Perché dei giovani sono disposti a uccidere e morire per il Kosovo?
Per quale motivo gli uomini continuano ad uccidersi in guerra?
Per fame? Per Dio, la Patria e la Famiglia? Per la Democrazia, la Libertà ed il Progresso?
Per la Classe di appartenenza?
Anticamente, la dura lotta per la soppravivvenza comprendeva, in modo del
tutto naturale, anche lo scontro armato.
Quando poi le diversità di sviluppo determinavano grandi differenziazioni di
evoluzione economica e sociale nelle diverse aree geografiche, si
verificarono le guerre d'invasione durante le quali i paesi più sviluppati
attaccavano e sottomettevano quelli meno sviluppati o viceversa, questi
ultimi invadevano i paesi più progrediti saccheggiando e distruggendo, ma
provocando, contemporaneamente, un salutare mescolamento delle diverse
organizzazioni culturali, sociali e politiche.
Nel medioevo, allorché un signore della guerra (Imperatore, Re, Principe,
Barone, ecc.) decideva di dare battaglia ai propri vicini più o meno
prossimi, assoldava (nel senso letterale di dare soldi) disoccupati morti di
fame e, assicurando loro alimenti e protezione, si dotava così di un
esercito disposto a morire per la difesa del proprio signore e padrone e per
raccattare qualche altro premio durante i saccheggi.
Giunta al potere la Borghesia, dal punto di vista militare, provvide a
istituire subito la coscrizione obbligatoria. Partendo dalla presunzione che
gli Stati costituitisi sotto il nuovo ordinamento borghese-capitalistico
rappresentavano gli interessi di tutte le classi sociali, si assegnò la
difesa dei sacri confini della Patria a tutto il popolo in armi.
Senonché, col passare del tempo, diventò sempre più difficile distinguere,
in ogni guerra, se si trattava di difesa o di offesa.
E mentre gli intellettuali di entrambi i fronti si prodigavano ad
argomentare con parole ardenti (ma col sano principio di armiamoci e andate)
i buoni motivi di una parte e dell'altra dei belligeranti, accendendo di
insane passioni i rispettivi eserciti, questi si massacravano di santa
ragione.
Venne poi Carlo Marx a spiegare che tutte le guerre dell'epoca borghese
erano di tipo offensivo ed imperialistico e che l'unica guerra giusta era
quella di classe, appunto per la eliminazione della Borghesia stessa. Con
Lenin e la Terza Internazionale vi furono le prime teorizzazioni sul
disfattismo rivoluzionario. Durante la Prima guerra mondiale le direttive
impartite alle ancora modeste forze rivoluzionarie erano che, allorché gli
ufficiali ordinavano l'assalto, piuttosto che sparare contro i proletari
dell'altro fronte, i soldati dovessero far fuoco contro i propri graduati
quali rappresentanti della borghesia. Nessuno aveva interesse a divulgare
notizie di questa natura se mai si verificarono. Certamente si verificò
molta diserzione e qualche episodio di salidarietà fra militari dei fronti
contrapposti quando le trincee erano così vicine fra loro da poter essere
raggiunte dalla viva voce e quindi dalla propaganda pacifista e
rivoluzionaria dei contendenti che, saltate le rispettive trincee,
clamorosamente si abbracciarono. In Russia dove la propaganda disfattista
dei bolscevichi, non ancora al potere, fu più capillare e diffusa, i
militari in gran quantità disertarono il fronte e ritornarono a casa. Con
Lenin al potere la Russia provvide immediatamente a stipulare la pace anche
se al prezzo di esosissime concessioni. Nella Seconda guerra mondiale
argometazioni becere quali razza, stirpe e civiltà da una parte e democrazia
e libertà dall'altra, oscurarono e nascosero le vere motivazioni
imperialistiche del conflitto. La stessa Unione Sovietica, avendo ormai
abbandonato l'originario internazionalismo e liquidata la stessa
Internazionale, chiusasi nella costruzione del "socialismo in un solo
paese", entrò nel conflitto animata da rivendicazioni nazionalistiche
contrattando prima con Hitler la spartizione della Polonia, poi con
Roosevelt e Churchill la divisione del mondo. Il disfattismo rivoluzionario
(e la trasformazione della guerra imperialistica in guerra di classe) era
completamente sparito dagli orizzonti concretamente praticabili della
politica rivoluzionaria.
