfino industriale? A volte
si tratterebbe di favorire un passaggio dalla casa alla bottega, all'azienda. Quello
che spesso è poco noto è che in passato intorno agli alberi, alle erbe, alle bacche,
alla frutta esistevano culture e pratiche consuetudinarie che davano vita a forme
di farmacopea popolare ma anche a preparati originali di cucina, dolci, conservanti, tinture,
ecc. Ciò tuttavia a cui si continua a non far caso è un fenomeno oggi degno di attenzione.
L'aver fatto coincidere il valore dei beni con il loro valore di scambio ha portato il capitalismo a infliggere una vera e propria mutilazione culturale ai ceti
popolari e ai loro saperi. Il dominio del mercato delle merci ha portato uomini e
donne a dimenticare di poter creare con le proprie mani oggetti e beni dotati di
un valore d'uso - e dunque pur sempre di un valore - per il semplice fatto che non ne hanno
uno di scambio. E oggi si tratta proprio, in tanti casi, di ricreare le condizioni
culturali ed economiche per far rifiorire saperi e capacità. Perché oggi tante tradizioni
non possono essere rinnovate per alimentare la creazione di una linea di beni per
i quali esiste ormai una domanda crescente? Penso ai cosiddetti prodotti macrobiotici,
ai cosmetici naturali, agli sciroppi, alle tisane, ai decotti, ecc. Un tempo una
gran varietà di ritrovati di questo tipo si ricavava dalle melegrane, dalle carrube, dai
mandorli, dall'alloro, dalla liquirizia, ecc. Uno sforzo creativo di tipo artigianal-industriale
oggi potrebbe metter capo a prodotti originali, naturali , capaci di stimolare una nuova domanda. Si tratta ovviamente di fondare, su tali beni, delle vere e
proprie aziende con capacità di marketing, di valorizzazione dei pregi spesso unici
di alcuni di questi prodotti, ricreando e diffondendo in pari tempo la cultura necessaria per la loro valorizzazione.
Ma oggi tutto il settore dell'alimentazione potrebbe offrire nuove opportunità di
sviluppo dell'agrindustria se esistesse l'intraprendenza e la creatività necessaria.
Si pensi a quanto si potrebbe fare sul terreno della trasformazione industriale degli
ortaggi, soprattutto delle varietà di maggior pregio, ancora poco utilizzate sul piano
industriale e in grado di sfidare il mercato internazionale. Tutta la linea dei prodotti
a zona geografica protetta potrebbe conoscere uno sviluppo straordinario: dai vini di pregio al miele, dai formaggi tipici ai salumi. La produzione alimentare di alta
qualità potrebbe ricevere un impulso significativo e qualificare l'economia di intere
aree. Ciò che oggi realmente manca in tale ambito è l'invenzione tecnica, l'innovazione imprenditoriale del prodotto. e dietro a tale debolezza si intravede tuttavia
facilmente una distruzione di culture, perpetratasi negli ultimi decenni, su cui
occorrerebbe riflettere.
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*Questo articolo è una sintesi di un ampio saggio che sarà pubblicato su Meridiana .
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