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La sinistra allo specchio

Partito, società e linguaggio in tempi di crisi della politica

di Giuseppe Cantillo



Vorrei svolgere alcune brevi considerazioni a ridosso di vicende significative le elezioni regionali e le dimissioni di D'Alema con la conseguente formazione del governo Amato come un segnale di consapevolezza della crisi in cui si trova la sinistra nel suo insieme. Crisi, cioè momento di sospensione di una situazione in veloce trasformazione, piena di contraddizioni e in cui non tutto è negativo, ma anzi vi sono aspetti positivi e innovativi, che però non hanno trovato ancora forme di stabilizzazione sia sul piano teorico che organizzativo. Soprattutto in Campania si è toccato con mano questa natura contraddittoria della crisi: perché in Campania la sinistra ha riportato un netto successo nelle elezioni regionali con la vittoria di Antonio Bassolino e un netto successo in elezioni amministrative, come a Eboli con la piena conferma di un sindaco di Rifondazione comunista, Gerardo Rosania, sostenuto da una coalizione, comprendente l'intero arco del centro-sinistra, che potrebbe, e dovrebbe, costituire un "modello" per l'Ulivo. Eppure nella società e nei partiti, e qui mi riferisco in particolare ai DS, si ha l'altrettanto netta sensazione di uno stato di difficoltà, di disagio, di impoverimento politico, di distacco dai problemi reali, di impotenza di fronte ai mali della società, in primo luogo la mancanza di lavoro. Allora da dove viene questo disagio, questa sofferenza, che nella vita del partito si traduce in un ripiegamento in se stessi e in un conseguente, inevitabile, dividersi all'interno, in una ostilità verso se stessi, in una progressiva perdita di amicizia e solidarietà reciproca? Sarebbe un errore avviarsi ad interpretare questa situazione in termini "regionali", o in riferimento a singoli fatti o a singole persone. Il problema è molto più generale e attiene, in ultima istanza, a forme strutturali e dinamiche profonde della società contemporanea, che non riusciamo ancora a interpretare adeguatamente. La stessa teoria politica utilizza ampiamente categorie che provengono dalla tradizione del pensiero occidentale più antica e soprattutto dalla tradizione otto-novecentesca. Non sempre queste categorie riescono a imbrigliare nella rete del discorso e delle connessioni motivazionali un vissuto individuale e collettivo straordinariamente insicuro e fluido e un processo economico-sociale globalizzato ed estremamente veloce e mutevole. Lo stesso discorso vale per le forme di organizzazione della società e delle relazioni sociali. Questo vuol dire una profonda crisi della politica in quanto tale, cioè della modalità di confrontarsi con la società intorno a progetti di organizzazione sociale fondati su valori e idee portanti, aventi una pretesa di valere in modo tendenzialmente generale e di durare per un arco di tempo ragionevolmente lungo. Crisi della politica come costruzione e realizzazione di progetti di ordinamento della vita pubblica e dei risvolti pubblici della vita privata degli individui. Non solo crisi delle ideologie, cioè di sistemi di principi predisposti per la realizzazione di progetti politici effettivi e con pretesa di assolutezza, ma crisi dei progetti in quanto tali. Si ha l'impressione di uno slittamento dell'azione politica nei termini di una amministrazione dell'esistente proveniente da altri ambiti della società riconducibili sostanzialmente alla sfera dell'economia: dove il criterio di valore non può che essere quello dell'efficacia in vista della conservazione e del rafforzamento dell'esistente. Negli interstizi di questo processo del passaggio dalla politica come progetto sociale alla politica come amministrazione si insinua ovviamente una modalità strutturale della politica stessa che è il potere, la forma del potere. Niente di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire. La forza del potere è un necessario remedium peccati. Senonché la forza di contravveleno, o almeno di calmante del potere da parte della politica come amministrazione è molto più debole di quella della politica ideologica (uso il termine in senso positivo) o della politica come progetto. Di qui la sensazione di una pratica della politica sempre più "ridotta" alla pura regolazione di interessi e alla gestione del potere, dove trionfa lo schema schmittiano amico-nemico che diventa pervasivo riproducendosi a tutti i livelli istituzionali e di aggregazione sociale. Da questo punto di vista , va riconosciuto, la società civile organizzata non è certo migliore della società politica. Etica pubblica e morale privata tendono a omologarsi sulle categorie dell'economico, della redditività ad ogni costo, del perseguimento dell'utile sacrificando ogni altro valore. La stessa "domenica della vita" tende a diventare sempre più uguale agli altri giorni, nel trionfo del consumismo, come mostra sintomaticamente la tendenza a tenere aperti i negozi anche la domenica, o su un piano più serio come mostrano la crisi dell'arte ( sempre più confinata nel museo e nel consumo turistico: art ecomomy) e della religione (al di là delle apparenze, avanza la "secolarizzazione" in termini economicistici e