a cura di Michelangelo Cimino
I lavori del convegno dedicato alla Questione meridionale in epoca di globalizzazione
(Napoli, 3, 4 ottobre 2000) sono stati aperti da Vittorio Silvestrini, che ha ribadito
la disponibilità dell'Idis, di cui è presidente, a mettere a disposizione strutture e risorse umane per dare una risposta alle esigenze di quanti si occupano di questione
meridionale. Una disponibilità subito raccolta dal sociologo Franco Cassano, il quale
nella relazione introduttiva ha insistito, ancora una volta, sulla necessità che il Sud diventi soggetto del pensiero, capace di influenzare anche la politica
estera nazionale, attraverso un'identità unitaria (quella mediterranea). A parere
di Cassano quella del Mezzogiorno è una posizione di frontiera, da sfruttare come
luogo di mediazione tra le varie culture e i vari fondamentalismi, del Nord e del Sud. Anche
Giuseppe Goffredo si è soffermato nel suo intervento sull'importanza della cultura
meridionale, del dialogo e della cooperazione culturale nell'intera area del Mediterraneo.
Una disposizione a leggere in positivo alcuni dati della multiforme realtà meridionale
è stata mostrata da Mario Alcaro. Egli pur guardandosi bene dal sottovalutare le
molte patologie di cui soffre il Sud ha tracciato un'analisi delle condizioni esistenziali ivi presenti, traendone la convinzione che al di là dei dati economici, il Mezzogiorno
presenti buoni livelli di qualità della vita, un basso tasso di suicidi e un forte
senso della famiglia e della solidarietà. Il vero punto debole del Mezzogiorno, invece, è stato ed è il rapporto tra società civile e Stato. Lo storico della filosofia
ha poi lamentato il carattere di apparente democratizzazione delle decisioni pubbliche
- seguito alla elezione dei sindaci -, poiché i cittadini sono sì chiamati a scegliere i governanti ma non a concorrere alla formazione della "volontà collettiva".
Per ovviare a tale situazione ha proposto un federalismo municipale e spazi pubblici
dove sia data ai cittadini possibilità decisionale.
Dopo le relazioni introduttive di Cassano e Alcaro ha preso la parola Nico Perrone,
il quale ricordando che in alcune zone della Sicilia e della Calabria la disoccupazione
giovanile tocca punte del 70%, ha chiesto un nuovo intervento pubblico. Il Mezzogiorno rischia ancora una volta di scontare l'illusione di uno sviluppo che alla prova
dei fatti si riveli fittizio. Un esempio, a tale riguardo, è dato dalle prospettive
che l'estrazione di petrolio in Basilicata aveva fatto intravedere per l'occupazione
in quella regione; e che a conti fatti ha creato pochi posti di lavoro e molto inquinamento.
Un copione già visto. Infatti, sostiene Ugo Leone (di cui pubblichiamo in questo
numero uno stralcio della relazione, tenuta al convegno napoletano) il Mezzogiorno pur avendo partecipato in modo frammentario e discontinuo al processo di industrializzazione,
ha subito in proporzione molti più danni all'ambiente che non le regioni ad alta
intensità di insediamenti industriali.
Ma la situazione meridionale, secondo l'ex sindacalista della CGIL, Mario Sai, sarebbe
stata sicuramente peggiore della attuale se l'Italia non fosse entrata nell'Unione
monetaria europea. Il Mezzogiorno però per non scivolare verso un'economia senza
prospettive di crescita deve puntare su produzioni di qualità, competitive, soprattutto
in agricoltura, e sulla formazione. In particolare non deve perdere l'occasione
dei finanziamenti europei, gestiti (e molto spesso male) dalle regioni.
E' toccato all'economista Adriano Giannola mettere in guardia dall'uso disinvolto
dei concetti di competitività e flessibilità del lavoro e dal modo in cui essi vengono
utilizzati da istituzioni come la Banca d'Italia e la Confindustria: le quali puntano
sulla flessibilità e il contenimento dei salari perché il Mezzogiorno partecipi alla
gara globale della competitività. Secondo Giannola è da tempo che i salari pagati
nel Mezzogiorno sono più bassi rispetto alla media del paese, ma senza che da ciò
siano derivati i risultati che si attendevano; né è vero che la flessibilità è uno strumento
adatto a far emergere l'economia sommersa. necessario, invece, dotare il territorio
di infrastrutture e adottare una politica attenta alle imprese locali e alla promozione di ricerca e sviluppo.
Ma la partecipazione del Mezzogiorno all'economia globale è diventata tanto più difficile
in quanto, come ha sostenuto l'economista Bruno Amoroso, la politica europea che
doveva favorire la crescita delle diversità locali ha concentrato lo sviluppo in
quell'area definita la "banana europea", riservando ai paesi del Mediterraneo un'attenzione
distratta. Il modello economico messo a punto dall'Europa, nato come alternativo
a quello degli USA, ha finito con imitarne i processi, ignorando alcune aree e favorendo la divisione tra aree ricche e povere.
Tuttavia, sostiene il filosofo del diritto Pietro Barcellona, ciò può favorire una
via meridionale alla modernizzazione, non subalterna ai modelli nordici. Per questo
occorre un nuovo sguardo, "è necessaria una vera autonomia del cervello collettivo
meridionale".
(La redazione)
(Box)
Al termine del convegno del 3 e 4 ottobre è stato costituito un Comitato scientifico
che coordini la rete dei saperi e delle competenze presenti nel Mezzogiorno d'Italia.
Esso è formato da (in ordine alfabetico):
Mario Alcaro Università della Calabria
Bruno Amoroso - Università di Roskilde
Francesco Cassano Università di Bari
Guido D'Agostino - Università di Napoli
Vittorio Dini Università di Salerno
Adriano Giannola - Università di Napoli
Giuseppe Goffredo Lab. Progetto Poiesis
Pasquale Iorio CGIL Campania
Nino Lisi Fondazione Idis Città della Scienza
Titti Marrone Il Mattino
Mario Proto Università di Lecce
Andrea Tocchetti Università di Napoli