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Morire per il Kosovo

di Franco Bifarella




Perché dei giovani sono disposti a uccidere e morire per il Kosovo?
Per quale motivo gli uomini continuano ad uccidersi in guerra?
Per fame? Per Dio, la Patria e la Famiglia? Per la Democrazia, la Libertà ed il Progresso?
Per la Classe di appartenenza?



Anticamente, la dura lotta per la soppravivvenza comprendeva, in modo del
tutto naturale, anche lo scontro armato. Quando poi le diversità di sviluppo determinavano grandi differenziazioni di evoluzione economica e sociale nelle diverse aree geografiche, si verificarono le guerre d'invasione durante le quali i paesi più sviluppati attaccavano e sottomettevano quelli meno sviluppati o viceversa, questi ultimi invadevano i paesi più progrediti saccheggiando e distruggendo, ma provocando, contemporaneamente, un salutare mescolamento delle diverse organizzazioni culturali, sociali e politiche.
Nel medioevo, allorché un signore della guerra (Imperatore, Re, Principe, Barone, ecc.) decideva di dare battaglia ai propri vicini più o meno prossimi, assoldava (nel senso letterale di dare soldi) disoccupati morti di fame e, assicurando loro alimenti e protezione, si dotava così di un esercito disposto a morire per la difesa del proprio signore e padrone e per raccattare qualche altro premio durante i saccheggi.
Giunta al potere la Borghesia, dal punto di vista militare, provvide a istituire subito la coscrizione obbligatoria. Partendo dalla presunzione che gli Stati costituitisi sotto il nuovo ordinamento borghese-capitalistico rappresentavano gli interessi di tutte le classi sociali, si assegnò la difesa dei sacri confini della Patria a tutto il popolo in armi.
Senonché, col passare del tempo, diventò sempre più difficile distinguere, in ogni guerra, se si trattava di difesa o di offesa.
E mentre gli intellettuali di entrambi i fronti si prodigavano ad
argomentare con parole ardenti (ma col sano principio di armiamoci e andate) i buoni motivi di una parte e dell'altra dei belligeranti, accendendo di insane passioni i rispettivi eserciti, questi si massacravano di santa ragione.
Venne poi Carlo Marx a spiegare che tutte le guerre dell'epoca borghese erano di tipo offensivo ed imperialistico e che l'unica guerra giusta era quella di classe, appunto per la eliminazione della Borghesia stessa. Con Lenin e la Terza Internazionale vi furono le prime teorizzazioni sul disfattismo rivoluzionario. Durante la Prima guerra mondiale le direttive impartite alle ancora modeste forze rivoluzionarie erano che, allorché gli ufficiali ordinavano l'assalto, piuttosto che sparare contro i proletari dell'altro fronte, i soldati dovessero far fuoco contro i propri graduati quali rappresentanti della borghesia. Nessuno aveva interesse a divulgare notizie di questa natura se mai si verificarono. Certamente si verificò molta diserzione e qualche episodio di salidarietà fra militari dei fronti contrapposti quando le trincee erano così vicine fra loro da poter essere raggiunte dalla viva voce e quindi dalla propaganda pacifista e rivoluzionaria dei contendenti che, saltate le rispettive trincee, clamorosamente si abbracciarono. In Russia dove la propaganda disfattista dei bolscevichi, non ancora al potere, fu più capillare e diffusa, i militari in gran quantità disertarono il fronte e ritornarono a casa. Con Lenin al potere la Russia provvide immediatamente a stipulare la pace anche se al prezzo di esosissime concessioni. Nella Seconda guerra mondiale argometazioni becere quali razza, stirpe e civiltà da una parte e democrazia e libertà dall'altra, oscurarono e nascosero le vere motivazioni imperialistiche del conflitto. La stessa Unione Sovietica, avendo ormai abbandonato l'originario internazionalismo e liquidata la stessa Internazionale, chiusasi nella costruzione del "socialismo in un solo paese", entrò nel conflitto animata da rivendicazioni nazionalistiche contrattando prima con Hitler la spartizione della Polonia, poi con Roosevelt e Churchill la divisione del mondo. Il disfattismo rivoluzionario (e la trasformazione della guerra imperialistica in guerra di classe) era completamente sparito dagli orizzonti concretamente praticabili della politica rivoluzionaria.
Dopo la seconda guerra mondiale molti altri conflitti si alternavano nello scacchiere mondiale; ma quello che costituì una svolta epocale fu la guerra del Vietnam. In quei boschi e in quelle paludi, insieme al potentissimo esercito americano, naufragò la stessa voglia di morire in guerra dei giovani militari, ammesso che tale voglia sia mai esistita oltre che nelle esaltazioni di qualche pennivendolo da strapazzo. Le truppe statunitensi furono precipitosamente richiamate in patria non per le pur sonore lezioni impartite dai vietcong, ma allorché si verificarono sempre più numerosi gli episodi di ribellione e di rifiuto a sacrificare la vita dei giovani americani e, addirittura di qualche uccisione di ufficiale trioppo ligio al dovere quando questi era costretto rischiosamente a comandare di affrontare i nemici a viso aperto considerato che gli aerei e gli elicotteri non erano sufficienti a individuarli e snidarli dall'alto. Non era proprio il disfattismo rivoluzionario, ma comunque un bel modo per portare a casa la pelle. Da allora rimase acquisito che nei paesi occidentali sviluppati e supernutriti non solo era da considerare definitivamente superata la coscrizione obbligatoria ed estremamente pericoloso mantenere il popolo in armi, ma che soltanto qualche esaltato poteva essere convinto di sacrificare la vita per i tanto reclamizzati valori di civiltà, progresso e democrazia. Lo stesso esercito professionale che nel frattempo si provvide ad organizzare, in sostituzione della leva obbligatoria, esaltandone i valori individuali alla Rambo, mentre si è dimostrato molto abile ed efficiente ad abbattere inermi cabinovie, convogli civili ed autobus di linea, ospedali, ambasciate amiche, continua a rifiutarsi di morire in guerra e, poco professionalmente, di dover rispondere degli errori ed orrori commessi nell'esercizio del ben remunerata loro attività; quasi che la stessa, più che provocare tragici e documentati eccidi, fosse la gioiosa continuazione dei video games elettronici della loro eterna infanzia. Rimane ancora irrisolto un quesito drammatico: se l'attuale modello di sviluppo accumula enormi ricchezze e prosperità da una parte e miseria e fame dall'altra e non si vede né in atto né in prospettiva nessuna inversione di tendenza a tale infernale meccanismo, chi proteggerà i primi dall'invasione e dall'assalto dei secondi visto che nessuno è disposto a morire per la difesa di un sistema così pazzesco ed aberrante? E' l'eterna storia della fine di tutte le civiltà tranne che non si pretenda di armare un esercito di sedicenni del tipo "Colombine High School", gli unici dimostratisi capaci di morire nel nome di Hitler e per gli ideali razzisti. Non sarebbe più utile e intelligente, piuttosto che sprecare enormi risorse in guerre stellari o celesti che siano, utlizzare le stesse risorse per eliminare o almeno ridurre l'enorme divario esistente fra le popolazioni del mondo e, all'interno dei paesi sviluppati, fra le diverse classi sociali? Sicuramente non saranno le leggi del Mercato e del Capitale a poter risolvere simili problemi. Per poter dare una risposta definitiva ai quesiti occorrerà chiudere una volta per tutte i registri di partita doppia del dare e dall'avere; bruciare gli Uffici finanziari, le Borse e le Banche e dedicare tutte le energie disponibili a soddisfare i bisogni concreti dell'umanità sofferente.



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