spettacolari). Per quanto concerne il partito, sono personalmente sempre più convinto che in questa crisi o, per essere più neutrali, in questa nuova modalità della politica, il partito come soggetto di rappresentanza e di formazione, come soggetto intellettuale e politico collettivo, sia destinato a indebolirsi sempre di più fino a scomparire. Sull'onda di un imperfetto (e perciò più dannoso) sistema elettorale maggioritario sistema maggioritario dal quale peraltro credo estremamente difficile si possa tornare indietro il partito si è venuto trasformando in molti casi in un rassemblement di comitati personali e/o elettorali (che contano) e di spezzoni di gruppi di testimonianza e militanza ( che contano pochissimo o niente), così esso, al di là anche della buona volontà di segretari e dirigenti, rischia di non avere un'effettiva forza di direzione e di contrattazione, né almeno a livello locale ha le competenze, le risorse, le attrezzature necessarie per confrontarsi con le scelte, le determinazioni, i progetti delle amministrazioni, delle imprese, delle istituzioni culturali, universitarie, scolastiche (con queste ultime, da tempo, si è prodotto un sostanziale scollamento). Perciò a mio avviso non servono gli appelli, per quanto sinceri e generosi, a ricostruire il partito nella sua forma più o meno classica, ma bisogna aprire finalmente una riflessione sempre promessa, ma mai realmente avviata, su una nuova forma di aggregazione delle volontà politiche che vada al di là della forma-partito, in direzione di un più ampio soggetto politico unitario in cui siano confederate, per quanto mi riguarda, le forze dell'intera area della sinistra e di centro-sinistra, intorno a programmi di governo nazionale e di governi regionali e locali sostenuti da forti scelte ideali e morali, da forti prospettive di sviluppo economico e culturale, di cui le persone avvertono il bisogno e che certo sono anche le condizioni per un'amministrazione efficiente e giusta. Io credo che ad un progetto di questo tipo possano collaborare tantissime persone che si riconoscono nelle tradizioni della sinistra e tantissime persone che si ispirano alle idee e ai sentimenti della tradizione etico-religiosa cristiana e alla dottrina sociale cristiana, ma soprattutto tantissime persone che non vogliono smettere di credere che è possibile lottare per una società più umana, più generosa e solidale, e soprattutto più giusta, fondata sul riconoscimento e la tutela dei diritti di tutti e sulla capacità di garantire a tutti condizioni di vita degne dello sviluppo civile conseguito. P.S. Ho scritto questa nota all'indomani delle elezioni regionali. Ho apportato al testo solo lievi aggiustamenti, per eliminare qualche riferimento localistico. Nel frattempo, il governo Amato ha prodotto qualche buon provvedimento (penso all'avvio della riforma universitaria, all'ambito fiscale, a quello del lavoro), ma nella sostanza ha ulteriormente caratterizzato il proprio orientamento moderato e soprattutto ha confermato l'affievolimento di quella volontà di cambiamento che aveva sostenuto il processo di moralizzazione della vita sociale e politica avviato da tangentopoli. Per quanto riguarda i DS l'inseguimento dell'area moderata e "socialista" (soprattutto in termini elettoralistici e di ceto politico) ha determinato una vera mutazione genetica e ha reso sempre più urgente, anche dopo Torino, un chiarimento politico di fondo. Perciò ho condiviso con grande convinzione ad Orvieto la scelta fatta dalla sinistra di uscire dalla Segreteria con l'intento di produrre una riflessione sul programma e sull'esigenza di ridare slancio ad una politica effettivamente di sinistra. In realtà, però, non è accaduto nulla di nuovo (tranne l'avvicinamento alle posizioni della sinistra interna da parte di Cesare Salvi, che giustamente, nella questione del premier, ha rivendicato la possibilità di una scelta più ampia rispetto all'alternativa "centrista" Amato-Rutelli). Continua a mancare tanto alla coalizione di centrosinistra quanto ai DS una capacità progettuale e sempre di più l'una e gli altri sono presi da una politica essenzialmente personalistica, di mantenimento delle posizioni, di schieramento (la questione della premiership, la difesa del ceto politico, il ritorno al proporzionale). Quanto alla questione dei valori, è certamente importante il successo del giubileo dei giovani, ma di fronte alle forme spettacolari e secolarizzate che ha presentato e all'assoluta preminenza della figura del Papa non si possono non esprimere perplessità e preoccupazioni proprio dall'interno del punto di vista cristiano e cattolico ( per esempio rispetto all'ecumenismo). Dal punto di vista laico non è possibile dimenticare che quei valori di rispetto della vita, della dignità della persona, di solidarietà, che sono stati giustamente enfatizzati, appartengono ad una comune tradizione che dal giusnaturalismo cristiano porta all'illuminismo e alle teorie dei diritti umani universali, tradizione i cui principi sono affermati nelle costituzioni dei paesi democratici e nella carta, nelle decisioni, nei documenti dell'Onu e che dovrebbero delineare il limite e l'orizzonte etico della politica.



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