Sulle pagine di la Repubblica del 12 settembre scorso, Beniamino Placido,
acuto osservatore e commentatore dei fatti (in senso lato) del nostro tempo,
si interroga sul significato di cultura, partendo da una serie di
considerazioni suggerite non solo dall'uso che se ne fa, ma anche dalla
trasmissione radiofonica affidata, per una settimana, dalla Rai
all'antropologo Marino Niola e per una volta, nessuno è perfetto dichiara
abitualmente un amico di viva, pungente intelligenza, sviluppa un discorso
che presta il fianco a facili critiche.
Placido, infatti, che pure dichiara di aver fatto tesoro della spiegazione
data dal curatore della trasmissione, continua a restare tenacemente legato
al concetto umanistico-rinascimentale del termine, e quindi contrappone
incultura a cultura, non tenendo conto, cosa ben nota a qualunque studente
universitario impegnato a sostenere l'esame in una delle diverse discipline
dell'area demo-etno-antropologica, che dialetticamente, in un'ottica appunto
antropologica, bisogna invece contrapporle il termine natura.
Sappiamo bene che si potrebbe facilmente obiettare che, se tutto è cultura,
niente è cultura; ma, a parte il fatto che non a caso gli addetti ai lavori
vengono accusati di panculturalismo, si potrebbe facilmente replicare che la
stessa cosa potrebbe dirsi della natura, ma la critica sarebbe priva di
senso. Tutto ciò, peraltro, può essere ormai inquadrato in un'ottica
storica, che smorza le polemiche.
Rispetto alla semplificazione proposta, necessitata dalla sede in cui la
formuliamo, la realtà è ovviamente molto più complessa, come insegna de
Martino, già a partire dal saggio Naturalismo e storicismo nell'etnologia,
nel quale evidenziava come alcuni popoli erano dagli studiosi inquadrati
nell'ottica naturalistica per negare loro la prospettiva storica,
perseguendo così l'obiettivo dell'inclusione scientifica e dell'esclusione
ideologica.
La querelle riguarda anche il termine folklore, incautamente e
frequentemente usato dai mass-media, ancora nella sua accezione di "elemento
pittoresco"; mentre a partire dalle "Osservazioni" gramsciane, comparse
inzialmente in Letteratura e vita nazionale, dovrebbe ormai essere noto a
tutti che non si può non attribuirgli il significato di "concezione del
mondo e della vita" delle classi subalterne delle società evolute
dell'Occidente.
Solo così si spiega un'espressione, ormai ricorrente, che permette di
accostare due termini apparentemente antitetici e suona "culture
analfabete". Vogliamo ora fermare l'attenzione su un proverbio, che recita:
Si vua ca l'amicizia si mantena, / nu panarieddru vadi e unu vena , il cui
significato è abbastanza chiaro, rispetto a tanti altri che richiedono un
impegno interpretativo talora non comune.
Mi chiedo infatti, a titolo esemplificativo e non per un proverbio, ma per
un'espressione comune nel mio paese d'origine, Torano Castello, che sta ad
indicare il cimitero e suona: L'America 'i zu Saveriu , su quali specchi si
arrampicherebbero gli studiosi del futuro per tentarne una decodifica, se
non chiarissi, come faccio, che il custode di quel luogo fu, per un
lunghissimo periodo di tempo, un uomo rispondente al nome di Saverio
Biamonte, da tutti chiamato zu Saveriu.
L'al di là, vale a dire l'altro mondo, veniva così confuso, o scambiato col
continente americano, ma il complemento di specificazione ne svelava
immediatamente e inequivocabilente l'intento parodico.
Non si pensi a un peccato di superbia intellettuale per aver scritto quanto
sopra, anche perché dovrei ipotizzare una diffusione e una resistenza al
tempo di questo foglio, tali da proiettarmi nella schiera dei profeti, il
che, francamente, è troppo.
Perché non resti ombra alcuna di dubbio, proclamo, pertanto, l'ancoraggio al
"qui ed ora" e, ritornando al proverbio, questa volta per non essere
tacciato di verbosità o grafomania, risulta evidente che sancisce la legge
dello scambio sulla quale poggiano non soltanto i rapporti amicali, ma, più
generalmente, quelli sociali.
La legge dello scambio è al centro del noto saggio di Mauss sul dono e della
riflessione lévi-straussiana sulla proibizione dell'incesto, soprattutto
nelle Strutture elementari della parentela.
Essa impone lo scambio delle donne e non è altro che il processo attraverso
il quale la natura supera se stessa: accende la scintilla sotto la cui
azione si forma una struttura di tipo nuovo, e più complesso, che si
sovrappone, integrandole, alle strutture più semplici della vita animale.
Essa opera, e di per se stessa costituisce, l'avvento di un nuovo ordine .
Conseguentemente gli uomini scambiano culturalmente - la sottolineatura è
nostra - le donne, le quali perpetuano questi stessi uomini naturalmente; ed
essi pretendono perpetuare culturalmente la specie che scambiano sub specie
naturae, cioè sotto forma di prodotti alimentari sostituibili gli uni agli
altri in quanto sono cibi e in quanto - il che vale anche per le donne - un
uomo può essere soddisfatto di certi cibi e rinunziare agli altri, nella
stessa misura in cui qualunque donna o qualunque cibo è ugualmente idoneo a
servire ai fini della procreazione e della conservazione .
La dimensione culturale, in un'ottica antropologica, è originata così da una
vera e propria epoché, in ambito naturalistico, che si concreta nella
proibizione dell'incesto e nel conseguente scambio delle donne, preludente
ad uno scambio generalizzato, che fonda la società.
Non è casuale il riferimento ai cibi da parte dell'autore de Il crudo e il
cotto, Dal miele alle ceneri, Le origini delle buone maniere a tavola, che
costituiscono, assieme a L'uomo nudo, la quadrilogia che va sotto il nome di
Mitologica nella quale si riprende il tema del rapporto natura/cultura.
Ritornando per la terza volta al proverbio dal quale abbiamo preso le mosse
e che, per ragioni di ordine ermeneutico, non si può considerare isolato, si
pensi all'altro: Su' frittuli chi si rennanu , si può sostenere che adombri
la stessa tesi, quella dello scambio, anche se nell'ottica della non
elaborazione e dell'asistematicità, caratteristiche ineludibili, Gramsci
docet, della cultura subalterna.