Dopo la seconda guerra mondiale molti altri conflitti si alternavano nello
scacchiere mondiale; ma quello che costituì una svolta epocale fu la guerra
del Vietnam. In quei boschi e in quelle paludi, insieme al potentissimo
esercito americano, naufragò la stessa voglia di morire in guerra dei
giovani militari, ammesso che tale voglia sia mai esistita oltre che nelle
esaltazioni di qualche pennivendolo da strapazzo. Le truppe statunitensi
furono precipitosamente richiamate in patria non per le pur sonore lezioni
impartite dai vietcong, ma allorché si verificarono sempre più numerosi gli
episodi di ribellione e di rifiuto a sacrificare la vita dei giovani
americani e, addirittura di qualche uccisione di ufficiale trioppo ligio al
dovere quando questi era costretto rischiosamente a comandare di affrontare
i nemici a viso aperto considerato che gli aerei e gli elicotteri non erano
sufficienti a individuarli e snidarli dall'alto. Non era proprio il
disfattismo rivoluzionario, ma comunque un bel modo per portare a casa la
pelle. Da allora rimase acquisito che nei paesi occidentali sviluppati e
supernutriti non solo era da considerare definitivamente superata la
coscrizione obbligatoria ed estremamente pericoloso mantenere il popolo in
armi, ma che soltanto qualche esaltato poteva essere convinto di sacrificare
la vita per i tanto reclamizzati valori di civiltà, progresso e democrazia.
Lo stesso esercito professionale che nel frattempo si provvide ad
organizzare, in sostituzione della leva obbligatoria, esaltandone i valori
individuali alla Rambo, mentre si è dimostrato molto abile ed efficiente ad
abbattere inermi cabinovie, convogli civili ed autobus di linea, ospedali,
ambasciate amiche, continua a rifiutarsi di morire in guerra e, poco
professionalmente, di dover rispondere degli errori ed orrori commessi
nell'esercizio del ben remunerata loro attività; quasi che la stessa, più
che provocare tragici e documentati eccidi, fosse la gioiosa continuazione
dei video games elettronici della loro eterna infanzia. Rimane ancora
irrisolto un quesito drammatico: se l'attuale modello di sviluppo accumula
enormi ricchezze e prosperità da una parte e miseria e fame dall'altra e non
si vede né in atto né in prospettiva nessuna inversione di tendenza a tale
infernale meccanismo, chi proteggerà i primi dall'invasione e dall'assalto
dei secondi visto che nessuno è disposto a morire per la difesa di un
sistema così pazzesco ed aberrante? E' l'eterna storia della fine di tutte
le civiltà tranne che non si pretenda di armare un esercito di sedicenni del
tipo "Colombine High School", gli unici dimostratisi capaci di morire nel
nome di Hitler e per gli ideali razzisti. Non sarebbe più utile e
intelligente, piuttosto che sprecare enormi risorse in guerre stellari o
celesti che siano, utlizzare le stesse risorse per eliminare o almeno
ridurre l'enorme divario esistente fra le popolazioni del mondo e,
all'interno dei paesi sviluppati, fra le diverse classi sociali? Sicuramente
non saranno le leggi del Mercato e del Capitale a poter risolvere simili
problemi. Per poter dare una risposta definitiva ai quesiti occorrerà
chiudere una volta per tutte i registri di partita doppia del dare e
dall'avere; bruciare gli Uffici finanziari, le Borse e le Banche e dedicare
tutte le energie disponibili a soddisfare i bisogni concreti dell'umanità
sofferente.