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A proposito del Progetto per la sinistra del duemila
Lettera inviata da Piero Bevilacqua agli organizzatori del dibattito sul Progetto per la sinistra del duemila tenutosi nell'Aula Magna dell'Universita' della Calabria



Cari amici,
impegni accademici non rinviabili mi impediscono di essere oggi inseme a voi a discutere intorno a questo Progetto per la sinistra del duemila. E benché corra il rischio di apparire un po' pomposo, chiedendovi di leggere il mio messaggio, preferisco questo modo minimo di partecipare alla vostra iniziativa piuttosto che una irriguardosa assenza combinata col silenzio. Secondo gli accordi con l' amico Carmine, in questo seminario io avrei dovuto occuparmi del tema dell'ambiente, a cui il Progetto dedica un breve, ma denso, autocritico e apprezzabile paragrafo. Io credo - se mi consentite la brutalità della semplificazione, necessaria nell'economia di una lettera - che proprio tale sistemazione del tema ambiente nello spazio di un paragrafo testimoni l'esatta collocazione che esso ha oggi nell'orizzonte intellettuale della sinistra italiana. E', semplicemente, un argomento da allineare accanto agli altri. Certo, capisco bene la necessità di rendere chiare, ben ordinate e facilmente comunicabili le linee programmatiche di un ampio progetto destinato ad una assise congressuale. Non c'è solo l' ambiente, del resto, urgono i problemi del lavoro e dell'occupazione, l' ordine pubblico e la questione della legalità, l'immigrazione e la politica estera, le riforme istituzionali e le forme possibili dell'autogoverno locale. E così via. Ma la mia osservazione vuole mettere in evidenza un problema più profondo di natura culturale. Secondo la mia convinzione, la sinistra non ha ancora assimilato e forse neppure accolto, nella propria tradizione di pensiero, la carica universale e rivoluzionaria presente in quella che genericamente definiamo pensiero ambientalista. Certo, l' espressione è ambigua. Esistono molti ambientalismi, persino nuove forme di fondamentalismo fanatico. E non posso entrare nel merito di tali questioni. Ma voglio almeno ricordare che l'assegnazione di una nuova centralità alla natura costituisce oggi la leva potente per riesaminare l'intera cultura contemporanea: una trasformazione che può e che sta attraversando tutti i campi del sapere. Si tratta di una rivoluzione in atto di cui pochi percepiscono ancora la portata.
A mio avviso le origini industrialiste e sviluppiste del movimento operaio e della sinistra socialista e comunista impediscono ed ostacolono la comprensione di questi nuovi territori ideali. Anche fra gli studiosi impegnati nello sforzo di indicare nuove vie per la trasformazione e lo sviluppo del Mezzogiorno la giusta preoccupazione per l'ampiamento della base produttiva del Sud e la creazione di più ampie opportunità di lavoro fa guardare con sospetto o indifferenza ai temi dell'ambiente e della natura. Ora, io voglio ricordare - nella rispettosa brevità di questo messaggio - che la tradizione industrialista e sviluppista( che è stata per almeno un secolo e mezzo l'anima progressiva e positiva della sinistra ) si trova di fronte a scenari sociali ormai profondamente mutati. E soprattutto si trova necessariamente a vedere indebolito un elemento di universalità del proprio tradizionale messaggio. Un tempo si esaltava lo sviluppo per raggiungere un più elevato grado di prosperità da distribuire più equamente fra tutti. Il fine stesso ultimo dello sviluppo era rappresentato dall'equità finale dei beni condivisi. Ora, siamo ormai realisticamente costretti ad accettare quella sorta di principio di realtà secondo cui l'economia la fa il mercato. Abbiamo d'altro canto appreso che tra la libertà di impresa e la libertà individuale esiste un legame che non possiamo sottovalutare. Lo sviluppo è affidato alla competizione individuale, alla lotta, alla diseguaglianza. Certo è compito della politica attenuare le disparità e fornire le regole paritarie. Ma bisogna riconoscere che per la sinistra si tratta di una radicale novità di dislocazione ideale su cui molto poco si è pensato e discusso, e che soprattutto annacqua uno degli elementi più forti del suo antico messaggio egalitastico.
E' mio personale convincimento che la politica, la politica della sinistra soprattutto, abbia un bisogno estremo di universalismo e che questo corrisponda a una esigenza reale del nostro tempo. Non si tratta soltanto, come giustamente sottolinea il Progetto, di rammentare i disastri planetari che incombono su di noi: dal buco dell'ozono all'effetto serra, dall' inquinamento atmosferico alla distruzione delle foreste. Questi temi rischiano di diventare l'inerte repertorio di una retorica della lamentazione se non sono inseriti in un nuovo e globale quadro culturale. Il fatto è che - almeno a mio modesto parere - la sinistra, non diversamente dal resto del ceto politico italiano, continua a elaborare una idea di ricchezza, se mi consentite l'espressione, da Paese povero. E per la verità, in questa conta della prosperità per punti percentuali del PIL, l 'Italia non è sola.
Ora, io vorrei ricordare quanto la nostra condizione presente ci ponga ormai lontani dal pensiero economico classico che ha formulato le prime idee sistematiche sul concetto di ricchezza. Alle origini del pensiero economico moderno c'è la constatazione del paradosso per cui i beni più inutili della terra, l'oro o i diamanti, sono quelli che posseggono maggior valore, mentre l'acqua, così indispensabile alla vita, gratuitamente offerta dalla natura, non ne possiede nessuno. Oggi Adam Smith dovrebbe constatare un mutamento radicale drammatico della realtà su cui basava le sue riflessioni. In effetti noi stentiamo ad accorgerci del fatto che la ritrovata centralità della natura nella riflessione del pensiero contemporaneo, e la consapevolezza della dimensione finita delle risorse naturali, cambia non solo il concetto di ricchezza, ma muta profondamente il profilo e il ruolo degli attori sociali. Se la natura non è più illimitata, il deposito dell' indiscriminato sfruttamento umano, essa diventa una casa comune nei confronti della quale emergono funzioni e responsabilità prima invisibili e inavvertite. Ad esempio, in questo nuovo scenario gli imprenditori che trasformano le risorse in beni e merci, non sono più i detentori di una porzione di ricchezza privata, ma diventano gli usufruttuari di frammenti di risorse naturali collettive. Gli usufruttuari: che devono rispondere della riproducibilità della natura sfruttata. Perciò il loro lavoro libero e la loro accumulazione individuale è destinata ad apparire sempre di più vincolata da regole e da fini che hanno valore e portata collettiva. Mi rendo ben conto che temi del genere forse sono sproporzionati al mezzo cui sono affidati. Ma il mio obiettivo non era e non è di fare una predica ambientalista ad amici che sono competenti in altri ambiti. Il mio sforzo è un invito a riflettere sul fatto che dietro i temi cosiddetti ambientalisti esiste una possibilità di ripensare i temi tradizionali della sinistra - lo sviluppo, l'equità, la solidarietà, ecc - con una nuova e dirompente carica universale.
Infine consentitemi di fare almeno un accenno ai problemi che riguardano più direttamente l'area regionale in cui si svolge il seminario. Io credo che i problemi gravi dell'occupazione e del lavoro, dell' allargamento della base produttiva della società calabrese e meridionale, possano ricevere un maggior impulso da una visione dello sviluppo che ridìa centralità alla natura. Non si tratta soltanto di smettere di concepire lo sviluppo come un trasferimento di apparati industriali esterni nel territorio meridionale. Mi pare ormai un dato abbastanza acquisito il fatto che uno sforzo di incremento della prosperità e delle fonti di lavoro debba puntare ad una combinazione di intelligenze e di saperi internazionali con le risorse locali, mirato a sfruttare - pur senza esaurirsi in tale fine - le potenzialità dell'ambiente meridionale e mediterraneo. Ma quello che mi preme di aggiungere è che un progetto di allargamento della base occupazionale del Sud fondato sulla valorizzazione e la difesa della natura - tramite l'agrindustria biologica, l'uso del mare, il turismo, la gestione dei beni artistici e culturali, la manutenzione del territorio, lo sviluppo dei servizi urbani - può assumere una grande forza di attrazione culturale che nessun arido piano di sviluppo potrebbe mai avere.
Indicare a milioni di giovani la possibilità di trovare lavoro, sulla base di un progetto che difenda ed esalti la centralità degli habitat naturali, che difenda il patrimonio delle nostre bellezze artistiche e culturali, può dare lo slancio che ancora manca per fare di una una stanca e frustrata rivendicazione sindacale un movimento dotato di forte carica ideale. E' uno slancio di questo genere che oggi manca alla partecipazione politica, privata ormai, progressivamente, di tanti orizzonti generali. Lo vediamo tutti, ogni giorno che passa. Eppure, se è vero che gli interessi governano il mondo io credo che sono ancora le idee a creare i movimenti che possono cambiarlo. E se i dirigenti della sinistra non vogliono vedere appiattita la loro immagine su quella di un ceto qualunque, questa è una strada che può fornire alla loro azione il rilievo universalistico di cui hanno bisogno. Ed è la strada - ho la presunzione di credere - che può ridare nuova vita a una politica che rischia l'immiserimento nella gestione quotidiana del potere.
Grazie dell'ascolto e buon lavoro,
vostro Piero Bevilacqua.


Roma, 19 marzo 2000



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